Il “socialismo” dei fondi pensione – NAUFRAGHI/E

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In una intervista alla SonntagsZeitung, ripresa da laRegione del 13 gennaio 2025, secondo Marius Brühlhart, professore di economia all’Università di Losanna, “i versamenti volontari alle casse pensioni andrebbero limitati perché l’attuale sistema indebolisce la progressione fiscale, poiché le persone più ricche beneficiano in modo sproporzionato dei vantaggi fiscali, e porta a perdite fiscali che devono pagare gli altri”. È il paradosso tale per cui la progressività dell’imposizione fiscale, pensata per far pagare in funzione della capacità contributiva per tradurre un principio di giustizia sociale (all’aumentare della base imponibile, aumenta l’aliquota applicata), a causa delle deduzioni fiscali, finisce col favorire i ricchi. A mo’ di esempio, i contributi versati direttamente dall’assicurato sono deducibili dal reddito imponibile. Finché l’assicurato mantiene il proprio domicilio fiscale in Svizzera, tali contributi possono essere dedotti sia per la parte obbligatoria sia per quella sovraobbligatoria. Inoltre, i versamenti personali (“riscatti individuali”) risultano generalmente deducibili dalle imposte dirette federali, cantonali e comunali, fermo restando talune limitazioni o condizioni specifiche.

Si tratta della strategia neoliberale che, nel nome della difesa della classe media, ha favorito i più ricchi, mentre ha, di fatto, affondato la classe media. È quindi il caso di aggiornare l’aforisma di Hanspeter Tschudi, il padre della moderna AVS, secondo il quale i ricchi non hanno bisogno dell’AVS ma l’AVS ha bisogno dei ricchi. Invece, sembra di poter affermare il contrario, e cioè che i contribuenti facoltosi traggono significativi vantaggi dal sistema di sicurezza sociale e dalle politiche di deduzione fiscale. Nel Ticino ne sappiamo qualcosa, tanto che, come in altri ambiti, deteniamo il record assoluto del numero di deduzioni fiscali. Forse, invece di concentrare il dibattito sull’attrattività fiscale alle sole aliquote fiscali sui redditi, sarebbe il caso finalmente di considerare seriamente l’impatto delle deduzioni fiscali, smettendola di far passare subdolamente le deduzioni come un versamento netto che finisce nelle tasche dei contribuenti.

Non è tutto. I fondi del secondo pilastro (LPP) e quelli della previdenza privata (terzo pilastro) giocano un ruolo cruciale nei mercati finanziari. I capitali accumulati in questi fondi, ossia il risparmio collettivo, vengono gestiti da attori privati, come banche e fondi di investimento, che perseguono rendimenti elevati, tali da poter far fronte agli impegni sul fronte delle rendite pensionistiche. Questo rende i lavoratori e le lavoratrici al contempo investitori indiretti, cioè azionisti, e vittime di un sistema finanziario centrato sul primato del valore azionario (shareholder value), che privilegia la massimizzazione dei profitti e dei dividendi, spesso e volentieri attraverso strategie di riduzione dei costi del lavoro e dell’occupazione.

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Negli anni Settanta, Peter Drucker, con il concetto di “socialismo dei fondi pensione”, aveva suggerito che il sistema dei fondi pensione potesse promuovere una redistribuzione della ricchezza, permettendo ai lavoratori di diventare indirettamente proprietari dei mezzi di produzione. Una visione che si è rivelata un’illusione. Lungi dal socializzare il capitale, i fondi pensione hanno consolidato il potere del capitalismo finanziario, trasformando i lavoratori in investitori passivi di un sistema che privilegia il rendimento a breve termine, correndo rischi sempre più elevati e alimentando le ormai cicliche dinamiche speculative e il loro corollario in termini di bolle destinate a scoppiare.

Se si estende l’analisi ad altri settori del sistema di assicurazione sociale, come l’AVS, gli assicuratori malattia o le casse di compensazione per assegni familiari, il quadro diventa ancora più complesso. Questi soggetti gestiscono enormi liquidità e capitali alimentati dai contributi degli assicurati. Un esempio emblematico è il Fondo di compensazione di AVS, AI e IPG, la cui gestione è affidata, in misura rilevante, a grandi operatori finanziari come BlackRock.

Su scala globale, colossi della gestione patrimoniale come BlackRock, Vanguard e State Street hanno prosperato grazie a capitali immensi, molti dei quali originati dai programmi di quantitative easing (QE), di creazione di liquidità da parte delle banche centrali per mantenere bassi i tassi d’interesse, liquidità poi finita in questi fondi per mancanza di investimenti produttivi. L’assenza di politiche di quantitative easing da parte della Banca Nazionale Svizzera (BNS) non ha impedito che le sue strategie, come il mantenimento di tassi di interesse bassi o negativi e gli interventi sui mercati valutari, abbiano contribuito anch’esse a una massiccia crescita del valore degli asset. Tassi bassi e negativi che hanno penalizzato i piccoli risparmiatori e le casse pensioni, costringendole a investire in attività sempre più rischiose per garantire rendimenti.

Un elemento cruciale è dunque la destinazione degli investimenti. Gran parte, oltre due terzi, delle risorse gestite dai fondi pensione e dalle assicurazioni sociali va a finire in titoli obbligazionari e azionari, anche rischiosi, nonché sul mercato immobiliare. Solo una minima parte (non oltre l’1,5%) di questi investimenti è destinata a investimenti infrastrutturali, proprio quelli di cui c’è sempre più bisogno, tenuto conto che questi stessi fondi stanno abbandonando gli investimenti a favore della decarbonizzazione, per non parlare delle assicurazioni che sospendono e rifiutano di assicurare contro gli incendi in California e contro gli uragani in Florida perché troppo esposti ai cambiamenti climatici.

Il riorientamento degli investimenti a sostegno di interventi infrastrutturali permetterebbe di creare salari e redditi tali da alimentare sia il risparmio collettivo sia la capacità di erogazione di prestazioni sociali, senza per questo dover rincorrere rendimenti ad alto rischio, quei rendimenti, perseguendo i quali si destabilizza l’occupazione e si sacrifica l’ambiente.

Scritto per laRegione
Nell’immagine: l’ingresso della sede principale della BlackRock, a New York



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