Alloggi sfitti a Vicenza? «Ecco la mappa»

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Alloggi sfitti a gogò sia pubblici sia privati, caro-affitti, patrimonio immobiliare che deperisce, rischio che le locazioni brevi asfissino le esigenze di chi cerca casa, rischio che l’emergenza abitativa, oltre a colpire chi è già indigente, trascini nella povertà chi ha un lavoro a reddito basso. È questo il mix esplosivo descritto ieri 6 febbraio durante un briefing organizzato nella sede della Cgil di Vicenza. E la situazione è così deteriorata che si sta portando in grembo altri due spettri che potrebbero presto angustiare ancor più il territorio. Il primo è quello di una provincia berica che, «complice pure un carovita spietato specie nel Veneto», risulta sempre meno attrattiva per quei dipendenti pubblici invocati, «almeno a parole», da imprese e semplici cittadini: «basti pensare alle forze dell’ordine, al personale Inps, all’Ispettorato del lavoro o Itl che dir si voglia, ai vigili del fuoco e al personale sanitario». L’altra grana riguarda la condotta di alcuni datori di lavoro, che da contratto detrarrebbero dalla busta paga il costo dell’alloggio: una situazione «molto borderline» per la quale il sindacato berico sta passando al vaglio alcune posizioni.

Ad ogni modo, per fare il punto della situazione, ieri, nella sede della Cgil di via Vaccari si sono dati appuntamento Stefano Bagnara (segretario berico della Cgil-Fp funzione pubblica), Giancarlo Puggioni (segretario provinciale della Cgil per il Vicentino) Francesco Brasco, segretario provinciale del sindacato degli inquilini Sunia-Cgil. Con loro c’era Mauro Marchi, già segretario vicentino del Sunia, nonché memoria storica della stessa sigla. Tra incartamenti, statistiche e tabelle variamente assortite i quattro hanno cominciato subito col botto diffondendo quella che può essere considerata una vera e propria cartina tornasole degli alloggi sfitti a Vicenza. «Ecco la mappa», per la precisione, è stata la frase con cui i dirigenti sindacali hanno rotto il ghiaccio. Un abbrivio durante il quale non sono mancati i riferimenti alle statistiche provincali che l’Osservatorio nazonale Openpolis pubblicò nel 2019.

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SVETTA IL QUARTIERE SAN FELICE

Più nel dettaglio la statistica elaborata dal sindacato, sulla scorta dei dati acquisiti «con un accesso agli atti al Comune di Vicenza», riguarda gli alloggi di proprietà privata che risultano sfitti o abitati continuativamente da non residenti (per esempio un funzionario di banca che si stabilisce in città per un anno) oppure destinati ad affitti brevi: per esempio di tipo turistico. La fotografia che ne esce «ci preoccupa non poco» fanno sapere i quattro. Ed i numeri parlano da soli. Nel complesso gli alloggi sfitti sono 11mila. Solo nella zona di San Felice – Cattane la cifra è di 1471 abitazioni. A San Lazzaro sono 458 mentre ai Ferrovieri il numero è pari a 385. Si tratta di quartieri ricompresi nella spalla occidentale della città. Un’area che dovrà fare i conti col passaggio dell’Alta velocità e che quindi rischia «quello che gli urbanisti – rimarca da mesi la rete ecologista veneta – definiscono un processo di gentrificazione» ossia un processo per cui la presenza di un grande progetto immobiliare o infrastrutturale comporta la riqualificazione di un intero comprensorio, il susseguente aumento dei prezzi che si completa poi con l’espulsione de facto delle famiglie meno abbienti. Le quali il più delle volte, finiscono così «nel gorgo dell’indigenza».

Un altro quartiere in cui gli alloggi sfitti abbondano è quello di San Bortolo, nella primissima periferia settentrionale, dove si sfiora la cifra di mille alloggi: 947 per la precisione. Sempre nel quadrante nord, ma più in periferia, si registra un dato di 701 alloggi per il quartiere di Saviabona. I numeri sono più bassi per quanto riguarda gli assi Sud ed est della città (in foto alcuni caseggiati nella zona di via Quadri).

IL RECORD DEL CENTRO STORICO E L’INCOGNITA TURISTICA

«Un caso a parte riguarda poi il centro storico». Dove le unità immobiliari sfitte o presunte tali sono ben 3087, più o meno un quarto di tutto il territorio comunale: a fronte di una estensione che però è molto ridotta. «Sicuramente – spiegano Brasco e Marchi – in centro sono molti gli appartamenti che vengono destinati agli affitti brevi o di tipo turistico. Ma se per le altre circoscrizioni l’esperienza e la statistica ci insegnano che fatto cento il numero delle abitazioni prese in esame quelle realmente sfitte ammontano ad un 70-80%, per il centro il calcolo è più complesso».

Tanto che per avere un dato statistico attendibile «occorre che l’archivio comunale venga definitivamente implementato con l’anagrafe nazionale degli affitti turistici che è stata recentissimamente istituita» su input del ministro del turismo Daniela Santanché. Per questo motivo, proprio per avere una radiografia esatta del centro storico, il Sunia ha dato al Comune di Vicenza «un annetto di tempo». Per quel periodo i dati «dovranno essere accessibili e confrontabili da tutti». Il riferimento però rimane nella sua plasticità «perché comunque – fa sapere Marchi – pur con tutti i distinguo del caso, in termini statistici si tratta comunque di abitazioni che non sono a disposizione di residenti stanziali».

EREDITÀ PREGRESSA

Ma la situazione di questi ultimi tempi, in cui le case abbondano e, «paradossalmente ma non troppo» la crisi degli alloggi morde i ceti più deboli, va considerata una vera e propria emergenza o è andata via via maturando nel tempo? Già ai primi degli anni Duemila per vero il Sunia, con l’allora segretario Fulvio Rebesani, predisse quello che sta accadendo oggigiorno. Durante gli anni ’90 infatti e giustappunto sino ai primi anni Duemila, il Comune di Vicenza, indipendentemente dal colore politico della giunta, ha sempre dato un notevole impulso all’edilizia: in ambito produttivo, ma soprattutto in ambito direzionale, commerciale e residenziale.

Il tutto è avvenuto sia con una serie di piani urbanistici sia attraverso lottizzazioni estemporanee. Questo processo si è concretizzato non solo con stessa pianificazione ma pure mantenendo bassi gli oneri di costruzione, mantenendo bassi gli oneri di  urbanizzazione, mantenendo bassa la soglia degli standard obbligatori come verde e parcheggi, permettendo altresì la monetizzazione di questi ultimi. Una pratica considerata «deleteria» dagli esperti perché priva la città di elementi strutturali considerati imprescindibili per la vita collettiva. Se a questo si aggiunge che una ventina d’anni fa il Sunia calcolò «in 250 milioni di euro», su base più che prudenziale, «l’ammontare dei mancati introiti da parte di palazzo Trissino, in termini di oneri calcolati al ribasso oppure illecitamente non corrisposti», meglio si comprende «come si siano generate le rogne che attanagliano la città».

La fotografia scattata da Rebesani quattro lustri fa, prendeva in esame peraltro un periodo di una dozzina d’anni che andava dalla fine degli anni ’80 ai primi anni Duemila. Erano i tempi della cosiddetta «circolare Rossetto» (varata dagli uffici comunali e poi bandita dagli stessi uffici che temevano un intervento della magistratura) che permetteva un calcolo delle distanze molto più favorevole a chi costruiva. In quegli anni per di più la situazione si incancrenì a tal punto che durante il primo esecutivo capitanato da Enrico Hüllweck, proprio il sindaco di centrodestra di allora, per cercare di capire come stessero le cose, sentì il bisogno di affidare una consulenza speciale ad un esperto del settore: l’ingegnere Carlo Loro.

Il quale cominciò a fare i conti. Poi però, su pressione di ambienti sia riferibili alla maggioranza di centrodestra, sia riferibili alla minoranza di centrosinistra, sia a settori della Confindustria locale, quel lavoro terminò misteriosamente, di colpo: e senza che potesse essere portato a compimento. E così il dossier che sarebbe dovuto giungere alle autorità preposte, magistratura in primis, non si materializzò più.

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Quel periodo, «uno dei più oscuri e controversi della storia amministrativa di Vicenza», ebbe a ripetere più volte Rebesani prima della sua morte, lasciò un’altra eredità. Quella di una città che «in preda agli appetiti delle imprese immobiliari si era riempita di edifici non solo insostenibili da un punto di vista urbanistico ma pure pessimi dal punto di vista della qualità costruttiva». Tanto il noto filosofo ed economista francese Serge Latouche, invitato alcuni anni orsono a Vicenza per un convegno dal Liceo Quadri, definì la periferia di Vicenza «uno schifo».

QUESTIONI IN SOSPESO TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

Ad ogni modo questo filotto di eventi continua ancora oggi a dispiegare i suoi effetti. Uno di questi lo si riscontra nel caro-affitti di cui stanno facendo le spese «anche quei dipendenti pubblici la cui presenza viene invocata a gran voce da più parti». A spiegare nel dettaglio questo meccanismo è il segretario della Cgil-Fp Bagnara. Che ieri ha parlato di una Vicenza bersagliata da un «costo della vita» che schizza verso l’alto e prezzi degli affitti su livelli «inarrivabili» anche per chi ha una occupazione stabile. Il che finisce per riverberarsi anche nei confronti «di quei dipendenti pubblici che magari hanno appena vinto un concorso nazionale e che però a fronte di queste condizioni, chiedono quanto prima di riavvicinarsi a casa, magari al Sud». E gli esempi portati dalla Cgil-Fp non sono pochi: «dai dipendenti dell’amministrazione della giustizia, alla Agenzia delle entrate, dalle forze dell’ordine all’Ispettorato del lavoro, dall’Inps, alla Motorizzazione civile, dai Vigili del fuoco fino alla Prefettura». Lo stesso può valere, riferiscono alla Cgil, per chi è stato trasferito o vorrebbe trasferirsi.

Tra l’altro questi problemi, anche se in nuce, cominciano a palesarsi anche tra i dipendenti della sanità, che fa riferimento alla Regione Veneto, o tra coloro che vincono un concorso nell’ambito delle amministrazioni comunali. E così, con una battuta sono Brasco e Marchi a circoscrivere il perimetro di una criticità «sempre più palpabile». In questo quadro, spiegano i due, «c’è un certo strabismo anche da parte dell’opinione pubblica. La quale, per esempio, da una parte invoca più forze dell’ordine e dall’altra però non si cura più di tanto del contesto. Ma come fanno un giovane poliziotto o un giovane carabiniere a pensare ad un progetto di vita nella nostra città se l’affitto si mangia metà del loro stipendio?». Poi non mancano le bordate a chi decide di non affittare casa perché si ritiene a rischio della volubilità degli inquilini. «Non è vero. Le leggi in vigore – attaccano i due – mettono a disposizione di proprietari e locatari contratti chiari, che spesso compendiano agevolazioni fiscali. Di più, il locatario moroso può essere allontanato in poco tempo e senza indugi su decisione del giudice civile». Detto in altre parole il Sunia rimarca come il capoluogo berico possa risultare o risulti a tutti gli effetti «poco attrattivo per chi ha appena vinto un concorso».

L’AFFONDO DEL SEGRETARIO

E così a tirare le somme è stato Puggioni. «In ballo – spiega il segretario generale – c’è la coesione sociale. In ballo c’è il funzionamento di determinati servizi per la difficoltà di molti lavoratori delle cosiddette funzioni centrali. Si tratta di dipendenti che faticano a stabilirsi in città e dintorni. Di più il caro-affitti e la scarsità di alloggi, nonostante il Comune di Vicenza stia tentando una politica di mitigazione d’intesa con le categorie sociali ed economiche, «stanno portando nel baratro della povertà, non solo gli indigenti, ma anche coloro che il lavoro ce l’hanno, anche se lo stipendio è quel che è». Puggioni ieri è stato chiaro. Rispetto alla china che il Paese sta prendendo da questo punto di vista, dice di vedere molto male un sistema che spinge «le persone ad arrangiarsi come possono» a discapito delle sicurezze che il welfare state dovrebbe garantire non solo in termini di istruzione, di pensioni o di sanità, «ma anche per quanto concerne il diritto alla casa».

CONDOTTE DA CODICE PENALE? ALCUNI CASI AL VAGLIO DEL SINDACATO

Ma c’è di più, a fronte di una condizione generale che preoccupa, Cgil-Fp e Sunia sono entrati in contatto con alcuni casi ancora più gravi. Al momento i vertici delle due sigle hanno scelto di non entrare nel dettaglio, ma ieri hanno fatto sapere che alcune cooperative private operanti nel Vicentino abbiano inserito nel rapporto di lavoro una voce, che viene detratta dalla busta paga, relativamente alla disponibilità di un alloggio in appartamenti condivisi: con la clausola aggiuntiva che chi perde il lavoro perde anche l’alloggio.

Per Bagnara si tratta di posizioni «borderline» che gli uffici stanno vagliando attentamente anche dal punto di vista della loro liceità. E non è tenero nemmeno Marchi: «se dovessero emergere pratiche censurabili in cui al lavoratore si chiede di rigare diritto, pena la perdita della casa, saremmo al limite della vera e propria estorsione». La materia è così delicata che dal sindacato, almeno al momento, non filtra alcuna ulteriore presa di posizione al riguardo. Tra i vari aspetti da chiarire, per esempio, c’è quello sulla natura del datore di lavoro di ultima istanza di queste cooperative: che potrebbe essere privato, ma anche pubblico.

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