l’impegno civile e la scrittura come strumenti di cambiamento.

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Ada Rizzo, una valida autrice della redazione di Alessandria today, si racconta in un’intervista esclusiva, condividendo le sue radici siciliane, il suo percorso professionale e l’impegno civile che caratterizza la sua produzione letteraria.

Introduzione.
Nata in Sicilia, terra di scrittori illustri e di una cultura millenaria, Ada Rizzo ha saputo coniugare la sua passione per la scrittura con un forte senso di giustizia sociale. Dopo una carriera di 35 anni in IBM Italia, si è reinventata come Life Counselor e Facilitatrice in Mindfulness, sviluppando una visione del mondo che permea profondamente le sue opere.


L’intervista.

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Ada, sei nata in Sicilia, una terra ricca di storia e cultura. In che modo le tue origini hanno influenzato il tuo percorso artistico e letterario?

La cultura letteraria della Sicilia ha avuto un impatto profondo e significativo sul mio percorso come autrice. Questa terra ha visto avvicendarsi stili e culture diverse; è stata un territorio di conquista per vichinghi, spagnoli, arabi, greci e romani. Sono nata nell’incantevole isola di Pirandello, Verga, Quasimodo, Sciascia e Vittorini. Crescere in una terra così culturalmente ricca mi ha permesso di respirare un’aria intrisa di ispirazione e riflessione. Ho amato questi autori, che ho letto fin da adolescente, e che probabilmente mi hanno plasmato e stimolato a esplorare la complessità dell’animo umano e le sfide sociali che ci circondano. La Sicilia è una terra non solo di straordinaria bellezza architettonica e culturale, ma purtroppo segnata dalla presenza di fenomeni oscuri come la criminalità mafiosa. È proprio questa dualità che mi ha spinto a sviluppare un forte senso di giustizia, che si riflette anche nelle mie opere. Attraverso la poesia e la prosa desidero dar voce a coloro che spesso rimangono inascoltati e mettere in luce temi sociali che toccano la vita quotidiana delle persone. Scrivere per me è un atto di responsabilità, oltre che una passione; è un modo per contribuire al dibattito su questioni cruciali alle quali desidero tenere alta l’attenzione. Al contempo, voglio ricordare che la letteratura non va intesa essenzialmente come un rifugio e un arricchimento per l’anima, ma anche come uno strumento di cambiamento sociale. La mia sicilianità, con le sue contraddizioni e le sue ricchezze, è un elemento significativo del mio lavoro di autrice, nel quale coniugo la passione per la scrittura alla promozione di una società più giusta e consapevole, dove i diritti umani siano garantiti a tutti e non venga mai meno la lotta contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere, che sono retaggio di una cultura patriarcale e misogina.

Hai lavorato per 35 anni in IBM Italia prima di reinventarti come Life Counselor e Facilitatrice in Mindfulness. Cosa ti ha portato a intraprendere questo cambiamento e come queste esperienze influenzano la tua scrittura?

Posso affermare con certezza che lo spartiacque tra la mia vita prima e dopo l’inizio della mia attività letteraria è stato rappresentato dal mio ritiro dalla carriera professionale. Da allora, avendo più tempo a disposizione, ho potuto dedicarmi alla mia passione per la letteratura. Sono sempre stata appassionata di scrittura e ho letto tantissimo fin da bambina. Inoltre, sono stata sempre affascinata dalle dinamiche psicologiche insite nelle relazioni interpersonali, per cui ho iniziato a studiare psicologia e intrapreso un percorso di counseling che mi ha permesso di maturare competenze umanistiche relazionali. Queste, unite a quelle di facilitatrice in mindfulness, mi hanno consentito di sviluppare abilità legate all’ascolto profondo e non giudicante, all’empatia e al rispecchiamento nel mondo interiore del mio interlocutore, nonché di catturare le mille sfumature del linguaggio del corpo. Infine, è stato incisivo orientarmi verso un approccio “maieutico” (termine greco che si riferisce all’arte ostetrica), cioè il metodo socratico che insegna  a “partorire” la propria verità, piuttosto che a fornire risposte preconfezionate. Senz’altro, il mio essere counselor e la capacità di riconoscere, governare e lavorare sulle emozioni hanno permesso di sviluppare quel profondo aspetto di introspezione psicologica che amo affrontare nei miei testi. Come ogni scrittore sa, “show, don’t tell”: si descrive l’emozione senza rivelarla, affinché ogni lettore possa fare proprio quello stato d’animo descritto, attraverso il rispecchiamento soggettivo delle emozioni provate dai personaggi dell’intreccio narrativo.

Nei tuoi romanzi affronti temi molto profondi, come la disabilità in “Volevo il tacco dodici?”, i disturbi alimentari in “Iris Ali di Vetro” o il trapianto di cuore in “Novanta battiti al minuto”. Cosa ti spinge a scegliere argomenti così impegnativi e come riesci a trattarli con sensibilità?

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Come accennavo prima, sono attratta dal senso di giustizia e dalla necessità di focalizzare l’attenzione su problematiche sociali che mi stanno a cuore. Per me, essere autrice rappresenta non solo una passione, ma anche un mezzo per sensibilizzare su argomenti sociali importanti e spesso trascurati dai media. Sono fortemente convinta che ognuno di noi, nel suo piccolo, con le proprie potenzialità e gli strumenti di cui dispone, possa fare qualcosa per cambiare le cose. Mi definisco una piccola goccia in questo oceano letterario e sociale, e desidero fare la differenza attraverso quello che mi viene più naturale: la scrittura. Nel farlo, mi affido alle mie emozioni, mettendo a nudo la mia anima, con le mie fragilità e la mia forza. Sono altresì convinta che un libro non debba solo rappresentare un piacevole ed emozionante intervallo culturale, ma debba anche lasciare un messaggio, un invito alla riflessione. Un romanzo può rappresentare un momento di introspezione e un passo in più verso la conoscenza e l’approfondimento del proprio universo interiore. Del resto, siamo tutti in cammino verso la parte migliore di noi.

Il tuo impegno per i diritti umani e la pace è evidente nelle tue opere e nella tua partecipazione a progetti internazionali. Qual è stato il momento più significativo del tuo lavoro in questo ambito?

Senz’altro, il momento più significativo in ambito poetico è stato quando mi è stato chiesto di partecipare alla (mia) prima antologia internazionale sulla pace. Sarò sempre grata a Gerda Garcia Hernández, presidentessa dell’Associazione culturale L’Isola Felice, scrittrice, poetessa e promotrice culturale, da sempre impegnata nella promozione dei diritti umani, della pace e dell’inclusione. Gerda mi ha voluta e incoraggiata ad aderire a questo progetto. È stato in quel momento che ho iniziato ad approcciarmi alla poesia, un mondo affascinante e allora sconosciuto per me. Da allora, ho cominciato a scrivere poesie, e questo mi ha aperto nuovi orizzonti. Nell’ambito della prosa, i momenti più significativi sono senz’altro legati ai quattro riconoscimenti di livello internazionale assegnati al mio romanzo “Ventiquattro carati”. Per me, come autrice e donna, hanno rivestito un significato profondo in termini di gratificazione personale, incentivandomi a migliorare sempre di più e a continuare a promuovere temi sociali.

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Hai ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il tuo contributo alla cultura e ai diritti umani. Qual è il premio o il riconoscimento che ti ha toccato di più e perché?

Tutti i premi ricevuti sono stati per me importanti; tuttavia, quelli che hanno avuto un significato maggiore sono stati quelli riconosciuti per il mio impegno civile e sociale nella promozione della pace e dei diritti umani.

Nel tuo libro “Ventiquattro Carati” affronti il tema della violenza di genere. Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere ai tuoi lettori attraverso quest’opera?

Attraverso la storia di Missy, la protagonista di “Ventiquattro carati”, ho voluto non solo sensibilizzare sul fenomeno della violenza di genere, ma soprattutto sullo tsunami fisico e psicologico che investe una donna vittima di violenza. Ho voluto soffermarmi sul percorso di rinascita della protagonista, che rappresenta una giovane donna nella quale tutte le vittime di violenza possono identificarsi e rispecchiarsi. Attraverso la sua forza interiore, la formidabile catena amicale e il percorso psicoterapeutico affrontato, Missy è stata in grado di riprendere in mano le redini della propria vita, rinascere e farlo con totale consapevolezza, concedendosi il perdono. Sì, il perdono: una scelta d’amore verso se stessi e non solo verso il proprio aguzzino. Perdonare significa scegliere consapevolmente ed emotivamente che l’evento traumatico subito non condizioni più la propria vita futura. Con il perdono, l’impermanenza del trauma cede il passo alla permanenza della rinascita. Il messaggio principale che desidero trasmettere ai lettori è che una rinascita è possibile, anche a seguito di un evento traumatico e doloroso come la violenza e lo stupro.

Le tue poesie e traduzioni sono state pubblicate in molte lingue e su piattaforme internazionali. Come scegli quali autori tradurre e quale valore aggiunto credi di portare attraverso questo lavoro?

Mi lascio semplicemente guidare dall’istinto e dalle emozioni che suscita in me un testo poetico. Spesso scopro poesie di autori internazionali attraverso i social e le traduco, pubblicandole con un’analisi del testo sulla piattaforma del giornale Alessandria today. Amo le sorprese e, quasi sempre, il mio è un omaggio di cui il poeta è ignaro fino al momento della pubblicazione. Credo molto nei valori della collaborazione e dell’amicizia e desidero, per quanto mi è possibile, illuminare altri talenti. La promozione culturale è un settore che desidero approfondire e nel quale intendo impegnarmi in modo ancora più massiccio in futuro. Attraverso il mio lavoro come autrice e promotrice, desidero facilitare e accrescere la collaborazione e lo scambio culturale a livello internazionale.

La tua collaborazione con Alessandria today si concentra sulla promozione culturale e sull’analisi di testi e romanzi. Quali aspetti di questa piattaforma apprezzi di più e come vedi il futuro della cultura online?

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In questa sede, desidero ringraziare pubblicamente Pier Carlo Lava, direttore di “Alessandria today”, per avermi annoverata tra le sue “firme”. Scrivere articoli di promozione e approfondimento letterario mi offre la grande opportunità e il piacere di mettere in evidenza e illuminare i talenti poetici. Della piattaforma online di “Alessandria today” apprezzo moltissimo la totale libertà autorale nella scelta della tematica da trattare e la grande varietà di “penne” selezionate dal direttore. Sono convinta che il futuro dell’informazione e della cultura sia sempre più da intendersi in modalità online. Mi preoccupa, altresì, l’uso maldestro e l’abuso dell’intelligenza artificiale, che non potrà mai sostituire la creatività e le emozioni patrimonio di ogni essere umano ma che potrebbe danneggiare e sminuire il grande lavoro e impegno profusi per scrivere un libro. A questo proposito sul mio romanzo “Ventiquattro carati” troverete la dicitura “Made by Human – No A.I. (Intelligenza Artificiale)”.Opera interamente frutto dell’ingegno umano.  

Partecipi attivamente a progetti umanitari, specialmente in Kenya. In che modo questa esperienza ha influenzato la tua visione del mondo e il tuo approccio alla scrittura?

Quando mi viene chiesto: “Ada, come fai a trascorrere sei mesi in Kenya, in una realtà così faticosa non solo dal punto di vista fisico, ma anche climatico, tu che mal sopporti le temperature torride?”, rispondo che sono nata, anzi, ho avuto il privilegio, non il merito, di nascere nella parte giusta del globo. È avvenuto per caso e io, come essere umano, sento il desiderio di sostenere chi ha bisogno. Vivendo in Kenya per lunghi periodi, ho avuto l’opportunità di conoscere altre culture e realtà in cui la povertà è qualcosa di veramente tangibile. Nonostante tutto, il contesto in cui sono immersa offre sempre spunti nuovi per apprendere lezioni di vita da questo popolo meraviglioso. Ad esempio, la loro capacità innata di vivere il qui ed ora, il grande senso di appartenenza e solidarietà tra poveri, il rispetto per gli anziani, che, anche in stato di abbandono e totale indigenza, vengono seguiti e nutriti dalle donne del villaggio. Queste ultime, benché povere, accudiscono gli anziani rispettando la loro condizione di estrema fragilità emotiva e fisica. Come allieva della vita, sono grata anche a  questo popolo dal quale ho imparato molto. Persone che accettano il senso di precarietà della vita e non temono la morte, dimostrano un estremo rispetto per i ritmi della natura e coltivano una profonda spiritualità. Apprezzano la bellezza delle piccole cose e regalano sempre un sorriso, nonostante tutto! La vita, che è una grande maestra, in questa realtà diventa eccellente.

Hai dichiarato che la vita ti ha portata ovunque, ma l’amore ti ha riportata a casa. Qual è il tuo concetto di “casa” e come si riflette nelle tue opere?

Sono una persona serena, fiduciosa negli altri, in se stessa e realizzata grazie all’amore che ho ricevuto, e non mi riferisco solo all’amore della persona che amo e che mi ama, o alla mia famiglia d’origine, ma al concetto di amore nel senso più ampio del termine. Questo include la passione per il mio lavoro e per la vita, così come l’affetto, l’amicizia e le relazioni interpersonali create e consolidate nel tempo. Tutti coloro che ho incontrato mi hanno arricchita e da tutti ho potuto apprendere. Questo per me è “casa”. Sentirsi a casa non equivale solo al concetto di abitazione materiale. Mi sento a casa quando e dove sono amata, compresa e apprezzata. Come ci ha tramandato Plinio il Vecchio oltre duemila anni fa, è casa dove c’è il cuore. Per me è un luogo, una situazione, una sensazione di familiarità, soprattutto, è casa mio marito, mia figlia, i miei amici. Mi piacciono le sfide; ho fatto ben otto traslochi, tutti in città diverse e ogni volta mi sono sentita… di nuovo a casa!

Grazie Direttore per questa intervista.

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Ada Rizzo, 20 gennaio 2025, Malindi (Kenya)

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