San Biagio | Arcidiocesi di Sassari

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Nel pomeriggio di lunedì 3 febbraio, memoria di San Biagio Vescovo e Martire, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella cattedrale di San Nicola, presenti i medici che nella giornata hanno partecipato al Convegno organizzato, come da tradizione, dalla Clinica Otorinolaringoiatrica dell’Università di Sassari in occasione della memoria del loro patrono.

Di seguito si riporta l’omelia dell’Arcivescovo.

«La celebrazione della memoria di San Biagio ci richiama alla venerazione di un santo taumaturgo, noto per il celebre episodio in cui, grazie alla sua intercessione, salvò una persona che rischiava di soffocare a causa di una lisca di pesce. Questa memoria è certamente significativa, ma molti di voi ricorderanno anche che la celebrazione odierna era tradizionalmente accompagnata dalla benedizione della gola con le candele benedette il giorno precedente, in occasione della Presentazione di Gesù al Tempio. Credo che sia ancora vivo nella memoria di molti il gesto, particolarmente laddove non sia presente una reliquia di San Biagio, di accostare alla gola le candele benedette.

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Le candele benedette nel giorno della Presentazione di Gesù al Tempio ci conducono al mistero della luce pasquale, la luce della Pasqua che ha irradiato la vita umana. Per questo, in occasione della memoria di San Biagio, quelle stesse candele venivano e vengono ancora oggi utilizzate per accostarle, in segno di intercessione, alla gola dei fedeli. Questo gesto richiama il modo in cui la luce della Risurrezione opera anche nella dimensione corporea e fisica della persona. Quando parliamo della risurrezione della carne, tendiamo forse a pensare esclusivamente a ciò che avviene immediatamente dopo la consegna della vita terrena al Padre Celeste. Tuttavia, con la grazia del Battesimo, Gesù ci ricorda che siamo già stati inseriti, in modo mistico, nella sua vita, nella vita del Risorto. Di conseguenza, tutta la nostra esistenza, sia nella sua dimensione spirituale che in quella corporea, è segnata dalla presenza della luce del Risorto.

Il testo che abbiamo ascoltato oggi nella liturgia potrebbe essere oggetto di un fraintendimento, come se si trattasse di una narrazione mitologica del Gesù storico che si avvicina a figure che escono dai sepolcri, e che gridano attorno a Lui per essere liberate. La struttura narrativa di questo brano non deve indurci nell’errore di considerarlo un racconto mitologico. Esso, infatti, trasmette una teologia, una fede. La fede in Gesù che è avvicinatdo a un’umanità sofferente, un’umanità che, come sottolinea l’Evangelista, gridava e si percuoteva con pietre, infliggendosi dolore. Questa persona vive l’esperienza della sofferenza, del tormento interiore ed esteriore. E il Signore accoglie il suo grido, facendolo proprio, condividendo il dolore di un’umanità ferita.L’Evangelista, dunque, vuole sottolineare il significato profondo dell’Incarnazione, il motivo per cui il Verbo di Dio si è fatto carne. Qui troviamo il volto di Dio: Egli è Colui che ascolta il grido del suo popolo, l’invocazione di chi soffre. In modo particolare, si fa vicino a chi sperimenta un dolore così intenso da arrivare ad autoinfliggersi ferite. Ecco che il Signore, accostandosi a questa persona e facendosi prossimo a lui, lo libera da ciò che era nocivo nella sua vita, da ciò che lo teneva prigioniero. L’Evangelista dice che gli restituisce la serenità, la pace interiore, la calma. Dal tormento, egli giunge alla riconciliazione, alla via della libertà.

L’umanità attraversa, e talvolta è chiamata ad attraversare, molteplici forme di sofferenza. In questo caso, l’Evangelista sottolinea come fosse una legione di demoni a causare tormenti di ogni genere. Tant’è vero che questa persona, inizialmente, esprimeva la propria angoscia con gemiti di dolore, rivolti sia all’esterno sia verso sé stessa. Ma alla fine, dopo aver incontrato Gesù, sperimenta una tale pace interiore da desiderare di restare con Lui. Egli chiede a Gesù di poterlo seguire. Credo che questo elemento sia particolarmente significativo per noi, poiché ci riporta al mistero di Dio che opera nella creatura umana la riconciliazione, donandole pace. Esistono diverse forme di sofferenza, e tutte meritano di essere ascoltate. Mi fa piacere che la scienza positiva abbia presente la complessità e la dimensione integrale della lettura scientifica della persona umana. È proprio questa dimensione che permette una comprensione profonda dell’essere umano. Curare non significa occuparsi solo di una parte del corpo, come ben sappiamo, ma prendersi cura della persona nella sua interezza.

Si cura una persona nella sua interezza, certamente a partire dal punto in cui la malattia si manifesta in modo più evidente. In questo caso, però, Gesù guarisce la persona nella sua profondità, nella sua interiorità. Talvolta vi sono malattie che non si manifestano in un punto preciso del corpo, ma che si esprimono nella sofferenza interiore, nel dolore e nel tormento. È proprio in questi casi che diventa fondamentale saper ascoltare questa sofferenza. Per questo, Papa Francesco, parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze, sottolinea come oggi, più che mai, sia necessario riflettere sul rapporto tra la persona, le tecnologie emergenti e il bene comune. Egli evidenzia tre sfide cruciali che richiedono attenzione da parte dell’umanità del nostro tempo. La prima sfida riguarda il cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo nel mondo della tecnica. La tecnologia, afferma il Santo Padre, è una risorsa preziosa e rappresenta un contributo fondamentale al progresso. È nella natura dell’uomo operare nel mondo attraverso la tecnica, trasformando l’ambiente e migliorando le condizioni di vita. Tuttavia, quando la tecnologia non è impiegata per il bene della persona, diventa necessario fermarsi e interrogarsi: fino a che punto è lecito l’agire umano? Qual è il confine oltre il quale la tecnica smette di servire l’uomo e rischia, invece, di comprometterne la dignità?

 Vi è poi una seconda sfida: l’impatto delle nuove tecnologie sulla definizione della creatura umana e della sua relazionalità. Inparticolare, evidenzia Papa Francesco in rapporto ai soggetti vulnerabili. In un momento come il nostro, sottolinea ancora il Santo Padre, occorre discernere il proprio dell’umano e il proprio della tecnica. Nessuno più di un chirurgo esercita il discernimento, poiché deve valutare con precisione ogni situazione; nessuno più di un medico è chiamato ad esercitare il discernimento. Tuttavia, aggiunge il Papa, il discernimento non può limitarsi alla sola dimensione tecnologica. È fondamentale riaffermare con decisione l’importanza della coscienza personale, poiché è essa a guidare l’agire umano verso il bene autentico e il rispetto della dignità della persona.

 Vi è poi un’ulteriore dimensione che Papa Francesco sottolinea: la relazionalità. La tecnologia, per quanto avanzata, non può mai sostituire il contatto umano; il virtuale non può prendere il posto del reale, né i social possono rimpiazzare l’autentica dimensione sociale della vita. Nel suo documento Humana Communitas, il Santo Padre invita l’umanità a promuovere una nuova fraternità universale. Allo stesso tempo, esorta ciascuno di noi, sull’esempio di Gesù, a saper ascoltare il grido di tante persone sofferenti, spesso lasciate a vagare nel silenzio, senza trovare voci capaci di accogliere il loro dolore, le loro ferite e le loro malattie.

 San Biagio ci insegna proprio questo: avere un orecchio attento, un cuore aperto e un’intelligenza capace di empatia, di ascolto e di relazione. Qui sono presenti molti giovani, specializzandi, il futuro di una comunità scientifica chiamata a promuovere quel nuovo umanesimo che il Santo Padre affida a ciascuno di noi, perché ogni persona ne sia artigiana nella vita quotidiana».

 Nella mattinata l’arcivescovo Gian Franco ha fatto visita ai pazienti della Clinica Otorinolaringoiatrica di Sassari, incontrando i pazienti ricoverati e il personale medico e paramedico.

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