Trump: «L’Europa è sleale con Big Tech. Venite negli Usa o pagate i dazi»

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di Federico Fubini

A Davos il presidente Usa avverte gli imprenditori. E su Kiev: «Colpa di Putin se la guerra non è finita»

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DAL NOSTRO INVIATO 
DAVOS
 – È finita che il prezzo del petrolio ha perso l’1,7% e il dollaro quasi lo 0,5% sull’euro in una manciata di minuti. Giusto il tempo di poche battute di Donald Trump, l’aria truce e sommaria di sempre, in collegamento con la sala del World Economic Forum a Davos. Sono bastati due feroci passaggi del presidente fresco di rielezione: l’Arabia Saudita deve far scendere il prezzo del greggio «immediatamente» e a quel punto — ha continuato — lui chiederà alle banche centrali che «i tassi d’interesse scendano in tutto il mondo». Trump è in uno di quei momenti in cui riesce a generare elettricità dicendo semplicemente «hello». Ieri pomeriggio gli è bastata mezza parola nel microfono, per controllare se il collegamento funzionasse, per prendersi il primo applauso della platea davosiana di banchieri, grandi investitori, manager e campioni delle tecnologie. E gli è bastato dire che l’amministrazione di Joe Biden era «un gruppo di gente totalmente inetta» per prendersi la prima risata a scena aperta. Solo passati pochi giorni, ma il gruppo dei più ricchi e potenti del business deride già coloro ai quali mostrava compassata deferenza fino alla settimana scorsa.
I temi sul tavolo

Poi però, quando Trump ha messo tutti i temi sul tavolo, i moti di eccitazione si sono alternati a brusii. Forse era paura. È successo di certo quando il presidente ha cercato di intimidire l’amministratore delegato di Bank of America, Brian Moynihan, invitato sul palco di Davos con altri manager per porre qualche cauta domanda. Ha detto il presidente a Moynihan: «Spero che inizierai ad aprire la tua banca ai conservatori. Spero che cambiate, perché ciò che fai è sbagliato. Tu e Jamie (Dimon, Ceo di Jp Morgan, ndr)».




















































È a quel punto che un mormorio ha attraversato la sala del palazzo dei Congressi di Davos. Manager e investitori devono essersi chiesti per un momento se un giorno si sarebbero trovati anche loro nei panni di Moynihan (Trump in questo caso sembrava riferirsi a dei rifiuti di servizi bancari subiti da alcuni particolari esponenti del movimento Maga).

Ma il presidente, nel suo momento imperiale, non esita a criticare neppure governi stranieri. L’Arabia Saudita è accusata di tenere il prezzo del petrolio troppo alto attraverso l’Opec. Ed è vero che Riad da anni manovra le quotazioni per finanziare le sue distopiche nuove città nel deserto, a spese dei consumatori occidentali. «Sono sorpreso che non abbiate ridotto i prezzi. Se il petrolio fosse più basso, la guerra fra la Russia e l’Ucraina sarebbe già finita». Il riferimento è a un possibile crollo delle entrate per Mosca e allo spazio che gli Stati Uniti avrebbero allora per rafforzare le sanzioni sul petrolio russo senza dover temere rincari eccessivi della benzina. Quanto a questo, Trump ha anche detto che «l’Ucraina è pronta a un accordo di pace» e sulla possibilità di raggiungerlo nel 2025 «dovete chiedere alla Russia».

Ma è all’Europa che ieri il presidente americano ha riservato gli attacchi più sferzanti. Non solo quando ha ripetuto che il green «è il passato» o che l’auto elettrica «è un imbroglio» (e il titolo Tesla, l’azienda di Elon Musk, ieri ha subito un calo in Borsa). L’assalto si è incentrato su un fronte finora rimasto più in ombra: le regole dell’Europa sulle piattaforme del Big Tech. «L’Ue tratta gli Stati Uniti molto slealmente», ha detto Trump, portando un esempio: gli europei — ha martellato — «vogliono 15 o 16 miliardi da Apple, da Google. Per quanto mi riguarda è una forma di tassazione e non dovrebbero farlo». Il riferimento, non esplicitato, è alle indagini Antitrust che Bruxelles sta conducendo sulle due imprese californiane sulla base delle nuove regole del Digital Markets Act. Le Big Tech rischiano multe elevate per abusi di posizione dominante a danno di concorrenti e consumatori. Ma la genuflessione dei leader di Silicon Valley ha già trasformato l’uomo della Casa Bianca in un lobbista dei loro interessi. «Possono piacere o non piacere — ha detto — ma sono aziende americane». 

La minaccia, non troppo velata, è la solita: dazi contro l’Unione europea, da Trump ieri criticata in tutti i suoi innegabili punti deboli: «Amo l’Europa, ma deve accelerare i suoi processi burocratici», ha osservato, ricordando l’eccessivo surplus commerciale verso gli Stati Uniti e gli ostacoli occulti posti all’accesso al mercato della Ue.

Certo Trump ha anche ripetuto alla platea di Davos l’impegno a confermare i suoi tagli alle aliquote sulle imprese, anzi di proseguirli dal 21% al 15%. «Alle aziende dico: venite a produrre negli Stati Uniti e pagherete tasse fra le più basse al mondo, ma se scegliete di restare fuori farete i conti con i dazi». È la promessa, ha ripetuto, di «un’età dell’oro» per gli Stati Uniti. Ma l’eccitazione della platea di Davos stava evaporando. L’applauso finale è stato debole e molto educato.

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23 gennaio 2025 ( modifica il 23 gennaio 2025 | 23:36)

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