Barriere architettoniche in Comune: chi è responsabile

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Barriere architettoniche in Comune. Se ci sono delle barriere architettoniche che non consentono a una persona con disabilità di accedere agli uffici comunali, si verifica una discriminazione indiretta. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione Vediamo nel dettaglio. – Scopri le nostre guide complete su invalidità, Legge 104 e pensione anticipata.

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Barriere architettoniche in Comune: il fatto

Una donna, consigliera comunale con disabilità, ha fatto causa al Comune chiedendo un risarcimento per la mancata rimozione delle barriere architettoniche.

A causa di queste barriere, la consigliera non poteva entrare negli uffici municipali e nella sala consiliare. In primo grado, il giudice ha respinto la sua domanda. Il Comune ha spiegato di aver installato un montascale in attesa di costruire un ascensore specifico e di aver spostato le riunioni in una palestra per facilitare la sua partecipazione.

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In appello, però, i giudici hanno riconosciuto la discriminazione indiretta (art. 2, c. 3, Legge n. 67/2006) e hanno condannato l’amministrazione a risarcire i danni, stabilendo una somma di 15 mila euro. Il caso è arrivato in Cassazione.

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Le leggi di riferimento

Le norme che regolano questa materia sono:

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  1. D.P.R. 503/1996 (“Regolamento per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici”)
    • Art. 1 c. 1: definisce le barriere architettoniche come:
      • Ostacoli fisici che creano disagio alla mobilità di tutti, soprattutto delle persone con capacità motoria ridotta o impedita, sia permanente sia temporanea.
      • Ostacoli che limitano o impediscono a chiunque di usare comodamente e in sicurezza spazi, attrezzature o componenti.
    • Art. 1 c. 4: obbliga a migliorare l’accessibilità degli edifici e degli spazi pubblici esistenti, anche se non sono previsti lavori di recupero o riorganizzazione.
  2. Legge n. 67/2006 (“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”)
    • Art. 2: vieta ogni discriminazione a danno delle persone con disabilità:
      • Si ha discriminazione diretta se una persona è trattata peggio di una persona non disabile, in situazione analoga.
      • Si ha discriminazione indiretta quando norme, pratiche o comportamenti apparentemente neutri mettono le persone con disabilità in svantaggio rispetto ad altre.
    • Art. 3: garantisce alle persone con disabilità la tutela giurisdizionale in caso di discriminazione.

L’obbligo di rimozione delle barriere architettoniche

La Corte di Cassazione ricorda che le leggi in questa materia hanno natura obbligatoria. Stabiliscono due punti fondamentali:

  • Obbligo di eliminare le barriere architettoniche.
  • Diritto all’accessibilità per le persone con disabilità.

Si tratta di norme che danno alle persone disabili la possibilità di chiedere tutela contro ogni forma di discriminazione, se incontrano limiti o impedimenti all’accessibilità. Questo diritto vale anche quando manca una regola specifica che elenchi i vari ostacoli come barriere (Cass. 18762/2016).

È necessaria un’interpretazione della legge che rispetti la Costituzione. La Corte Costituzionale dice che l’accessibilità è un aspetto essenziale anche negli edifici privati di nuova costruzione, usati come abitazioni. C’è un dovere collettivo di eliminare, in anticipo, ogni possibile ostacolo che limiti i diritti fondamentali delle persone con disabilità fisiche (Corte Cost. 167/1999; Corte Cost. 251/2008).

La legge è quindi la fonte del diritto soggettivo all’accesso e all’eliminazione delle barriere, da riconoscere alle persone con disabilità nelle diverse situazioni previste (Cass. 18762/2016).

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Tabella riepilogativa

Cosa prevede la legge? Come si applica?
Rimozione delle barriere Vale per edifici e spazi pubblici esistenti
Accessibilità garantita alle persone disabili Diritto a chiedere la rimozione di ostacoli fisici

La ratio della disciplina sull’eliminazione delle barriere architettoniche

La rimozione delle barriere architettoniche serve a facilitare la vita delle persone con disabilità. I principi che ispirano la normativa puntano alla tutela della dignità e della salute (anche psichica) di queste persone (Corte Cost. 251/2008).

L’art. 27 c. 1 della Legge 118/1971 chiarisce che l’eliminazione degli ostacoli è fatta per favorire la partecipazione alla vita sociale. Anche il diritto comunitario, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), riconosce e rispetta il diritto delle persone disabili a misure che ne garantiscano autonomia, inserimento sociale e partecipazione (art. 26).

Quando si verifica una discriminazione indiretta

Il Comune afferma di aver installato un montascale provvisorio, per cui non ci sarebbe discriminazione indiretta. In realtà, l’art. 2 della Legge n. 67/2006 non richiede un comportamento volontariamente discriminatorio, ma basta una condotta colposa (art. 3 c. 3 legge 67/2006; Cass. 18762/2016).

Questo vuol dire che la discriminazione indiretta esiste anche senza intenzione o volontà di discriminare. Nel caso in esame, la Cassazione non verifica nel dettaglio se il montascale fosse davvero sufficiente per garantire l’accessibilità, perché questo richiede un esame dei fatti, non più possibile in Cassazione.

Discriminazione indiretta e risarcimento del danno

In secondo grado, il Comune è stato condannato a pagare circa 15 mila euro alla consigliera. La Legge 67/2006 (art. 3) dà alla persona con disabilità, che subisce discriminazione, la possibilità di chiedere al giudice:

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  • la fine del comportamento discriminatorio,
  • il risarcimento dei danni (sia patrimoniali sia non patrimoniali).

Non è la prima volta che una Pubblica Amministrazione viene condannata per non aver eliminato le barriere architettoniche. Ad esempio, un Comune è stato costretto a pagare 1.500 euro a una donna disabile che non riusciva ad accedere al cimitero (Trib. Mantova Ord. 15.03.2019).

La somma dovuta al disabile è decisa in modo equitativo dal giudice. La Cassazione può intervenire solo se il giudice di merito non spiega i criteri usati per stabilire la cifra (Cass. 24070/2017; Cass. 5090/2016). In ogni caso, il giudice non deve per forza descrivere con molta precisione come ha valutato ogni singolo elemento (Cass. 22885/2015).

Le conclusioni della Cassazione

La donna si è lamentata perché non poteva accedere agli uffici comunali. Il Comune sosteneva di aver preso tutte le misure necessarie (art. 1 c. 4 DPR 503/1996). Invece, i fatti hanno mostrato che queste soluzioni non erano adeguate: lo spostamento delle riunioni nella palestra della scuola e poi il ritorno in municipio (dopo le dimissioni della consigliera) ne è la prova.

La consigliera, quindi, ha correttamente usato la tutela antidiscriminatoria prevista dall’art. 3 della Legge 67/2006. La Cassazione sottolinea che per la discriminazione indiretta non serve alcuna intenzione di escludere, ma basta un comportamento neutro o una mancata adozione di soluzioni adeguate.

Per questo, la Suprema Corte conferma la condanna del Comune a risarcire i danni per tutto il periodo in cui la donna non ha potuto entrare negli uffici, a causa della inerzia dell’ente.

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Nell’immagine una persona con disabilità di fronte alle barriere architettoniche di un Comune.

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