Simona Baldanzi: «25 anni fa si diceva che il Tav avrebbe portato miglioramenti ma la Faentina ora è più debole»

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di Simona Baldanzi*

L’intervento della scrittrice mugellana sul caos treni in Toscana: «È un’arteria preziosa, se si ammala lei si ammala tutto il corpo»

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Dai miei studi sui lavori per la grande opera del Treno ad alta velocità che attraversa il Mugello per oltre 70 chilometri di galleria, sono passati 25 anni. Fra i vari interventi compensativi promessi vi era il miglioramento della Faentina, la tratta ferroviaria nata alla fine dell’800 per collegare Firenze e Faenza passando l’Appennino. Mi era ben chiaro allora che si investisse su Italie diverse a più velocità, dove le periferie fossero sempre più a servizio dei centri: un sud da cui prendere manodopera (le tute arancioni dei cantieri) e lasciare isolato con infrastrutture scadenti, un Appennino da foracchiare tralasciando le ferrovie minori.

Eppure allora si sosteneva che il Tav avrebbe portato miglioramenti anche per il territorio, proprio sui treni locali. Chi tentava di fare un ragionamento più complesso per tenere insieme territorio, aree interne, manutenzione, cura, vivibilità, spopolamento, servizi veniva bollato come qualcuno contro la modernità, contro il progresso, contro mezzi di trasporto sostenibili, estremisti a cui non va bene niente. 




















































Una narrazione ribaltata come avviene per tante questioni, d’altronde viviamo un presente in cui si crede che Musk sia contro il sistema e contro le élite quando è l’uomo più ricco e potente del pianeta.

Quel futuro diventato presente ci consegna una Faentina indebolita, gli effetti del cambiamento climatico (basti pensare alle tratte chiuse per frane e smottamenti come fra Marradi e Faenza) e un imperativo ormai urgente che è quello di invertire al più presto tutto il sistema, investendo sul trasporto pubblico come alternativa alle auto: un trasporto pubblico sicuro, capillare, esteso negli orari, adeguato alle esigenze. Sì, un trasporto pubblico moderno, dove veniamo trattati da cittadini che stanno facendo del bene al pianeta (al contrario dei ricchi che utilizzano aerei e jet privati), al territorio (abitare l’Appennino significa proteggerlo) e quindi premiati e non trattati da passeggeri di serie b o da lamentoni incalliti.

Solo chi fa il pendolare conosce il significato di spostarsi ogni giorno per anni. Solo chi fa il pendolare conosce i disagi che si affastellano quotidianamente, la fatica di sopravvivere a treni affollati, treni vecchi, ritardi, cancellazioni, la stanchezza di partecipare ad un gioco dell’oca esasperante che spesso ha dirottato molti a cercare altre soluzioni. Solo chi fa il pendolare dal Mugello sa cosa significa arrivare e partire dai binari più distanti da tutti solo nella stazione di Santa Maria Novella. Una posizione che simbolicamente significa già molto: partire svantaggiato, meno visibile di altri, isolato. Una posizione di solitudine alleviata un po’ dal basso, dalle opposizioni di sinistra locali, dal movimento e dal gruppo pendolari, da chi si scambia informazioni sui social, protesta, cerca di sollevare i problemi e aiutarsi come può.

E se con i servizi pubblici di ogni tipo sempre più svuotati nelle periferie, con la Faentina messa così diminuiscono gli investimenti, le aziende, il lavoro, i turisti, gli abitanti, aumenta l’abbandono scolastico e l’abbandono dei paesi? C’è un livello oltre il quale non possiamo più arrivare?

La Faentina è un treno lento, ma è un’arteria di un intero territorio. Se si ammala, si ammala tutto il suo corpo. Bisogna prendere sul serio questa cosa e dopo la manifestazione di oggi che vede coinvolti anche chi nel passato è stato indifferente o poco attivo o ha sminuito il problema, prendersene veramente cura con coerenza, continuità e concretezza. 

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