Perché gli attacchi israeliani in Cisgiordania non rappresentano una violazione della tregua a Gaza

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23 Gennaio 2025



06:31

La tregua è un accordo politico e non di diritto, quindi le azioni di guerra in West Bank non violano la tregua. Ma in Cisgiordania il governo israeliano porta avanti un disegno di annessione totale. L’intervista a Luigi Daniele, docente di diritto dei conflitti armati dell’Università di Nottingham.

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Intervista a Luigi Daniele

Docente di diritto dei conflitti armati, Università di Nottingham

Subito dopo la tregua siglata dal governo israeliano ed Hamas per il cessate il fuoco a Gaza, le azioni militari dell’IDF (le forze armate israeliane) si sono spostate nella Cisgiordania. L’assedio di Jenin consumato nelle ultime ore, che ha provocato anche diversi morti, oltre a decine di arresti, è la dimostrazione di come nonostante la tregua il conflitto non si sia affatto fermato. Se da un lato rischiamo di assistere ad una spirale di guerra senza fine portata avanti dalle forze israeliane, chiesta anche a gran voce da alcune forze politiche cruciali per il governo Netanyahu, come quelle legate ai coloni, dall’altro tecnicamente queste azioni di guerra non possono essere considerate una violazione della tregua.

A spiegarcelo è il professor Luigi Daniele, docente di diritto dei conflitti armati dell’Università di Nottingham. Che avverte però come la situazione in Cisgiordania, dove le colonie dichiarate illegali dalla giustizia internazionale non sono mai state smantellate, e la violenza dei loro abitanti è sempre stata una costante, vada verso la configurazione di un’azione tesa all’annessione dei territori palestinesi. Israele vuole “depalestinizzare” la Cisgiordania. La guerra non è per nulla finita.

Le azioni che l’esercito israeliano sta compiendo in Cisgiordania sono una violazione della tregua a Gaza da un punto di vista tecnico?

La premessa da fare è che la tregua non è un accordo di diritto, ma un accordo politico, è nel solco quindi dei rapporti di forza più che dei rapporti di diritto. Al netto di questo, non possiamo considerare le azioni militari israeliane in Cisgiordania una violazione della tregua a Gaza, perché l’accordo per il cessate il fuoco concerne solo Gaza e definisce la situazione di quel territorio per le prossime settimane ed al massimo i prossimi mesi, ma niente più. Non è quindi una violazione della tregua, anche se il significato politico di cessare temporaneamente le ostilità a Gaza, e condurre nuove escalation nei territori occupati della Cisgiordania, significa elidere alla radice le possibilità che il cessate il fuoco possa trasformarsi in una pace duratura. Anzi è una dichiarazione di intenti molto chiara che il governo israeliano, e i suoi settori più oltranzisti, che oggi ne rappresentano l’asse portante, non hanno alcuna intenzione di trovare una soluzione al conflitto che sia duratura.

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Quello che avvenendo in Cisgiordania è però solo un’escalation di una situazione che è permanente, ce la spiega?

È una situazione permanente di illegalità strutturale, come sancito dalla Corte internazionale di giustizia nel suo ultimo parere sullo status della occupazione israeliana ai sensi del diritto internazionale. Bisogna capire che le situazioni di occupazione militare sono per il diritto internazionale delle situazioni straordinarie e sottoposte a norme di diritto particolarmente stringenti. La Cisgiordania è un territorio dove per il diritto non c’è la sovranità di Israele e non c’è una delega alla propria sovranità da parte delle autorità palestinesi. Le occupazioni devono essere temporanee e non possono alterare i caratteri demografici dei territori, devono cessare nel momento in cui vengono meno le necessità militari che le giustificano dal punto di vista del diritto. In Cisgiordania non c’è nulla di tutto questo, questa occupazione militare è diventata un’annessione, un furto di territorio con persecuzione ed espulsione della popolazione palestinese. Ma a dire questo è lo stesso governo israeliano, che non ne fa mistero del fatto che considera, parole di Netanyahu, quel territorio di spettanza esclusiva e insindacabile degli ebrei israeliani. Quindi sostanzialmente i palestinesi sono considerati abusivi nella propria terra. Questa occupazione militare sottopone da decenni intere generazioni a forme di controllo e repressione sovrapponibili a quelle di una dittatura militare. Gli arresti senza processo, le sanzioni amministrative, i palestinesi rischiano l’ergastolo per reati di opinione o per reati politici, c’è una negazione dei diritti civili e politici più elementari dei palestinesi. Questo spinge anche alla resistenza armata all’occupazione che viene considerata terrorismo dall’ordinamento domestico israeliano. Non possiamo riprodurre le stesse distorsioni di inquadramento della situazione che vengono da questa illegalità strutturale che provengono dalla narrazione del governo israeliano. Si rischia di riprodurre lo scenario di Gaza, sono stati i ministri Smotrich e l’ex ministro Ben Gvir a dire che bisognava esportare il modello di Gaza in Cisgiordania. Il programma del governo israeliano è destinato a produrre spirali di violenza eruttiva, e si sforza all’estero di negare ai palestinesi ogni possibilità di giustizia che si possa esercitare attraverso il diritto piuttosto che delle armi. Ogni sforzo al ripristino della legalità internazionale, è l’unico sforzo verso la pace.

Il conflitto quindi si sta spostando da Gaza verso la Cisgiordania?

Si è uno spostamento dell’attenzione sulla Cisgiordania, perché lì il conflitto non è mai cessato, e non cesserà nemmeno a Gaza. Finché perdura l’occupazione militare perdurerà un conflitto armato, ogni occupazione militare è di per sé, ai sensi del diritto internazionale, una guerra. È importante sapere che tali sono le occupazioni anche se non si spara un colpo. Anche se non è questa la situazione della Cisgiordania. È una guerra, ed è tale da decenni, e senza un cambio di direzione continuerà ad esserlo. Sulla Cisgiordania il disegno israeliano è quello di “depalestinizzare” il territorio, denazionalizzarlo e renderlo territorio domestico israeliano. In questo senso vanno anche i passi del governo israeliano verso l’amministrazione di Donald Trump. Il grande rischio che i paesi europei devono evitare è quello della creazione un buco nero di illegalità internazionale che viene tollerato e perfino promosso sulla base dei rapporti di forza. D’altronde se vale in questo contesto, può valere in qualsiasi altro contesto dove si daranno i rapporti di forza a favore dell’illegalità. È una situazione che se tollerata è la base per ogni guerra futura, ovunque nel mondo. È un principio distruttivo della coesistenza pacifica dei popoli.

Sul raggiungimento della tregua a Gaza ha pesato anche la decisione della corte penale internazionale di spiccare un mandato di cattura per Benjamin Netantyahu per crimini di guerra?

L’impressione è che abbia avuto un peso, che sia stato uno dei fattori rientrato nella dialettica per raggiungere una tregua, soprattutto da parte statunitense. Purtroppo pare che l’esecuzione o meno dei mandati di arresto sia diventata una sorta di contropartita in questa dialettica, tanto che molti stati europei che sono stati parte della corte penale internazionale hanno fatto sapere di non voler eseguire il mandato di arresto nei confronti del premier israeliano. È un segnale gravissimo, perché ci troviamo di fronte all'”inversione a U” rispetto ad una lunga epoca in cui la lotta all’impunità rispetto ai crimini internazionali era un terreno doveroso rispetto alle potenze occidentali, che lascia spazio ad un’epoca in cui anche questo rispetto minimo della legalità internazionale diventa una questione a corrente alterna, a geometria variabile. Rimane un obbligo quando i crimini sono dei nemici, ma diventa una noia tollerabile se riguarda i governi alleati. Viene meno l’idea dell’uguaglianza sostanziale, non dico formale, davanti alla legge. Gli Stati che hanno fatto queste dichiarazioni stanno mettendo in dubbio la loro stessa adesione a questo sistema di norme internazionali, c’è un divorzio delle potenze occidentali dal diritto internazionale destinato a generare tristissime conseguenze per decenni.

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