Il Piemonte e la magia del cielo nei meravigliosi scatti di Valerio Minato, premiato dalla NASA

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Il fotografo di Biella Valerio Minato racconta a Fanpage.it i suoi primi passi con una fotocamera in mano e come è evoluta la sua passione dietro l’obiettivo, fino al successo del triplice allineamento che gli è valso un prestigioso riconoscimento dalla NASA.

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Il triplice allineamento tra la basilica di Superga, il Monviso e la falce di Luna. Credit: Valerio Minato

Tra i fotografi italiani più talentuosi e seguiti sui social network vi è il biellese Valerio Minato, classe 1981, la cui notorietà ha avuto un balzo significativo – anche a livello internazionale – alla fine del 2023, grazie a uno scatto semplicemente meraviglioso. Stiamo parlando del famoso triplice allineamento tra la basilica di Superga, il Monviso (la più alta montagna delle Alpi Cozie) e la falce di Luna crescente. Uno spettacolo divenuto realtà dopo anni di studi e appostamenti, con la scena ben impressa nella mente del fotografo ben prima dell’esecuzione. A impreziosire il lavoro di Valerio la luce cinerea della Luna, cioè quella riflessa dalla superficie lunare in ombra, conosciuta anche come Da Vinci glow; ha permesso di esaltare la silhouette del Monviso alle spalle della basilica, rendendo l’allineamento dei tre protagonisti semplicemente delizioso.

Non c’è da stupirsi che questa fotografia sia stata premiata dalla NASA con il prestigioso titolo di Astronomy Picture of the Day, meglio noto tra gli appassionati con l’acronimo di APOD. Si tratta di uno dei riconoscimenti fotografici più ambiti tra gli astrofotografi e per chi, come Valerio, ama insaporire i propri scatti con elementi celesti. A rendere il premio ancor più prezioso il fatto che gli è stato dedicato nel giorno di Natale, il 25 dicembre 2023. A poco più di un anno da questo meritato traguardo, che ha fatto schizzare alle stelle il numero di follower del fotografo sui social network, Fanpage.it lo ha intervistato per conoscere meglio come è nata e come si è evoluta la sua passione per la fotografia, in che modo sviluppa la sua arte e qual è il rapporto con le numerosissime persone che lo seguono. Ecco cosa che ci ha raccontato.

Valerio, innanzitutto complimenti per i tuoi bellissimi scatti. La prima cosa che ti chiediamo è come è iniziata la tua storia d’amore con la fotografia

I miei inizi con la fotografia risalgono a 12 anni fa. Stavo concludendo la mia carriera universitaria – sono laureato in Scienze forestali e ambientali – e nell’ultimo anno, che era incentrato sulla parte sperimentale della tesi, ho comprato per gioco una macchina fotografica. Non avevo alcuna esperienza e solo dopo questo acquisto mi sono messo a studiare fotografia. All’inizio non avevo alcuna particolare mira o velleità; era uno dei tanti hobby che mi apprestavo a iniziare. Diciamo che il 99 percento dei miei hobby ha avuto vita breve perché tendo ad annoiarmi abbastanza facilmente. E invece mi sono reso conto che, a differenza delle altre cose che tendevano a stufarmi, più passava il tempo e più la cosa mi prendeva. L’ho trovato un mondo talmente inesplorato e da approfondire; provare a esprimere la propria visione attraverso le immagini ha fatto sì che mi sono veramente appassionato.

Quali sono stati i tuoi primi soggetti? C’è qualcosa che ti ha ispirato particolarmente come i paesaggi o magari i ritratti?

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All’inizio diciamo che sono andato a fare un po’ di vari generi. Dalla ritrattistica non sono mai stato molto attratto. A parte la sperimentazione iniziale, in cui andavo a fare test per vedere se imparavo le varie funzioni in manuale della macchina fotografica, la paesaggistica l’ho seguita sin dall’inizio. Ho fatto un pochino di dettaglio, di macro. Poi ho avuto un periodo in cui mi è piaciuto molto fare street, ma la paesaggistica sempre. C’è un motivo molto particolare che riguarda un po’ il mio approccio alla fotografia, dall’inizio fino a oggi. Per me è un momento di riflessione, che mi permette di ritrovare la pace in me stesso. Quindi è una cosa che ho sempre fatto e che continuo a fare. È il mio modo per isolarmi dal tutto il resto e dedicarmi alla passione, quindi cercare di raccontare attraverso le immagini. Ma è anche una cosa più riflessiva.

L’anno della tesi stavo avendo un po’ di difficoltà nel mettere giù i concetti che poi sono andato a discutere; la fotografia era era veramente un antistress. Andavo in crisi con la stesura della tesi, allora prendevo la mia macchina fotografica e facevo una bella passeggiata. Abitavo a Torino, molto vicino alla collina, la salivo e mi mettevo lì col treppiede. Guardavo la città dall’alto e la fotografavo. All’inizio la mia paesaggistica era urbana, molto base. Ero agli inizi, quindi ovviamente sono andato a fare tutte le fotografie che sono gli spot classici di Torino. Gli altri generi col tempo un po’ li ho abbandonati, mentre con la paesaggistica sono andato avanti perché era quella che mi dava assolutamente più stimoli. Io sono molto incentrato su Torino e sul Piemonte, ma ovviamente si arriva a un certo punto in cui si rischia di annoiarsi, perché comunque gli spot non è che sono infiniti. Dopo un po’ tendi a ripeterle queste foto. Allora ho iniziato a introdurre all’interno delle mie fotografie vari elementi che mi permettevano di fotografare dallo stesso spot ma in modo diverso. Ad esempio inserendo il meteo. Sono sempre stato un appassionato sin da piccolo di meteorologia. Non l’ho mai studiata ma sono appassionato. Le condizioni meteo sono un valore aggiunto che ti permette di riuscire a fare un racconto diverso dalla stessa inquadratura. Vai a includere delle cose nuove.

E poi sei passato dal meteo a includere gli oggetti del cielo. La Luna, il Sole, le comete.

Quello è stato un po’ l’ultimo step. All’inizio le condizioni meteo, con le quali ho iniziato una sorta di ricerca personale nel riuscire a immortalare le mie città da punti di vista inediti. E qui poi è subentrata un po’ quella che è diventata la mia cifra stilistica. Come si vede dalle mie foto io amo le lunghe focali. Se le guardi l’80 percento sono over 250 – 300 millimetri. Non è che lo faccio solo perché è bello, ma perché mi sono reso conto che il tipo di prospettiva restituita dalla lunga focale – come lo schiacciamento dei piani – riesce a rendere gli oggetti apparentemente vicini, come se si sfiorassero. Questa è una cosa che mi ha dato un sacco di stimolo. Ho iniziato a fare ricerca all’interno della città, dalle vie, dalla collina. Poi ho ampliato il raggio di azione.

Io credo di avere un approccio abbastanza scientifico, che comprende tante cose. Può essere la meteorologia, uno studio molto dettagliato di quello che è la geografia, la cartografia. Vado a unire tanti elementi che mi servono per riuscire a studiare e realizzare delle inquadrature io spero particolari e inedite. Perché comunque una cosa che ho sempre detestato è scimmiottare il lavoro degli altri. Quindi inserendo le mie passioni ho provato a raccontare il mio territorio in modo un po’ di verso da quello che era stato fatto fino ad allora. E poi in ultimo, non per importanza – anzi, forse alla fine è diventata la cosa più importante – vi è stata l’idea di unire all’interno delle mie fotografie gli elementi del cielo. Qui arriviamo alle lune, ai soli, alle congiunzioni della Luna coi pianeti, alle notturne con la Via Lattea. Io non sono un astrofotografo. Loro sono molto più bravi di me in quel genere. Una cosa che ho sempre amato è contestualizzare, ambientare. Ho fatto le mie foto solo col cielo e la Luna etc etc, però io trovo molto più bello, per quella che è la mia visione, riuscire ad ambientare un satellite, la Luna, il Sole o una cometa all’interno di un paesaggio.

E come sei arrivato alla basilica di Superga col Monviso e la falce di Luna?

Quella foto e quel filone di fotografia ho iniziato a esplorarli nel 2015-2016. Quindi tre, quattro anni dopo i miei inizi con la fotografia. Prima c’è stato il discorso con le lunghe focali, per provare a fotografare due o tre elementi insieme. La sola basilica col Monviso è una foto che ho già scattato nel 2015 – 2016. Ma per non annoiarmi, come dicevo, cerco di complicarmi la vita. Per me rappresenta uno stimolo, quando ti poni un obiettivo particolarmente complicato, quando devi metterti lì a scervellarti, spremere le meningi per riuscire a tirare fuori qualcosa di diverso. Ovviamente non tutte le idee che mi sono venute in mente le ho realizzate. Anche perché alcune ti rendi conto che non sono realizzabili. Mi sono venute in mente delle idee pazze di allineamenti che non sono tecnicamente fattibili; ti vai a scontrare con la geografia, la cartografia, le altezze dei vari elementi, gli angoli azimutali di Sole e Luna.

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Per lo scatto dell’APOD, mi sono reso conto che un’inquadratura con un triplice allineamento era tecnicamente realizzabile. La foto l’ho pensata nel 2017. Mi sono reso conto che in particolari e pochissimi momenti dell’anno la Luna con la fase lunare giusta andava a tramontare con un angolo vicino a quello che mi serviva per realizzare quella foto. Quindi dal 2017 ho iniziato una fase di preparazione e di studio anche sulle fasi lunari e su quali angoli mi sarebbero serviti. Da lì è partita la storia dei famosi sei anni per ottenere lo scatto. Nel 2017 ho visto nella mia mente l’immagine, e dopo averla vista ho realizzato che era tecnicamente fattibile. Ho così iniziato le prove che mi hanno poi portato al risultato.

Ci sono stati dei mezzi successi; quella che poi è diventata APOD non è l’unica che mi è venuta. Feci un allineamento molto preciso l’anno prima con la Luna Piena, ma da una postazione di scatto più elevata, che faceva sì che la distanza prospettica tra Monviso e Superga era maggiore. Per lo scatto dell’APOD io ero più basso come quota sul livello del mare; faceva sì che prospetticamente il Monviso andava quasi ad appoggiarsi sulla cupola della basilica. Quella era proprio la mia idea iniziale della foto, dove c’erano tutti e tre gli elementi con la falce di Luna. Di questo scatto la cosa che a me è piaciuta particolarmente è proprio la peculiarità di quella fase lunare. Ovvero questa falce di Luna crescente col cielo molto limpido. C’era un seeing pazzesco quel giorno, quindi la parte in ombra della Luna si vedeva perfettamente. È quella che poi ha permesso di evidenziare tutta la silhouette del Monviso.

Lo scatto APOD di Valerio Minato

Lo scatto APOD di Valerio Minato

Quanto è importante per te la post produzione nell’ottenere gli scatti che poi pubblichi

Moltissimo. Ovviamente senza andare a stravolgere quella che è l’immagine originale. Però la post produzione è un elemento fondamentale. Non posso esprimerlo in percentuale, 50 e 50, 40 e 60 tra scatto e post, però è molto importante, perché comunque il risultato finale è composto dal colpo d’occhio, dalla ricerca dell’inquadratura, e da un’ulteriore caratterizzazione col tuo stile di post. Ci sono milioni di variabili diverse nella post produzione; un’immagine può essere post prodotta in una quantità enorme di versioni differenti. Quindi riuscire a trovare un proprio stile e una propria impronta sulla post produzione per me è fondamentale. Prima c’è lo studio dell’inquadratura e poi la caratterizzazione. Io penso sempre che è come – passatemi questo paragone un po’ buffo e fuori tema – essere un cuoco, uno chef, che ha la materia prima della migliore qualità del mondo, ma poi la deve amalgamare, speziare, salare. La materia prima è la foto originale, il RAW che scatti in macchina, e poi c’è tutta la parte di insaporimento della post produzione. Ben venga la tecnologia se può aiutarci ad apportare ulteriori migliorie al nostro lavoro. L’importante è non stravolgere mai il lavoro iniziale.

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Hai quasi 200.000 follower su Instagram, è davvero tanta gente. Come la vivi questa notorietà? Qual è il rapporto con le persone che ti seguono sui social network?

Io ho sempre avuto un rapporto molto stretto con le persone che che mi seguono. Quando avevo 30.000 follower, prima dell’exploit dell’APOD della NASA, era piuttosto facile. Ora che i numeri sono sestuplicati è molto impegnativo. Io rispondo a tutti. Mi spiego, non è che riesco a rispondere a tutti i commenti, anche se appena pubblico un post almeno le prime due tre ore le uso per seguirli. Ma rispondo a tutti messaggi, cioè a chi mi scrive in privato o anche solo a chi mette una reaction a una storia. La trovo una cosa giusta, perché se una persona ha dedicato una parte della sua giornata e del suo tempo, per quanto piccola, ad apprezzare il mio lavoro o comunque a dirmi cosa ne pensa, mi sembra il minimo restituire un pensiero attraverso una parte della mia giornata.

Come aneddoto posso dire che dopo l’APOD della NASA, nel giro di pochi giorni o qualche settimana i numeri sono schizzati enormemente. Non nascondo che all’inizio ho avuto delle sensazioni, come il pensiero di essere in grado di tenere alto il livello dopo il successo di quello scatto. Non dico di aver mai avuto l’ansia da prestazione, però i primi tempi avevo quel pensiero del dover mantenere un livello molto alto. Poi mi sono reso conto che non serviva nessuna ansia; ho continuato a lavorare con la stessa tranquillità, la stessa concentrazione di prima e con i numeri più alti. Gli scatti funzionavano e adesso mi sono assestato. I primi mesi sono stati un bel frullatore, ti senti un pochino gli occhi addosso quando cresci così tanto e in così poco tempo. Ora sono super tranquillo, continuo a fare le mie cose, a pianificare e lavorare su nuovi progetti, sperando di fare altre cose belle in futuro.

Un’ultima cosa, hai qualche consiglio da dare ai nostri lettori su come fare delle belle fotografie alla Luna con lo smartphone?

Ovviamente, come potete immaginare, io le foto alla Luna per ovvie ragioni non le faccio con il cellulare, però diciamo che può essere comunque uno stimolo. Molti cellulari hanno oggi una modalità fotografica “pro”, che permette di gestire in manuale alcune impostazioni. Ovviamente se noi utilizziamo un telefono, puntiamo la luna e zoomiamo ci viene fuori una palla bianca e brutta. Quindi chi ha il cellulare che permette di regolare in manuale qualche impostazione, il consiglio è quello di uscire, mettere il telefono su un piccolo treppiede – o magari appoggiato da qualche parte – e iniziare a “smanettare” come si dice in gergo un po’ con quelle impostazioni, per vedere quello che esce fuori. Chiudo però dicendo una cosa; questo è un modo per iniziare a impratichirsi con quelle che sono le impostazioni in manuale. Se si vogliono fare foto veramente belle e salire di livello, dopo essersi impratichiti con la gestione manuale il consiglio è quello di comprarsi una macchina fotografica.





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