Moda in crisi: Pitti ha lanciato un segnale di speranza

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Pitti Uomo tra crisi e rilancio. Riuscirà la moda a recuperare i cuori e i portafogli che ultimamente sembrano essere usciti dal suo potere di fascinazione ? Magari non con un semplice rattoppo ma, visto il mondo in trasformazione, addirittura con un “rilancio”, come auspica Raffaello Napoleone, ad di Pitti Immagine, la società delle fiere di moda fiorentine che ha organizzato dal 14 al 17 gennaio, nello straordinario polo espositivo cinquecentesco della medicea Fortezza da Basso del Sangallo, la 107* edizione di Pitti Uomo.

Popolata , nonostante i venti di crisi, da ben 770 selezionati brand di abbigliamento maschile, di cui il 45% esteri, che hanno presentato le loro collezioni per il prossimo autunno- inverno 2025-2026, divise in cinque sezioni rappresentative di ogni tendenza. Un salone di qualità e innovazione,  arricchito dai due affascinanti show di grande impatto dei “guest designer”: MM6 Margiela, la seconda linea di Maison Margiela fondata dal geniale designer belga Martin Margiela e ora controllata dal gruppo Otb di Renzo Rosso, alla sua prima uscita al maschile con una collezione creata apposta per Pitti, e la prima sfilata del brand Setchu del giovane designer giapponese che vive  a Milano, Satoshi Kuwata, capace di unire Giappone e occidente  in una multiculturalità assai più agile che nel resto della società. Più una serie di progetti speciali per esplorare idee, tendenze e protagonisti del nuovo menswear, senza contare le collaborazioni internazionali con i cinesi di  China Wave, gli europei del Nord di Scandinavian Manifesto, i giapponesi di J∞Quality e Japan Leather Showroom.

Il destino della moda di cui sopra non è di poco conto perché, invece di essere affare fatuo come molti immaginano, riguarda la seconda industria manifatturiera italiana e la vita di 600 mila addetti di cui una parte ormai in cassa integrazione. Ma già Pitti ha dato una sorprendente risposta di speranza in un momento, che sia di crisi o di trasformazione, è sicuramente “complesso”. come segnala Antonella Mansi, presidente del Centro di Firenze per la moda italiana di cui Pitti Immagine è il braccio operativo.

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Non solo sono venuti in Fortezza  circa 800 espositori, investendo impegno e denaro per finire a tempo le collezioni e per esporle in fiera, ma anche il numero compratori accorsi e’ stato  “superiore alle aspettative degli imprenditori”, come sottolinea Napoleone.  Ne sono arrivati 13.300 , di cui 5.000 dai mercati esteri, addirittura  aumentati del 6,5 rispetto all’edizione invernale dell’anno scorso quando le cose andavano bene, mentre gli italiani sono rimasti stabili, il che non è poco viste le difficoltà dei consumi interni. In totale, compresi i visitatori, circa 20.000 persone hanno affollato un salone bello e pieno di energia. Un risultato che sembra dare ragione a Napoleone e De Matteis quando spiegano che “proprio nei momenti di crisi le fiere hanno più successo perché servono a confrontarsi, misurarsi e capire insieme la via d’uscita”. E sicuramente la prima parola non può che partire dalla manifestazione  fiorentina che è punto di riferimento mondiale per l’abbigliamento maschile e prima, in ordine di calendario, di tutte le altre esposizioni collettive a livello internazionale. Un salone che, saldandosi con le sfilate uomo milanesi che gli succedono a ruota, “ dà vita alla più bella settimana della moda al mondo”, come dice  Brunello Cucinelli, uno degli assi portanti di Pitti fin dal 1991.

Quattro giornate segnate da un forte spirito di innovazione, ricerca e  reazione ai tempi difficili, all’insegna del mai più un trend unico ma un ventaglio di tendenze. Per citarne solo alcune dominanti: lifestyle più che sola moda, avanti l’ abito maschile spezzato e fuori il completo, abbigliamento genderless, sostenibilità, tocco sportivo e easy anche nello stile urbano,  particolare attenzione ai nuovi stili di vita che guardano alle comunità giovanili e portano nel mondo della moda le tendenze in crescita, come, per esempio, il running e la bicicletta che, spiega il direttore generale di Pitti Immagine, Agostino Poletto, “coinvolgono persone, perlopiù giovani, che vogliono fisicamente vedersi e stare insieme formando così delle community, ma anche assolutamente  digitali e dunque con una straordinaria capacità di diffusione. Un fenomeno in crescita che, contaminando anche la moda, lascia prevedere che Pitti si avvii a essere non più solo luogo espositivo ma anche un collettore di comunità “, come spiega il direttore generale di Pitti Immagine, Agostino Poletto.

Forse la moda, quella tradizionale e specie il lusso, come forse anche l’auto in conclamata crisi, non costituisce più, per la nuova generazione, uno status symbol ma, siccome nei secoli è stata sempre la spia dei tempi proseguirà secondo nuovi trend. Ne è un segnale “Knees Up”, il nuovo spazio in Fortezza dedicato per la prima volta ai brand ispirati a un’esperienza sempre più diffusa come il running  e mutuato da un caffè’ londinese dove i runner si incontrano, la mattina dopo la corsa, per una colazione che ha sostituito l’aperitivo della sera e dove hanno creato anche un angolo di marchi a loro dedicati. Tanto è l’attrattiva suscitata dalla nuova iniziativa di Pitti Uomo che, all’inaugurazione, un centinaio di runner sono partiti alle 7 di mattina dal centro di Firenze per correre  fino alla Fortezza, trovandoci la colazione con brioche e cappuccino. Stesso interesse per la bici, per la quale sta iniziando a emergere un vestire sportivo ma sempre più estetico come, per esempio, la funzionale ma anche attraente collezione di piccoli capi per pedalare in qualsiasi condizione climatica ma anche per vivere in città del marchio danese Pas Normal Studios.

D’altra parte se la moda, dopo l’ubriacatura della crescita negli anni  del post covid, nel 2024 è arretrata, sarà ovviamente a causa dell’incertezza di un mondo colpito da guerre, caro energia, difficoltà economiche, inflazione, aumento delle povertà ma sicuramente, e lo dichiarano a Pitti gli stessi imprenditori, anche perché i prezzi del lusso sono schizzati oltre la decenza e perché ci si è illusi che l’euforia del comprare durasse in eterno. Ecco perché a Pitti Uomo, da una parte si è chiesto per il business modaiolo un consistente sostegno dal governo ma dall’altra si è incitato gli stessi imprenditori a riequilibrare i prezzi e aumentare la capacità di prevedere e programmare, 

 Il fatto è che il rischio, che si tratti di crisi o trasformazione, non si abbatte tanto sulle grandi aziende quanto sulle filiere alle loro spalle, fatte di piccole e medie aziende (Pmi)  per le quali il presidente di Pitti Immagine e ceo del marchio Kiton, Antonio (detto Totò) De Matteis, ha chiesto  sostegno al governo: “Non possiamo permetterci di perdere le filiere e il loro know how. Ricordiamoci che comunque l’export di moda maschile 2024 scende del 3,6% arrivando a 11,4 miliardi, ma supera ancora i livelli del 2019 precovid”. Peraltro anche il sistema moda in generale, che scende del 6%, e’ancora sopra il pre covid, si ragiona in fiera.

Il governo ha risposto da remoto durante l’inaugurazione dell’Uomo per bocca del ministro del Mimit, Adolfo Urso, che annuncia la prima legge annuale a favore delle  Pmi che metterà a loro disposizione 100 milioni, un tavolo per tutto il settore moda il 24 gennaio al Mimit e la proroga della cassa integrazione per i dipendenti delle aziende in crisi fino al 31 gennaio, che è domani: dopo, un’altra proroga è probabile, assicura il ministro. Ma ancora la decisione non c’è.

Quanto agli imprenditori, quelli di Pitti si sono dati da fare.La situazione è difficile ma c’è anche chi continua a andare bene e “comunque io non conosco la paura” dice Brunello Cucinelli che nel suo grande e affollatissimo stand fa il modello di se stesso in morbidi e eleganti jeans bianchi e giacca a un petto e mezzo colore burgundy attenuato da un filo di grigio: “Solo abiti spezzati in modo che anche gli uomini possano essere più creativi nel vestire e scelgano dall’armadio di persona: magari un paio di pantaloni dello scorso anno e una giacca di questo”.

Con la sua non scalfibile positività Cucinelli non comprende neanche il festoso stupore generale  per il suo 12,2% in più di fatturato nel 2024 (fino a 1, 28 miliardi), “visto che in 13 anni di quotazione in Borsa ho fatto di media il più 12,9% l’anno”. Ma ora c’è  la crisi.“Figuriamoci, nella storia gli alti e bassi ci sono sempre stati e poi di cosa si lamenta chi in tre anni ha più che raddoppiato i prezzi e aumentato i profitti del 40% ? Ci dovrà pur essere un momento di riequilibrio come d’altra parte ci deve essere in tutte le cose della nostra vita”. Se non gli pulsa la vena della paura lo fa invece quella del filosofo: “La mia preoccupazione riguarda piuttosto l’anima che va rimessa in funzione e che deve essere al primo posto. Non si pensa mai all’anima, invece dobbiamo ascoltarci molto di più tra tutti, perché un giorno uno ha bisogno dell’altro e un altro giorno viceversa. Ho appena fatto un progetto in azienda perché si dedichi più tempo a parlarsi e ascoltarsi reciprocamente”.

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Confidente del futuro anche Niccolò Ricci, ad del brand Stefano Ricci fondato dal padre Stefano con la moglie Claudia e di cui è direttore creativo il fratello Filippo. All’interno del progetto Explorer che presenta ogni anno le nuove collezioni tramite foto scattate in un diverso angolo-meraviglia del mondo, questa volta il marchio ha scelto il Perù degli Inca per fotografare e poi portarne alcuni capi al Pitti, un abbigliamento di lusso sartoriale, ma leggero e pratico, per un uomo vincente, spiega  Niccolò Ricci, cosmopolita  e appassionato di viaggi da intraprendere in parka nero di cashemere e filo di cincilla’, la borsa di coccodrillo, i capi spalla in cashemere, visone e seta, i colori delle pietre, delle foreste del cielo dei condor del Perù. “Abbiamo aumentato il fatturato 2024 del 10% fino a 234 milioni di euro – dice Ricci – Di fronte a un aumento smodato di prezzi anche più che raddoppiati per cui i clienti si sono sentiti presi in giro, noi siamo stati premiati per avere rincarato solo del 10-15 per cento”. Ma non ci sarà di mezzo anche un disamore per la moda? “Di sicuro i numeri testimoniano che oggi si preferisce spendere in  cibo e viaggi. Ma bisogna assecondare i tempi e noi vestiamo le persone per viaggiare comode e di lusso”.

Cresce del 20% fino a 194 miliardi di dollari di fatturato, Wp Lavori in corso, l’azienda bolognese guidata dalla dinamica Cristina Calori e distributrice di marchi dalla grande tradizione, che ha presentato a Pitti Uomo i celebri  brand Barbour, Baracuta, Blundstone, Filson, Spiewack e BD Baggies, conservandone l’identità ma al tempo stesso innovandoli. Barbour, il brand delle giacche cerate, sorprende positivamente con capi maschili ma anche femminili dalla silhouette più contemporanea e adattabile a un più ampio ventaglio di situazioni. Ma la vera novità è che per la prima volta eppure con grande perizia il brand si lancia negli accessori: scarpe e stivali in pelle invece che di gomma e eleganti borsette che non  tradiscono l’identità sportiva ma che sono anche trendy, candidandosi  a diventare oggetti del desiderio femminile. Rispetto delle radici e capi destinati a durare sono i punti fermi di Wp senza rinunciare alle innovazioni e le sorprese. Come nel caso del rilancio di Spiewak tramite la collaborazione con il gruppo giapponese Hitoshi che riesce a riprodurre esattamente il tessuto Titan delle origini. “Oggi il segreto del successo – dice Calori- sono prodotti classici che innovano ma conservano la loro identità e vengono venduti a prezzi democratici che diano fiducia ai consumatori”. Mentre l’abilità giapponese coinvolge anche Roger’s che sorprende con una capsule interamente made in Japan .

Wp ha uno sterminato archivio nel quartier generale di Bologna da cui in occasione del Pitti gli studenti dell’Istituto Marangoni hanno trovato spunto per creare e mostrare una loro collezione. Mentre, per restare in tema di scuole di moda che hanno partecipato alla manifestazione, il Polimoda ha nello messo su alla Manifattura Tabacchi la mostra An/Archive Two che esplora il rapporto tra il blu, il  denim e l’abbigliamento da lavoro.

Blu anche la super leggera collezione Gravity Gold di Tombolini, che combina eleganza, innovazione e suprema leggerezza, il cui capo chiave è il seducente, moderno e assai chic smoking blu notte in cashemere e seta, il più leggero del mondo  che si vende con annessa borsetta contenente fascia e papillon ton sur ton. Oltre a una serie di capi sempre Gravity Gold ma da ogni occasione, resi originali dalla novità di comodi pantaloni a tratti arricciati in vita, come da capispalla con le finte imbastiture all’esterno in oro.

Si danno da fare anche le calzature. Pantofola d’oro, maison fondata nel 1886,  lancia tre nuovi modelli di sneaker, e una rivisitazione del classico modello Penalty, che conserva il design originale arricchito con una tomaia in pelle e inserti in suede. Mentre, contro ogni tentazione di noia dopo anni di entusiasmo per le sneaker ma qualche primo sintomo di assuefazione, il brand D.A.T.E. , che spopola in Giappone,  rinnova l’atmosfera  con l’allegria dei colori, lanciando  una speciale capsule di abbigliamento e scarpe con stampato sopra  il tradizionale disegno del leggendario brand Usa,  Fruit of the Loom. Si  rilanciano pure le storiche che scarpe da tennis dalla suola vulcanizzata passate ormai alle strade cittadine e alla vita all’aria aperta , le intramontabili Superga,

Il mix di tendenze allontana assuefazione e noia. Il sartoriale diventa stravagante e viceversa. La tradizione e il rispetto delle origini affascinano se squarciate da un vento di novità. Ma, oltre le citazioni, il costante binomio sport e moda, che coinvolge perfino il vestire maschile classico tradizionale, esce decisamente allo scoperto quando gli atleti si gettano dal campo di gioco alla passerella. Come accade al campione di calcio e Pallone d’oro 2000 Luis Figo che passa dal prato verde a Pitti  lanciando l’omonimo brand che l’ex centrocampista portoghese definisce “casual-chic”, tutto made in Italy, “un vero e proprio progetto industriale, non un hobby”: con  pantaloni sartoriali, giacche strutturate anche reversibili, cappotti eleganti, maglie versatili e sneakers di design,  comprese quelle ispirate alle scarpette da calcio.

Uno spazio a parte meritano le due performance dei guest designer  ospiti di questa edizione, ambedue di grande livello. La bella sfilata di MM6 simile a una performance teatrale e anche a un happening segnata da ogni opposto: i modelli e le poche modelle interscambiabili, essendo l’affascinante collezione al tempo stesso  molto maschile che genderless, di couture ma anche anticonformista e simile a un noir con gli ultimi belli e dannati, sartoriale ma destrutturata in perfetta tradizione Margiela. Il pubblico in piedi e trenta uscite dei modelli su una pedana rialzata a ridosso delle vetrate dell’ottocentesco Tepidarium, la più grande serra d’Italia costruita in stile Liberty dall’architetto Giacomo Roster, immersa nel buio della tarda serata squarciato dalle luci riflesse dai vetri-specchio attraverso lampi che illuminavano, trasformandolo in una quantità di sfumature  il colore scuro degli abiti, prevalentemente nero eccezionalmente reso splendente solo dalle piccolissime stelle sul velluto dell’abito elegante a tre pezzi, a contrasto con il tutto bianco della sfilata  di Margiela a Firenze di 19 anni fa. Con qualche incursione di burgundy o marrone di varie sfumature, e una solitaria incursione dell’abito indossato a pelle in lurex turchese .

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E poi il desiderabile bomber in finto visone reversibile in tessuto tecnico, il classico impermeabile inglese, la giacca in lino gommato e plastificato i lunghi guanti  a moduli e gli stivali alti, ambedue gli accessori  in stile biker,  il borsone ripreso da quello in cui metteva la tromba Miles Davis, il campione del jazz e del mix tra tradizione e innovazione che sembrava di vedere arrivare con quella sua andatura dondolante alla sfilata tra musica e moda a lui dedicata . “Davis  sì che aveva capito il potere del look”, spiegava il team creativo di MM6. Ad assistere, anche Renzo Rosso.

Diverso ma non diversamente impressionante, il primo show di Setchu, il brand di  Satoshi Kuwata, il giovane e pluripremiato designer nato in Giappone, passato dalla celebre scuola londinese di Savile Row e stabilitosi, dopo varie tappe nel mondo, a Milano perché, spiega, vicino ai distretti tessili e all’artigianalità italiana. Kuwata ha scelto per sfilare le sale della Biblioteca Nazionale in riva d’Arno tra la suggestione dei libri che ama e  l’odore della carta che gli è consueto, lui che costruisce i suoi abiti partendo da un quadrato di carta, sviluppandolo a pieghe come un origami e che per l’occasione ha creato dei morbidi jeans in denim e carta.

Per una collezione in cui la bellezza di un kimono o di un origami si incastrano alla perfezione con l’arte occidentale del tayloring (non a caso sfilano anche un tight, un blazer e un frac, le cui code possono anche andare sotto la gonna, sviluppati a Savile Road) in un brand il cui stesso nome vuole significare quell’unità tra Sol levante e occidente che il designer realizza con un’intelligenza e una perfezione di taglio che si immagina saranno una delle principali scoperte della moda di quest’anno. Con capi extra lusso interamente trasformabili: da uomo a donna, da camicia  in abito, da gonna in cardigan,  tutto con tagli, aperture con bottoni, drappeggi, nastri e lacci in stile origami per cui ogni abito si può sempre trasformare in  qualcosa d’altro.





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