Firenze – Teatro Verdi: Riccardo Bisatti dirige l’Orchestra della Toscana

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Il programma presentato dal direttore venticinquenne novarese Riccardo Bisatti al Teatro Verdi di Firenze per la corrente stagione dell’Orchestra della Toscana si potrebbe definire una grande, intensa meditazione sul tema della morte, anche se la Quaresima – periodo forse più adatto alla riflessione – è ancora lontana.

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Apre il concerto l’Adagio per archi op. 11 di Samuel Barber, pagina piuttosto nota che ci introduce emozionalmente in medias res, e lo sviluppo della serata sarà addirittura con la Sinfonia n. 14 di Shostakovich, composizione di straordinaria profondità e bellezza, penultima opera sinfonica del grande Maestro russo di cui si celebra in questo 2025 il cinquantenario della morte. Entrambe le composizioni richiedono un’orchestra ridotta a soli archi (con l’aggiunta nel caso di Shostakovich di alcune percussioni), quindi perfettamente in linea con le dimensioni naturali dell’Orchestra della Toscana.

La prima pagina in locandina altro non è che la trascrizione per orchestra d’archi (fatta da Barber stesso forse su suggerimento di Toscanini, che la tenne a battesimo il 5 novembre 1938) di un tempo del suo Quartetto op. 11, un brano per il quale l’autore si era ispirato ad un passo delle Georgiche di Virgilio, e che col suo andamento flessuoso avrebbe dovuto rimandare all’dea di un rigagnolo d’acqua che passando per i campi si ingrossa bagnando e rendendo fertili i terreni che percorre. Ma non c’è niente di pedissequamente descrittivo nell’Adagio per archi, che per la sua profondità e per la densità dell’orchestrazione assume carattere mesto ed introspettivo, tanto che a volte è stato usato per accompagnare cerimonie solenni: Riccardo Bisatti ne coglie il senso e la profondità, anche se sembra prediligere una partecipazione emotiva legata ad una lettura fondamentalmente serena, tutta giocata sulle sospensioni e sulle finezze degli archi dell’Orchestra della Toscana che si comporta assai bene.

A proposito della Sinfonia n. 14 di Dmitrij Shostakovich scrivevamo qualche anno fa in occasione di un’esecuzione al Teatro del Maggio: “Usando testi di Federico García Lorca, Guillaume Apollinaire, Wilhelm Kuchelbecke e Rainer Maria Rilke il musicista compone una autentica meditazione sul tema della morte, un vero e proprio Requiem laico (o forse addirittura “ateo”, nel quale non è dato scorgere neppure un briciolo di speranza) ma originale e profondamente sentito.

Tema universale, quello della morte, e non certo nuovo nella produzione del compositore ma che qui sembra adombrare qualcosa di molto personale ed intimo, e non solo perché parte della composizione avvenne in ospedale dove Shostakovich era ricoverato per i problemi cardiaci che di lì a pochi anni lo porteranno alla tomba.

L’idea aveva cominciato a presentarglisi già nel 1962, quando stava orchestrando i Canti e danze della morte di Mussorgsky (composti negli anni 1875-77 per voce e pianoforte e che erano già stati orchestrati in precedenza da Glazunov e da Rimsky Korsakov), pagina della quale la Sinfonia n. 14 appare come logico proseguimento. Sempre nello stesso periodo Shostakovich aveva poi grandemente apprezzato il War Requiem di Benjamin Britten, compositore ed amico al quale è dedicata questa sinfonia.

La prima esecuzione del 29 settembre 1969 a Leningrado sotto la bacchetta di Rudolf Barshai (con solisti Galina Vishnevskaja e Mark Resetin) ebbe una replica ancor più apprezzata l’anno successivo a Glyndebourne sotto la direzione dello stesso Britten. Come spesso succede nelle composizioni degli ultimi anni di Shostakovich l’organico utilizzato non è affatto magniloquente ma essenziale e quasi scabro: oltre alle due voci soliste di soprano e basso, soltanto gli archi di un’orchestra da camera ed una ricca sezione di percussioni.”.

La grande e quasi angosciante composizione (che fin dalla scelta dei testi appare senza speranza, e che in questa serata fiorentina è presentata nella sua versione multilingue) si dipana in undici episodi affidati ai due solisti di canto, e a dispetto della denominazione non presenta nessun aggancio con la forma della sinfonia classica.

Due sono i cantanti richiesti, e nell’occasione sono molto ben assortiti: il giovane soprano Alessia Panza esibisce una voce luminosa forse poco timbrata in basso ma che salendo sul pentagramma si irrobustisce e mostra lucentezza e volume; il soprano (in certi momenti, soprattutto all’inizio, quasi travolta dal direttore) è anche ammirevole per espressività e aderenza al testo.

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Il basso Adolfo Corrado mostra di essere perfettamente a suo agio nella scrittura della pagina usando al meglio una voce assai interessante, di bel colore, robusta e ben timbrata, che unita ad un fraseggio esemplare e ad una grande sicurezza nel canto rende appieno giustizia alla sua difficile parte.

Il direttore Riccardo Bisatti, che ascoltavamo per la prima volta, sembra conoscere assai bene la complessa partitura, ne esalta colori e ritmi, e col suo gesto preciso tiene bene in mano e con sufficiente autorevolezza le redini di un’esecuzione davvero interessante, oltre ad accompagnare con proprietà (e quasi spronandoli) i due solisti di canto.

L’Orchestra della Toscana (pimo violino Giacomo Bianchi), spremuta a dovere dal direttore, si dimostra reattiva ed all’altezza del non facilissimo compito; un plauso particolare va al primo violoncello Augusto Gasbarri per la sua ammirevole ed emozionante parte solistica in quella che è una delle pagine più intense dell’intera composizione, Il suicida su testo di Guillaume Apollinaire.

Il pubblico del Teatro Verdi era piuttosto numeroso ma non così tanto come ci si sarebbe aspettato per un concerto che già sulla carta si presentava molto interessante, anche se al termine molti spettatori si mostravano un po’ perplessi non avendo potuto seguir bene la Sinfonia di Shostakovich (che notoriamente non è il massimo della popolarità): purtroppo non c’erano i sovratitoli che sarebbero stati utilissimi, e le mezze luci del teatro rendevano alquanto difficile seguire il testo sul programma di sala. Gli spettatori hanno comunque applaudito con molto calore tutti gli artefici della serata.

La recensione si riferisce al concerto del 5 febbraio 2025.

Fabio Bardelli

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