Non mi piace parlare di “crisi” migratoria. A mio avviso, questa espressione corrisponde alla nevrosi del dibattito – tattica dell’estrema destra per creare il problema – e impedisce una riflessione approfondita e pacata su un tema così importante.
Ma va detta una cosa: stiamo vivendo un momento decisivo. Non perché la civiltà occidentale sia in “pericolo”come alcuni sostengono, ma perché il moltiplicarsi dei conflitti, la crisi climatica e l’aumento delle disuguaglianze richiedono nuove politiche migratorie. Cosa possiamo aspettarci nel 2025?
Più conflitti, più movimenti di persone
59 conflitti tra Stati in 34 paesi: il 2023 è stato uno degli anni più violenti mai registrati, secondo uno studio dell’Oslo Peace Research Institute. Guerra in Ucraina, Gaza, Sudan: più i conflitti si moltiplicano e si impantanano, più aumentano le possibilità di nuove partenze verso l’Europa. Senza contare il riscaldamento globale, che continuerà a generare movimenti di popolazione interni ed esterni.
In The Conversation, Barah Mikaïl parla della migrazione dal Libano. Sebbene l’articolo sia stato scritto prima della firma del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, le conclusioni rimangono attuali. Secondo Mikaïl, accogliere gli esuli dal Medio Oriente sembra oggi molto più difficile che nel 2015, anche a causa dell’aumento della retorica e dei partiti anti-immigrazione. “La questione se l’Ue possa accogliere tutti i rifugiati provenienti dal Libano e da altri conflitti in Medio Oriente è complessa”, riassume. “Anche se sulla carta sarebbe economicamente fattibile – e indubbiamente vantaggioso nel lungo periodo – una tale decisione sembra politicamente fuori portata. L’approccio dell’Ue a questa crisi sarà determinato dalla sua unità (o dalla sua mancanza) su una politica comune”.
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Le persone migranti, d’altra parte, soffrono in termini molto reali per i conflitti e le carenze del sistema di accoglienza. Público fa una constatazione schiacciante: “È preoccupante che dal 2014 più della metà dei decessi registrati in relazione alla migrazione si siano verificati in Europa o sulle rotte che portano al continente”, avverte. Nell’ultimo decennio, 30mila migranti sono morti o dispersi nel Mediterraneo. “In altre regioni, come il deserto del Sahara, si stima che il numero di vittime possa essere ancora più alto”.
“Anche le conseguenze sulla salute mentale sono allarmanti”. Il quotidiano spagnolo aggiunge: “Molti migranti soffrono di ansia, depressione e stress post-traumatico. In Europa, più di 100mila persone vengono trattenute ogni anno per motivi amministrativi. In Spagna, il 70 per cento degli immigrati collocati nei centri di detenzione sviluppa gravi problemi di salute mentale e due su dieci pratica atti di autolesionismo”.
Come possiamo pensare alla migrazione di domani?
Come dimostra l’entusiasmo di Ursula von der Leyen per la deportazione dei migranti – riportato da Eddy Wax per Politico – e la proliferazione di politiche restrittive all’interno degli stati membri – è probabile che la politica migratoria dell’Ue continuerà a seguire la strada attuale. In un articolo che ripercorre la storia degli accordi migratori tra il blocco e i suoi partner, ll Post riassume perfettamente lo stato d’animo europeo: “Da un certo punto di vista, si può dire che questi accordi abbiano funzionato, se si adotta il punto di vista di chi li ha promossi. Gli arrivi via mare da Turchia, Libia e Tunisia, per esempio, non sono più tornati ai livelli precedenti agli accordi, stipulati rispettivamente nel 2016, nel 2017 e nel 2023. Le conseguenze però sono state enormi e allo stesso tempo poco raccontate, anche perché banalmente avvengono in paesi dove il lavoro dei giornalisti e delle associazioni che si occupano di diritti umani viene ostacolato dai governi locali”.
E se, per cambiare, chiedessimo l’opinione dei principali interessati? È questa la proposta della New Europeans Initiative del think tank Migration Policy Group, che ha intervistato 71 rappresentanti di organizzazioni e gruppi gestiti da persone con un passato da migranti sulla politica europea da adottare in questo settore. I risultati? I rappresentanti hanno posto l’accento sulle politiche di integrazione, sull’accesso all’occupazione, sulla difesa della protezione internazionale e sulla lotta contro la tratta di esseri umani: una scelta ben lontana dai luoghi comuni che dipingono i migranti come più interessati al benessere che all’integrazione nelle società di accoglienza.
In un momento in cui l’estrema destra sta collezionando successi elettorali alimentando e navigando su una vera o presunta crisi migratoria, come possono i partiti tradizionali continuare a resistere? Sebbene la risposta si riduca spesso a copiare l’estrema destra, questo non è inevitabile.
In uno studio condotto per la Foundation for European Progressive Studies (FEPS) – un think tank associato alla famiglia dei partiti politici progressisti a livello europeo, Stine Laurberg Myssen e Asbjørn Sonne Nørgaard delineano alcune possibilità. I due ricercatori hanno analizzato le opinioni degli elettori su migrazione e protezione sociale in Germania, Danimarca e Svezia.
“L’integrazione degli immigrati è essenziale. Non è solo una questione di comunicazione politica e di rappresentazione degli immigrati, ma anche una grande sfida politica”, riassumono i due: “Gli immigrati che hanno un lavoro e parlano la lingua locale non sono un problema per la maggior parte degli elettori, e nemmeno per una gran parte degli elettori [dei partiti populisti di destra]”.
Per i partiti socialdemocratici, investire nella protezione sociale e nell’uguaglianza è essenziale per rispondere alle preoccupazioni delle classi medie e lavoratrici. Così come l’integrazione degli immigrati attraverso l’accesso al lavoro e alla lingua: “Questa è una sfida importante, ma l’ansia degli elettori per l’immigrazione – in particolare tra gli elettori dei [partiti populisti di destra] – è improbabile che scompaia presto se i [socialdemocratici] non riescono a raccogliere questa sfida”.
Forse il 2025 potrebbe essere l’anno in cui discuteremo la direzione della nostra politica migratoria. Siamo diventati così concentrati sulla cosiddetta necessità – “dobbiamo controllare l’immigrazione a tutti i costi” – che abbiamo perso di vista le reali conseguenze economiche, politiche e umanitarie delle nostre decisioni.
Una crisi autorizza tutto; forse è di questo che dobbiamo parlare domani.
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