Il lavoro ha fatto il suo ingresso nel terzo millennio zoppicando vistosamente. Oggi il movimento operaio non è che un ricordo, i partiti che si richiamavano a quel movimento non esistono più e quando la politica parla di economia annovera solo le imprese e le famiglie come se i lavoratori non avessero diritto di cittadinanza nel mondo della produzione. A queste scomparse si sono aggiunte nuove realtà che hanno monopolizzato il discorso pubblico: il post-fordismo, l’innovazione tecnologica, l’ideologia neoliberista, la globalizzazione.
Spodestato dal ruolo di protagonista dell’economia e della storia il lavoro è stato largamente marginalizzato dalla vita culturale e dal sistema della comunicazione. I riflessi di questa rimozione sono di portata epocale, investono ogni aspetto della società e le sue conseguenze non sono certo esaurite. Tuttavia, nonostante si trovi alla periferia del discorso pubblico, il lavoro resta ancora oggi il modo con cui si producono beni e servizi e si trasforma la società. È anche il mezzo con cui ci si guadagna da vivere, si struttura il ruolo, il prestigio e l’identità soggettiva. Infine, il lavoro resta ancora oggi il principale terreno di confronto tra classi.
Comprendere le dinamiche del lavoro è dunque essenziale per gli stessi lavoratori e le loro organizzazioni sindacali. E in questa direzione la CGIL ha promosso un’inchiesta di massa realizzata dalla Fondazione Di Vittorio e curata da Daniele Di Nunzio intitolata Inchiesta sul lavoro. Condizioni e aspettative, (Futura Editrice, Roma, 2024, pp 655, 35,00 euro). All’indagine ha collaborato un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da numerosi esperti di scienze sociali provenienti dalla stessa Fondazione, dall’università, da enti, istituti e da uffici studi delle categorie sindacali. L’obiettivo generale dell’inchiesta è definito dal suo Responsabile scientifico, Daniele Di Nunzio: “Indagare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori partendo dalla loro esperienza e dal loro punto di vista, per comprendere i bisogni e le aspettative per migliorare il modello di sviluppo e l’azione del sindacato.”
L’inchiesta è stata realizzata tramite un questionario di 53 domande somministrato a un campione di lavoratori che operano in aziende con più di 15 dipendenti. Al questionario, rivolto a tutti i lavoratori, distribuito on-line e off-line tra maggio e settembre 2022, hanno risposto oltre 50mila persone (questionari validi 31.014, di cui 1.501 compilati da disoccupati).
Il ventaglio dei comparti produttivi indagati è davvero molto largo: si va dall’agricoltura alla sanità, dalla moda alla chimica, dalle costruzioni alla comunicazione, dal commercio all’informatica, dall’istruzione al credito e così via. In base ai risultati del questionario sono poi affrontati temi di grande attualità: l’occupazione atipica, l’innovazione tecnologica, la salute psico-fisica dei lavoratori, lo smart working, la condizione dei migranti, la qualità del lavoro, i divari di genere e altri temi ancora.
Inchiesta sul lavoro è un’indagine che prosegue una lunga e democratica tradizione del movimento sindacale. È finalizzata all’ascolto attivo dei lavoratori (i loro bisogni, i loro problemi, le loro idee e le loro richieste) per poi orientare l’agire sindacale seguendo l’approccio della ricerca-azione. Naturalmente nessuna inchiesta copre la realtà in maniera esaustiva né, tantomeno, la fissa in via definitiva. Pertanto, come ovvio che sia, anche questa indagine è circoscritta e presenta le sue difficoltà. I limiti della ricerca, sono dichiarati più volte dagli stessi autori. Innanzitutto il fatto di non aver potuto coinvolgere i lavoratori delle aziende al di sotto dei 15 dipendenti. Poi il fatto che il questionario sia stato diffuso attraverso le strutture sindacali della CGIL e ciò spiega perché una larga maggioranza di rispondenti è iscritta al sindacato. Questi limiti nulla tolgono al valore euristico dei risultati dell’indagine. Un’indagine che, almeno nel medio termine, resta un passaggio non eludibile per chiunque si occupi delle tematiche del lavoro. Ci pare un ottimo risultato che premia il notevole sforzo della Fondazione Di Vittorio.
Data la complessità che caratterizza oggi il sistema produttivo, peraltro in continua trasformazione, dall’inchiesta viene fuori che lo stato di salute del lavoro presenta situazioni molto differenti. A situazioni differenti corrispondono valutazioni differenti da parte degli intervistati. Per esempio, le professioni elevate che operano in smart working sono appagate della loro attività molto più della stragrande maggioranza di dipendenti che lavorano in presenza.
In generale i lavoratori pongono tre questioni principali: la prima è quella salariale (gli insoddisfatti della propria retribuzione sono il 64,3%); la seconda è il diritto alla formazione, la terza è la stabilità del posto di lavoro. Queste priorità ci dicono sostanzialmente che i lavoratori chiedono di uscire dal regime di difficoltà materiale e di incertezza esistenziale in cui li hanno cacciati decenni di politiche economiche neoliberiste. A ben vedere i lavoratori chiedono quello che hanno sempre chiesto. E cioè di essere considerati come esseri umani e non come oggetti intercambiabili.
Dall’inchiesta emerge che l’umanizzazione del lavoro passa attraverso la soluzione di problemi concreti come, per esempio, quello relativo all’eccessiva intensità dei ritmi di lavoro, agli straordinari non retribuiti, alla mancata conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, allo svolgimento di mansioni superiori. Problemi che nonostante tutte le innovazioni (tecnologiche, organizzative, interpretative), continuano a parlare l’antico linguaggio dello sfruttamento. Anche per questo motivo la richiesta dei lavoratori di una maggiore formazione è molto alta. E si comprendono i motivi: il probabile aumento retributivo e la possibilità di resistere meglio alla disoccupazione (tecnologica e non).
Proprio la disoccupazione è la fonte di maggiore preoccupazione tra i lavoratori: la maggioranza degli intervistati ritiene che nella propria azienda si andrà verso una riduzione del personale (68,6%), che si verificheranno delle delocalizzazioni (17,8%) e che si chiuderanno delle attività (17,4%). Percentuali che suggeriscono la presenza di un’emozione largamente diffusa: la paura. Non è una bella condizione di vita, evidentemente. Tanto più se si considera che tra i lavoratori il disagio psico-fisico è molto diffuso: il 67,8% dei rispondenti accusa disturbi all’apparato muscolo-scheletrico e il 65,2% dichiara di essere stressato, in particolare i giovani.
Le difficili condizioni del lavoro che emergono dall’inchiesta permettono di osservare una tendenza negativa del capitalismo italiano: il suo guardare più al Sud-America che all’Europa. Dimostra questa tendenza il reddito del 45% del campione, che oscilla tra i 15mila e i 25mila euro netti all’anno e il fatto che dal 1990 al 2020 i lavoratori dipendenti del nostro Paese hanno subito una perdita del potere d’acquisto del 2,90%, mentre quelli d’area euro hanno conosciuto un incremento del 22,6%.
Altri fattori critici della condizione del lavoro sono costituiti dalla marginalizzazione dei dipendenti dalla definizione degli obiettivi di lavoro, dalla scarsa autonomia concessa dall’azienda e dallo scarso controllo sui processi produttivi. In questo contesto non sorprende più di tanto che, sempre secondo gli intervistati, circa la metà delle imprese siano poco o nulla orientate al risparmio energetico e all’innovazione (criticità che stridono parecchio col proliferare di discorsi attorno a tali temi).
La resistenza all’inclusione dei lavoratori nelle scelte dell’impresa è naturalmente uno dei principali terreni di confronto tra organizzazioni sindacali e proprietà. Un confronto sempre in atto e che, sia per il sindacato sia per i lavoratori, rende la contrattazione (nazionale e aziendale) lo strumento principale per superare le rigidità di un comparto o di un’impresa.
Per chiudere, un rapido cenno a due questioni: che cosa chiedono i lavoratori al sindacato; che cosa il sindacato si propone di fare dinanzi alla problematica condizione del lavoro emersa dall’inchiesta. Senza pretendere di essere esaustivi, sulla prima questione, oltre a temi vitali come l’aumento dei salari e la lotta alla precarietà, i rispondenti al questionario chiedono, per esempio, un nuovo servizio da parte delle Camere del Lavoro quale l’assistenza per il reinserimento lavorativo. In merito alla seconda questione, il problema fondamentale per il sindacato ci pare sia costituito dalla ricomposizione del lavoro. Cioè dalla capacità di portare a unità i bisogni dei lavoratori e le loro rivendicazioni. È una grande sfida per un motivo oggettivo: perché il sistema produttivo è sempre più complesso, differenziato e attraversa una fase di turbolente trasformazioni. È una grande sfida per un motivo politico: perché va sconfitta la volontà di ridurre il valore sociale del lavoro e di impedirne l’emancipazione.
PATRIZIO PAOLINELLI
Laboratorio di Ricerca Sociale, Roma, Italia
La critica sociologica LVIII, 231, Autunno 2024
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link