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Il presidente di Confindustria Emilia Centro e il report sulle filiere dell’associazione: «I dati 2021-2023 sono buoni, fotografano una realtà esistente». Colla: «Se Trump colpisce la Germania, si licenzia qui»
È una regione resiliente, «ancora la locomotiva d’Italia», — per usare le parole del presidente di Confindustria Emilia Centro Valter Caiumi — ma nel gorgo di un mutamento epocale che spinge le imprese a investire con più forza, affrontando non pochi rischi e le incertezze. Con il carico della politica dei dazi nell’era Trump. Così si presenta l’Emilia-Romagna nel quadro tracciato dalla terza edizione degli Osservatori di filiera realizzati da via San Domenico in collaborazione con Crif.
Paramentri sopra la media
«I dati sono buoni — premette Caiumi — Anche se sono storici, cioè analizzano il triennio 2021-2023, fotografano una realtà esistente». Una realtà in cui 20 filiere che raggruppano 3.400 imprese associate fra le province di Bologna, Modena e Ferrara (per un fatturato di 99 miliardi e 263mila lavoratori) vanta parametri economici come fatturato, ebitda, export e innovazione che superano la media nazionale. Un rapporto che non cambia se si valuta la regione nel suo complesso. Anche se non è un mistero la flessione generalizzata dell’ultimo trimestre del 2024. «Il mondo sta cambiando a grande velocità — ragiona Caiumi— ma le nostre imprese continuano ad investire, e lo fanno soprattutto sulle persone, tanto da alzare il tasso di occupazione, e sull’innovazione». In quanto ai dazi attuati e minacciati da Trump, «la preoccupazione c’è sicuramente, perché credo possa portare dei rallentamenti importanti. Ma noi come Confindustria lo diciamo da tanti anni che si sarebbero ridisegnati dei nuovi continenti economici. La globalizzazione ha avuto una frenata e proprio per questo dovremmo riuscire ad amministrarla».
L’Europa agisca
La sveglia dovrebbe darsela l’Europa: «Deve fare una politica espansiva — non ha dubbi il numero uno di Confindustria — In Europa parliamo solo di regolamenti. Ci stiamo chiudendo in casa, è un grave errore non aver fatto una politica espansiva. La nostre imprese dovranno considerare di fare investimenti produttivi da altre parti e il nostro Paese, per contro, potrebbe essere attrattivo per imprese straniere». Ma questa Europa — insiste — «è sempre passiva. C’è sempre un’azione di difesa: ci prepariamo all’attacco, ma potremmo cominciare anche ad attaccare. La presidente del consiglio, Giorgia Meloni deve fare la sua parte ma l’impennata diplomatica è lenta. Noi abbiamo bisogno di una strategia economica che automaticamente produce opportunità di business. Non si parla mai di espansione».
I dazi: effetti a catena
Tornando al territorio, se alcune filiere rischiamo perché gli Usa sono un mercato importante, altre «possono contare sul fatto che l’America ha perso molta manifattura». «I dazi dal punto di vista politico non hanno mai portato belle cose in Europa — gli fa eco il vicepresidente dell’Emilia-Romagna con la delega allo sviluppo economico Vincenzo Colla intervenuto alla presentazione dell’Osservatorio — Se venissero applicati contro la Germania, Berlino porterà dentro le produzioni. Mica licenzieranno i lavoratori tedeschi rispetto alla catena del valore i licenziamenti arrivano in casa nostra».
Un po’ di numeri
Intanto Colla e Caiumi concordano sul fatto che lo stravolgimento in atto della realtà impone sia a imprese che istituzioni un investimento «senza precedenti» sulla formazione e l’attrazione di competenze che oggi servono al sistema economico ma ancora si fatica e reperire, e sull’innovazione digitale puntano sulle smart factory. «Ci vuole anche una finanza paziente — aggiunge il vicegovernatore — che si allei con le Pmi», affinché il salto competitivo necessario possa avvenire. «Il modello emiliano — sottolinea infine Caiumi — basato su società top brand e sulle filiere», quanto meno, a giudicare dal report, sembra pronto alle sfide. Significativi sono i dati sull’ebitda (11,8% contro la media nazionale del l’8,6%) e quelli relativi agli investimenti in rapporto al fatturato (5,3% contro il 4,9%). Guardando infine all’«innovation score» di Crif che valuta il livello di innovazione, il 34% delle imprese associate ha ottenuto 1, il punteggio massimo, conquistato solo dall’11,7% delle aziende con sede nel resto d’Italia. Il dato supera il 46% per le filiere «top performer»: chimica e farmaceutica, veicoli industriali, elettronica e meccatronica, macchine e packaging.
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