Banche, il grande intreccio. Non solo sportelli, in gioco anche polizze e risparmi: tutto sta cambiando

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di
Stefano Righi

L’offerta del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha come fine ultimo le Generali: un progetto che darebbe vita al vero terzo polo finanziario italiano. Ipotesi per certi versi rivoluzionaria, mentre Unicredit gioca su due piani, Italia e Germania e fa trading sui titoli del Leone di Trieste

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Si è appena concluso gennaio e abbiamo già una certezza: il 2025 sarà un anno memorabile. Nei prossimi mesi andranno infatti a concludersi, in un senso o nell’altro, tutte le offerte pubbliche di acquisto e di scambio che oggi sono sul mercato. Un complesso di operazioni che hanno potenzialmente la forza di ridisegnare completamente la geografia della finanza italiana, dalle banche alle assicurazioni, alle società di gestione del risparmio.
Quello che si prospetta è un mondo nuovo o, se preferite, il mondo alla rovescia. Certezze che si erano consolidate nel corso di decenni oggi sono messe in discussione e tutto lascia presupporre che non sia finita: viene da dire, the best is yet to come, il meglio deve ancora arrivare.

Delfin & Caltagirone

Ma cerchiamo di andare con ordine, dipanando una fitta matassa di intrecci e di interessi che sottendono ai progetti, che sono finalmente emersi alla luce del sole. L’operazione più rilevante è l’ultima lanciata: l’offerta pubblica di scambio del Monte Dei Paschi di Siena su Mediobanca ha qualcosa di sorprendente. Fino al novembre del 2022 il Monte dei Paschi era a un passo dal fallimento, reduce da 15 anni di profondissima crisi che ne ha cambiato la governance, con la maggioranza assoluta passata dalla Fondazione Monte dei Paschi al governo italiano attraverso ripetute iniezioni di liquidità, effettuate anche con denari pubblici.
Il brutto anatroccolo senese è già diventato uno splendido cigno? Lo straordinario lavoro realizzato da Luigi Lovaglio, che venerdì 7 completa il suo terzo anno a Siena, viene ora proiettato in un’ottica trasformativa di Banca Mps e ha in Mediobanca l’ideale corollario di una offerta commerciale che allora sì potrebbe diventare completa e interessante. Non sfugge, a Lovaglio, a Mediobanca, agli osservatori di mercato e alle autorità di vigilanza, in Italia e in Europa, la singolare coincidenza che due gruppi industriali molto potenti, come la Delfin degli eredi Del Vecchio e la galassia romana che fa capo a Francesco Gaetano Caltagirone – per inciso due delle realtà più liquide del Paese – siano al contempo azionisti di Mediobanca e del Monte dei Paschi di Siena. Come non sfugge che Mediobanca sia la prima azionista della prima compagnia di assicurazioni italiana, le Generali, quarto gruppo europeo dopo Allianz, Axa e Zurich e quindi è facile immaginare il progetto di una grande tangenziale della finanza che da Siena passi per Milano e arrivi a Trieste.
Si parla già di terzo polo. Questo sì, lo sarebbe, anche con evidenti vantaggi sul fronte dei crediti fiscali (Dta per circa 2,9 miliardi di euro da spalmare negli anni), che nel caso di arrivo a Trieste si moltiplicherebbero applicando il cosiddetto Danish compromise, il compromesso danese, che consente un trattamento favorevole delle partecipazioni assicurative nei requisiti patrimoniali di una banca.




















































Dividendi

La grande ops lanciata da Lovaglio ha come destino ultimo Trieste, ma le Generali stanno spostandosi verso Parigi, dove sono in atto trattative importanti con Natixis per costituire un gestore del risparmio di dimensione mondiale. Una partita molto importante a cui il Leone di Trieste affianca una promessa: 7 miliardi di dividendi nei prossimi tre anni. Una sostanziosa zolletta di zucchero per gli azionisti, ma tra questi ci sono ancora Delfin e Caltagirone, che sulle Generali hanno messo gli occhi da tempo e anche diversi denari, controllando già oggi il 16,278 per cento della compagnia che diventerebbe il 29 per cento qualora i due arrivassero a Mediobanca.
Sull’importanza strategica della compagnia di Trieste, anche per generazioni di risparmiatori, vale la pena richiamare cosa rispose Tancredi Bianchi, indimenticato docente della Bocconi e presidente dell’Abi, a uno studente che chiedeva consigli di investimento: «Stia sulle Generali – disse -, non entri mai nei particolari…».
Piazzetta Cuccia ha risposto con severità alla proposta di scambio. Si tratta, ha scritto Mediobanca, di un’operazione ostile che distrugge valore, ancorché non sia una offerta inattesa, viste le modalità di collocamento dell’ultima tranche di azioni Mps che il governo ha posto in vendita. Un’operazione realizzata attraverso Banca Akros e finalizzata a soddisfare la richiesta di soli quattro investitori: Anima, Banco Bpm e, appunto, Caltagirone e Delfin. Eccolo dunque il progetto, mentre per Mediobanca non esiste alcuna sinergia di business e il posizionamento retail di Mps cozza con i progetti di Piazzetta Cuccia, tanto che si rischierebbe una perdita di valore confondendo Mediobanca Premier con Widiba, la digital bank senese. Per non parlare dei multipli, dicono a Milano, individuando in 2,5 miliardi di euro la necessità cash di Mps per far fronte all’operazione. A tal fine, il 17 aprile delibererà l’assemblea del Monte e sarà interessante vedere come risponderà la mano pubblica.

Parti da scambiare

Ragioni dunque opposte a quelle di Mps e andranno tutte verificate sul mercato. Perché i grandi azionisti di Mps, Mediobanca e Generali sono sì i due gruppi industriali citati a cui si deve affiancare il ministero dell’Economia e delle Finanze che controlla quasi il 12 per cento del Monte, ma ben più pesanti sono complessivamente le quote in mano ai fondi internazionali di investimento. Sono loro i grandi azionisti dei tre gruppi in gioco. E dalle loro risposte si deciderà la grande partita. Se è vero che Mediobanca è grande collocatore di fondi e quindi gradito partner d’affari, c’è forse qualche operatore che intende mettersi contro il governo di uno stato sovrano? Il grande intreccio si deciderà sulle risposte che i fondi daranno alle parti in gioco. Al punto che, la scorsa settimana, un operatore di mercato ha profetizzato: «questa è una partita che vincerà solo chi ha qualcosa da scambiare…».

Le dimensioni in gioco

A questo punto vale però anche la pena di chiarire un fatto importante, relativo alle dimensioni delle operazioni in gioco, soprattutto se guardate con gli occhi degli investitori internazionali. La grande partita della finanza italiana interessa solo una parte dell’intero listino di Piazza Affari, che complessivamente capitalizza circa 870 miliardi di euro. Lunedì scorso, sul Nasdaq, il listino tecnologico di New York, il produttore di microchip Nvidia ha perso, in una sola seduta, 600 miliardi, come se due terzi della Borsa Italiana non ci fossero più. Una cifra enorme, che vale circa 8 volte Unicredit e 7,5 volte Intesa Sanpaolo. Eppure, Nvidia è ancora capace di valere oltre 3 mila miliardi di dollari, ovvero 40 volte la prima banca italiana.
Proprio Intesa Sanpaolo, che in passato tentò una sortita verso le Generali, domani, martedì 4, presenterà i conti dell’intero 2025. La posizione del gruppo guidato da Carlo Messina al momento è attendista. Cambierà dal 29 aprile, data dell’assemblea che rinnoverà il mandato all’amministratore delegato e al presidente. Con il rinnovo in tasca Messina giocherà la propria carta. Cinque anni fa colpì duro sul mercato italiano, prendendo Ubi. Oggi l’Italia delle banche le è preclusa dall’Antitrust. Potrebbe, visto che le polizze vanno sempre di moda, pensare a un merger con Unipol, secondo assicuratore della Penisola. Oppure guardare fuori dai confini, nella direttrice che dalla Svizzera conduce a Parigi. Di certo qualcosa Intesa preparerà, anche perché se a Unicredit riuscissero entrambe le operazioni che ha lanciato, ovvero l’acquisizione della tedesca Commerzbank e dell’italiana Banco Bpm, il gruppo guidato da Andrea Orcel – che nel weekend ha investito in Generali dichiarando un mero fine speculativo – diventerebbe leader in Europa e conseguentemente anche in Italia.
Le battaglie della finanza sono però ancora tutte da giocare e alla fine conterà il valore delle offerte. Ma comunque vadano a finire tutte queste operazioni, un simile tentativo di ridisegno degli equilibri finanziari del Paese non si era mai visto in un colpo solo.

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