Il ritorno alle armi – SettimanaNews

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Intervista a Paolo Beccegato – attualmente responsabile amministrativo del Servizio per gli interventi caritativi della Conferenza Episcopale Italiana – curatore, con Walter Nanni, dell’Ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas Italiana, recentemente edito nel volume dal titolo Il ritorno delle armi.Guerre del nostro tempo (San Paolo).

  • Caro Paolo, ci presenti questo volume?

Si tratta dell’esito triennale di un lavoro di ricerca, su cui Caritas Italiana si impegna da almeno 25 anni, teso – oltre che ad osservare con costanza i fenomeni geopolitici internazionali – a raccogliere i pensieri e le percezioni sui temi della guerra e della pace da parte degli italiani e nei media.

A questa ottava ricerca siamo stati spinti, con uno speciale moto anche del cuore, dal deterioramento, più che allarmante, della situazione internazionale. Abbiamo avvertito, più che mai, l’urgenza di collegare gli eventi orribili che stanno accadendo ai fenomeni di fondo, interpretandoli e formulando proposte, tenendo conto delle posizioni della Chiesa e degli orizzonti che il Vangelo della pace spalanca.

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Siamo costantemente incoraggiati dal magistero di papa Francesco che, sin dagli esordi del suo pontificato, sta denunciando, la «terza guerra mondiale a pezzi»: tanto citata questa definizione, quanto – ahinoi! – ignorata dai “grandi della terra”.

  • Partiamo dalla parola “armi” contenuta nel titolo: cosa ci dice il Rapporto in proposito?

Ci dice che è stato raggiunto il massimo storico della spesa militare, quindi della spesa per armamenti innanzi tutto. Il che non costituisce soltanto, dal nostro punto di vista, una cattiva destinazione di enormi risorse che potrebbero essere molto meglio impiegate: gli studi precedenti, infatti, mostrano, assieme a questo, che la spesa per le armi è da ritenersi fattore co-causale delle guerre nel mondo. La produzione, il commercio e la dotazione di armi creano le condizioni perché le armi vengano effettivamente impiegate e si facciano effettivamente le guerre: tante più armi, tante più guerre.

Nella “psicologia politica”, il possesso di armi – sempre più potenti e tecnologicamente avanzate rispetto al “nemico” – ingenera la presunzione di “vincere”. Ecco, tale convincimento è un fattore con-causale: è dimostrato ed è dimostrabile.

Quindi, spesa militare e psicologia politica militare vanno di pari passo, come ben si nota nel regresso della diplomazia: il rapporto è inversamente proporzionale. Questi sono fatti, traducibili in numeri.

Negli ultimi 2 anni abbiamo assistito nel mondo ad un incremento del 20% delle guerre ad alta e altissima intensità, con un aumento dell’11% delle vittime e con un aumento del 27% – questo in 3 anni – del numero di coloro che dipendono dagli aiuti umanitari. Se poi guardiamo all’indietro, agli ultimi dieci anni, l’incremento di coloro che a causa delle guerre sono stati costretti ad abbandonare la propria casa – sia restando nel proprio Paese come sfollati, sia fuggendo fuori dai confini come rifugiati – è del 100%. Ogni 10 anni il mondo assiste al raddoppio di sfollati e rifugiati, che attualmente sono oltre 120 milioni.

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  • C’è chi obietta: la spesa militare serve a creare “deterrenza”, quindi a prevenire le guerre.

Guardiamo – nella maniera più obiettiva – alla storia: dalla fine della II Guerra mondiale ad oggi, tra il blocco occidentale e i risorgenti imperi di Russia, Cina, Iran e Turchia non si sono verificati significativi scontri diretti. Qualcuno, appunto, dice che ciò è effetto della deterrenza armata e della corsa agli armamenti e questo può essere verosimile. Ma i dati ci dicono che, nello stesso periodo, sono aumentate le “guerre per procura” – quindi le guerre tra i grandi blocchi – ma in “Paesi terzi”.

La stragrande maggioranza dei conflitti nel mondo che noi definiamo «dimenticati», sono stati combattuti e sono combattuti dentro i confini di singoli Stati-nazioni: in pratica sono guerre civili sostenute con armi provenienti dai grandi avversari di sempre: Stati Uniti, Russia, Cina, Turchia, Iran; con Stati Uniti e Russia su tutti.

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Se, dunque, la deterrenza può essere, in qualche modo, servita ad evitare scontri diretti, non è certamente servita ad evitare questa grande guerra mondiale “a pezzi”, con tutte le conseguenze che i numeri esemplificano.

  • Sempre più i morti sono civili?

Già col primo Rapporto, mettemmo in evidenza l’enormità delle vittime civili delle guerre. È un dato storico: dalla fine della II Guerra mondiale la percentuale delle vittime civili sul totale è continuamente aumentata, sino ad assestarsi – ma non è certamente una buona notizia – attorno al 90% dalla fine degli anni ’90 ad oggi. Un impulso notevole a questo dato è stato conferito dalle guerre nei Balcani – in Europa – e nella regione dei Grandi Laghi in Africa.

Il 90% delle vittime di guerra è fatto da civili compresi i bambini!

  • Basta qualche numero – decisamente in crescita – per dire quanto sia grave la situazione?

Proprio perché numeri, grafici e tabelle – che mettiamo a disposizione a volontà – non possono mai bastare per rappresentare l’orrore della guerra, nel corso della conferenza di presentazione del volume di cui stiamo parlando, mi sono permesso una “digressione”: ho letto una pagina del libro del medico congolese Denis Mukwege (Figlie ferite dell’Africa, Garzanti), premio Nobel per la Pace nel 2018 e massimo esperto mondiale nella cura di danni da stupro, che ho avuto modo di conoscere personalmente. Alla lettura di quella pagina il pubblico è ammutolito, più che in seguito alla presentazione dei dati.

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  • Siamo già entrati nel merito. Ora ci puoi dire della struttura del libro-report?

Dopo una prima parte di interventi che rappresentano il quadro generale – culturale o scientifico – a cui ho brevemente accennato, la seconda parte comprende e riflette sulla raccolta dei dati sociologici che caratterizza, ogni 3 anni, questa ricerca. Ci sono dati raccolti con la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito e con l’Osservatorio di Pavia, circa il pensiero sulla guerra dei giovani, nei media televisivi e altro.

Ricordo che lo scopo della ricerca è mostrare come le guerre siano presenti o meno nella coscienza pubblica italiana, dei giovani in particolare. Ebbene, facendo un raffronto con la ricerca precedente, questa mostra che gli italiani sono positivamente attenti e colpiti dal tema della guerra, più di quanto comunemente si creda: dal 75% del 2021 è passata all’ 80% la percentuale degli italiani che ritiene che le guerre siano eventi disastrosi, ma evitabili. Il pensiero va immediatamente alle guerre in Ucraina e a Gaza; e proprio questo è il dato che vogliamo mettere in evidenza: le guerre non appartengono alla sfera di un “destino ineluttabile”; sta all’umanità saper gestire in modi nonviolenti i conflitti che ci sono e che non sono evitabili.

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La stragrande maggioranza degli italiani pensa al potenziamento dell’ONU, chiede ai governi più mediazione politica, più diplomazia. Rilevare che anche molti giovani la pensano in questo modo, è per noi motivo di particolare soddisfazione, perché sembra testimoniare che l’attività educativa spesa nelle scuole – ma anche nelle nostre parrocchie e negli altri contesti educativi – non è vana.

  • Qual è il riferimento al magistero dei papi, per la pace?

Nel capitolo “Artigiani di pace, seminatori di speranza: opere, percorsi di riconciliazione” abbiamo voluto recuperare, a 60 anni di distanza, la grande attualità della Pacem in terris di Giovanni XXIII. I 4 pilastri che allora il Papa aveva individuato – verità, giustizia, amore e libertà – restano fondamentali per tentare ancora oggi, incessantemente, di costruire la pace in questo mondo. La costruzione va messa su fondamenta solide e queste non possono essere che i valori universali, universalmente riconoscibili come tali.

I 4 pilastri sorreggono tutta la convivenza umana nella fraternità, non solo al macro-livello internazionale, ma anche al micro-livello famigliare, comunitario, locale, ovunque si annidi la violenza cieca: tra le mura domestiche dei femminicidi o tra le baby gang nelle “periferie” delle città.

Verità, giustizia, carità e libertà sono parole e fatti da rendere evidenti con l’educazione e la formazione di vita delle persone, per provare a costruire di nuovo contesti di fraternità e di pace. Nella analisi della contemporaneità e nella descrizione degli orizzonti è evidente il continuum con il magistero di tutti i Papi e con la Fratelli tutti di Francesco.

  • Dialogo e trattative: è questa la prima alternativa alle guerre?

Certamente – in cima ai metodi e gli strumenti di risoluzione nonviolenta dei conflitti – anche da questa ricerca emergono il dialogo e la trattativa. Ma abbiamo sottoposto ad analisi critica anche i contenuti di queste parole, perché non siano soltanto belle dichiarazioni.

Nel nostro testo cerchiamo, perciò, di entrare nel merito dei contenuti del dialogo, avendo ben presente che lo stesso Francesco, nella Laudate Deum, ha usato espressioni molto dure per quelle trattative – e per quei mediatori – che non fanno altro che radicalizzare le posizioni dei conflitti, senza portare ad alcuna seria risoluzione.

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La nostra proposta – la proposta della Chiesa e del magistero – va nel verso dell’ampliamento, dell’arricchimento e dell’approfondimento del dialogo e della trattiva, cosa che può avvenire soltanto col maggior coinvolgimento delle comunità in conflitto e della comunità umana tutta. La guerra e la pace costituiscono materia troppo importante per essere semplicemente affidata alle mani di pochi leader.

Cerchiamo di dimostrare che questo è possibile. Ci sono esempi. Ma bisogna volere la pace con grande determinazione.

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  • Il libro parla di “interconnessioni”: la prima è quella tra guerra e povertà, come smontarla?

Le interconnessioni individuate da tempo sono almeno quattro: guerra e povertà, appunto, guerra e degrado ambientale, guerra e finanza, guerra e armi, di cui un poco ho già parlato qui.

La prima è tra guerra e povertà. È facile, intuitivo, cogliere una profonda connessione tra le due realtà. Dimostriamo questa connessione: il 90% delle guerre si consuma nei Paesi poveri; è un dato di fatto. Mentre le politiche e le azioni – anche piccole – messe in atto per contrastare le povertà, dimostrano che disinnescare il motore della guerra e incentivare i percorsi di pace è possibile.

  • Seconda interconnessione, guerra e ambiente: cosa è possibile dimostrare?

Già nella pubblicazione Nell’occhio del ciclone (Caritas Italiana 2009) avevamo preso in seria considerazione l’aspetto dei conflitti cosiddetti “ambientali”. Ci sono intere aree del mondo interessate da cambiamenti climatici rapidissimi, con conseguenze catastrofiche sui territori e sulle popolazioni che ci vivono: inaridimento dei terreni, salinizzazione, impossibilità di coltivare, ecc. Tutto ciò ha – per forza – prodotto maggiori povertà e maggiori conflitti tra popolazioni e gruppi, oltre che massicce migrazioni, a loro volta cause di ulteriori conflitti e di violenze inenarrabili.

Anche questa connessione può essere smontata, ma con tanta determinazione. Faccio l’esempio di centinaia di migliaia di alberi piantati per contenere l’avanzata dei deserti, piuttosto della piantumazione verde che ha abbassato di 3 gradi la temperatura di una città in Colombia. Naturalmente bisogna poi decisamente proseguire – come dice la scienza – sulla strada della transizione energetica e della sostenibilità.

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  • Guerra e grande finanza, quale connessione?

Dal 2011 si succedono nel mondo crisi che manifestano l’intervento speculativo della grande finanza – ad esempio in fatto di prezzi delle materie prime per il cibo -, il cui peso è stato scaricato sui Paesi più poveri e sulla pelle dei più poveri, ovunque.

Anche in questo caso è doveroso, innanzi tutto, riconoscere che la finanza è un fatto umano e, in quanto tale, governabile, se lo si vuole: non c’è necessariamente una mano invisibile che, per conto suo, da una parte arricchisce i ricchi e dall’altra impoverisce i poveri.

Anche la finanza può e deve essere governata dall’etica. Purtroppo, constatiamo che la finanza sta determinando grandi problemi ad intere nazioni e a milioni di persone nel mondo, specie a chi è costretto ad importare grandi quantità di cereali per poter vivere.

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  • Un tempo speravamo che fossero gli Organismi internazionali a costruire la pace. Ora?

Il primo capitolo della parte terza del volume è specificamente dedicato agli Organismi internazionali: va nella direzione della riforma dell’ONU e delle Agenzie collegate – comprese le Corti Internazionali – dopo averne ricostruito la storia in questi ultimi anni.

È chiaro che questi Organismi non vanno presi di mira e declassati, come purtroppo sta avvenendo. Ma vanno ripensati in maniera diversa, per alzare l’asticella dei propositi di pace, non certo per farla cadere.

Nella Laudate Deum, papa Francesco è arrivato a scrivere «non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti» (n. 43): il riferimento ai meccanismi attualmente in vigore nell’ONU – ma anche nella Unione Europea o nella Unione Africana – è chiaro. Come possono portare la pace Organismi in cui a contare sono solo i potenti? Ma Francesco non intende affossare questi Organismi, bensì rilanciarne la vita, l’istanza profonda che ne ha determinato l’esistenza. Perché questo avvenga, oltre che ripensarne struttura e funzionamento, servono anche persone che ci mettano testa e cuore, che siano capaci di picchiare i “pugni sul tavolo” pur di scongiurare guerre e costruire la pace.

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  • Il Giubileo di Francesco cosa ci dice in tal senso?

Il libro comprende anche il tema del Giubileo. Abbiamo fatto in tempo a leggere la bolla di indizione, poi i primi discorsi da cui emerge con chiarezza la visione di papa Francesco.

Il Giubileo, per origine biblica (antico e neotestamentaria) serve a condurre alla remissione dei debiti e non solo in senso figurato o spiritualizzato solo esteriormente. Francesco, come già Giovanni Paolo II nel 2000, chiede la remissione concreta del debito dei Paesi poveri, e aggiunge una cosa importante: lega la remissione del debito al debito ecologico, oltre che economico, che i Paesi ricchi hanno accumulato nei confronti del Paesi poveri. La remissione del debito non è, in altre parole, una questione di misericordia, bensì di giustizia.

E che il debito dei Paesi poveri sia ingiusto è sotto gli occhi di tutti. Perché è determinato – e sempre più appesantito – da meccanismi ingiusti. La questione è complessa, ancor più che nel 2000. Tuttavia, si può e si deve realisticamente affrontare.

L’appello del papa ai Capi dei popoli, nella bolla, è molto forte. Purtroppo, sembra essere già caduto nel silenzio, ma un silenzio assordante, che si fa notare.

  • La Chiesa, le Chiese, gli organismi ecclesiali e le associazioni, i singoli cristiani e le persone di buona volontà, cosa possono fare? Cosa possiamo fare?

La Conferenza Episcopale Italiana, grazie ai fondi dell’8 per mille e all’impegno di tanti sacerdoti, religiose, religiosi, volontari, Caritas e altri organismi, continua a sostenere progetti nei Paesi più poveri del mondo, per la gente e con la gente, con le comunità del posto, anche in zone di guerra.

Si tratta di opere-segno che spesso sono in grado di cambiare la vita di famiglie e di piccole comunità, non certo di mutare la sorte di intere popolazioni e di Paesi martoriati. Questa è tuttavia la strada: esprimere fatti con parole che, insieme, costruiscono una via della pace.

Mi viene in mente quella parabola (cfr Luca 18,1-8) della povera vedova e del «giudice che non aveva timore di Dio, né rispetto degli uomini»: ci richiama all’afflato della preghiera continua «senza scoraggiarsi», ma anche al dovere di continuare a fare le piccole opere, oltre che continuare a chiedere, incessantemente, ai Capi delle nazioni di fare la pace, perché la stragrande parte dell’umanità desidera la pace.

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Il volume Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni, reca i contributi di Francesco Strazzari, Silvia Sinibaldi, Silvia Gison, Pietro Vento, Federica Arenare, Monia Azzalini, Ariana Albè, Vincenzo Corrado, Massimo Pallottino, Paolo Beccegato e Ferruccio Ferrante, Lucia Capuzzi, La presentazione è di don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana.

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