CUD e prova del pagamento del TFR – guida rapida
Con l’ordinanza n. 28798 dell’8 novembre 2024 la Corte di Cassazione ha affermato che il CUD è un atto unilaterale del datore di lavoro che non prova l’esistenza di fatti estintivi del credito fatto valere dal dipendente, soprattutto se da parte di quest’ultimo vi sono contestazioni.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte sul credito a titolo di TFR
Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore che è ricorso giudizialmente al fine di domandare l’ammissione al passivo dell’ex datore di lavoro, per un credito vantato a titolo di TFR.
Il giudice delegato al fallimento ha rigettato la domanda, ritenendo provata dal CUD depositato dallo stesso dipendente, l’erogazione del trattamento di fine rapporto.
Nel dettaglio, il Tribunale riteneva che il pagamento del TFR dovesse ritenersi adeguatamente dimostrato dal CUD, depositato dallo stesso lavoratore e facente fede nei confronti della curatela, che, essendo rimasta estranea al rapporto di lavoro, doveva essere considerata soggetto terzo.
Il Tribunale osservava inoltre come il documento avesse un contenuto inequivoco, non contestato dal lavoratore. Si poteva pertanto ragionevolmente ritenere, continuano i giudici, che il credito di cui era stata domandata l’ammissione al passivo fosse stato già soddisfatto.
Il lavoratore propone allora ricorso in Cassazione per ottenere il rigetto dell’opposizione, con due motivi di doglianza.
Il ricorso del lavoratore sul pagamento del TFR
In particolare, con il secondo motivo di ricorso il lavoratore denuncia la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. sostenendo che il CUD – come atto unilaterale proveniente dal datore di lavoro – non comprovava in alcun modo l’esistenza di fatti estintivi del credito fatto valere dal lavoratore, soprattutto in presenza delle contestazioni avanzate dallo stesso.
Pertanto, il tribunale avrebbe dovuto prendere atto che la curatela, sebbene fosse onerata di provare i fatti estintivi del proprio debito, aveva omesso di assolvere questo onere, in modo tale che rimaneva indimostrata l’estinzione del credito di cui il lavoratore aveva domandato l’ammissione al passivo.
Le motivazioni della Suprema Corte
Per la Suprema Corte il motivo di doglianza è fondato.
Ricordano i giudici di Cassazione che la giurisprudenza di legittimità sezione (cfr. Cass. 19820/2023), ha chiarito che, una volta allegata in giudizio la C.U., sia possibile isolarne gli effetti favorevoli per il soggetto che ha prodotto il documento (prova del diritto al TFR) da quelli per lo stesso sfavorevoli (attestazione di avvenuto pagamento del TFR).
Nel dettaglio, la decisione ha condiviso i seguenti spunti.
La provenienza del documento sul TFR
La pronuncia ha ribadito la validità del principio secondo cui “il documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell’onere probatorio in caso di contestazione”.
Ha precisato poi come non sia possibile sostenere che il curatore sia terzo rispetto al datore di lavoro perché, quando intende giovarsi di documenti provenienti dal soggetto fallito (e non opporsi ad essi), egli ne assume la medesima posizione processuale, con quanto ne consegue in termine di rilevanza probatoria di tali documenti.
L’utilizzo del mezzo di prova sul pagamento del TFR
La pronuncia ha poi ricordato il principio secondo cui la rituale acquisizione al processo di un mezzo di prova (documento, testimonianza, informazioni della P.A.) comporta la conseguenza che “esso debba essere integralmente utilizzato dal giudice, sia a favore, sia contro la parte che ha esibito il documento o chiesto I’ammissione del mezzo istruttorio”.
Ha altresì precisato che chi ha esibito un documento non può scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lui contrari, a meno che al momento dell’esibizione abbia fatto presente di voler invocare il documento solo in parte ed abbia dedotto prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili.
L’inscindibilità del contenuto
Ulteriormente, la pronuncia ha sottolineato che il principio dell’inscindibilità del contenuto del documento prodotto da una parte vale, tuttavia, “solo se riferito ai documenti formati da un soggetto terzo rispetto alla parte che vuole avvalersi dei loro effetti favorevoli”.
In questa ipotesi la parte che esibisce il documento non può certamente selezionare quanto in esso rappresentato ed espungere i fatti e le dichiarazioni incorporati nello scritto ad essa sfavorevoli.
Di contro, se il documento è formato da una delle parti in causa, rivive e prevale la ricordata regola probatoria secondo cui lo scritto proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa anche se versato in atti dalla controparte per provare i fatti costitutivi del proprio diritto.
La mancata prova del pagamento del credito
Infine, la sentenza ha ribadito l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui le buste paga e la C.U. provenienti dalla parte datoriale – se prive di altri elementi probatori (come ad esempio quietanze, assegni, invii di bonifici) – non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo.
Ebbene, per i giudici di legittimità la pronuncia impugnata si pone in evidente contrasto con questi principi in quanto, laddove afferma che il pagamento del T.F.R. doveva ritenersi adeguatamente dimostrato dal CUD depositato dallo stesso lavoratore, non tiene conto che il principio dell’inscindibilità del contenuto del documento attiene ai soli documenti formati da un soggetto terzo rispetto alla parte che vuole avvalersene.
Per quelli formati dalle parti in causa, invece, vale la diversa regola che ne esclude il valore probatorio in favore della parte che intende giovarsene, quand’anche a versarli in atti sia stata la controparte per provare i fatti costitutivi del proprio diritto.
Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso discendono altresì l’assorbimento del primo mezzo e la Cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale in diversa composizione che, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra indicati.
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