OSCE, POLITOLOGO SHEKHOVSTOV: POSSIBILI NOMINE PILOTATE DALLA RUSSIA
Secondo il politologo ucraino Anton Shekhovstov il Cremlino intende minare le intese tra i paesi europei membri dell’Osce rafforzando i legami politici con tre principali paesi quali Serbia, Kazakshtan e Kirghizistan. Il ricercatore ucraino ha stabilito il Centre for Democratic Integrity a Vienna insieme al collega Andreas Umland e di recente ha avviato uno studio specifico sulle nomine di Vladimir Putin ai vertici dell’Osce negli Stati prima citati. Il meccanismo posto in essere è infatti solo apparentemente tecnico e in realtà porta in luce una questione politica che svela non solo le mosse che il Cremlino intende attuare soprattutto ora che si sta iniziando a discutere con gli americani su come congelare la guerra in Ucraina, ma per di piú che uno dei principali punti al centro del negoziato sarà da un lato, ovviamente, la questione territoriale, e dall’altro quella energetica; non a caso i tre paesi in questione hanno da sempre avuto legami con la Russia e quando lo hanno ritenuto necessario, si pensi alla Serbia nella guerra in Kossovo, non hanno certo aspettato a sostenerli. Mosca teme infatti che una possibile e duratura coesione dei paesi Osce, per quanto labile, possa concretizzare altre sanzioni che quindi alla lunga andrebbero a corrodere la resilienza del sistema economico russo stesso (che per ora ha retto) per poi minare dall’interno quello sociale e politico, base su cui Putin fonda il consenso ottenuto in questi anni e ora con il conflitto in Europa. Secondo i documenti interni citati da Shekhovtsov, attualmente per il Kazakhstan, su sei candidati totali, due sono russi; per il Kirghizistan, su otto candidati, due sono russi; per la Serbia, su otto candidati, due sono russi. Tra questi figura Alexey Lyzhenkov, già noto negli ambienti Osce per presunti legami con i servizi segreti russi.
USA/CINA, SUPPORTO ALLEATI CONTRO PECHINO
In una telefonata con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Marco Rubio, nuovo segretario di Stato americano, ha voluto ricordare che il programma della nuova amministrazione per quanto riguarda gli equilibri internazionali nell’Indo-pacifico sarà incentrato a sostenere gli alleati di Washington contro la Cina, sottolineando che verranno posti al centro “gli interessi americani”. Le prime decisioni della Casa Bianca evidenziano già questo, ossia permettere la vendita di TikTok a società statunitensi, la minaccia di nuovi dazi contro la Cina a partire dal 1° febbraio, e possibili restrizioni sui semiconduttori che colpirebbero Taiwan e altri alleati americani. Non solo, sempre Trump non ha mancato di evidenziare le miree espansionistiche su aree di vitale importanza per gli Stati Uniti quali il Canale di Panama e la Groenlandia, anche al fine di arginare l’influenza cinese, ma paradossalmente dando cosí un motivo in più a Pechino per giustificare le sue rivendicazioni su Taiwan. Tutto questo rende assai difficile concentrarsi sui rapporti tra americani e paesi europei, verso i quali Washington ha ormai adottato una narrazione ostile, tacciandoli di aver usufruito eccessivamente delle risorse offerte dagli americani stessi a partire dal secondo dopo guerra, senza per questo, a loro dire, essere ricambiati. Le priorità dell’Unione europea potrebbe quindi passare in secondo piano di fronte ai desiderata di Donald Trump: tanto da chiedere il supporto di Pechino al fine di congelare il conflitto ucraino quest’anno.
USA/CINA, COMPETIZIONE INDOPACIFICO SI INTENSIFICA
Il divario tecnologico tra Cina e Stati Uniti sta divenendo sempre più sottile. Le abilità informatiche interne al meccanismo di intelligenza artificiale nelle mani di aziende quali DeepSeek e Alibaba dimostrano ormai questo, aspetto che segnerà i decenni futuri circa le capacità civili e militari di Pechino nel competere con Washington. Scenario presto cristallizzato nel possibile negoziato per il cessate il fuoco in Ucraina, che per quanto vedrà al centro il dialogo tra Usa e Russia, non potrà certo fare a meno dell’ingresso della Cina, la quale richiederà, in cambio del suo spendersi per la stabilità internazionale, il riconoscimento dello status di potenza globale attraverso sfera d’influenza nell’Indo-Pacifico. Pechino ha poi già valutato come arginare l’ambiguità e ostilità degli apparati americani nei suoi confronti, specialmente ora con Trump alla Casa Bianca. Non più apparecchiare progetti che già rivelano una portata globale, ma semmai incentrarli anzitutto sul proprio giardino di casa, promuovendo piani di cooperazione economica con i vicini e i partner africani, in modo da ammorbidire le pressioni americani. A fine gennaio infatti Naypyidaw e l’Alleanza nazionale democratica (Mndaa, gruppo di guerriglieri kokang di etnia cinese) hanno raggiunto un cessate-il-fuoco con la mediazione di Pechino, mentre nel Myanmar e in Pakistan la dirigenza mandarina progetta corridoi finalizzati a facilitare la navigazione nell’Oceano Indiano, temendo di incappare nella tenaglia militare dello Stretto di Malacca, gestito chiaramente dalla marina statunitense con il nullaosta di Delhi, non a caso storico rivale di Pechino.
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