di Gian Antonio Stella
Distrutti gli alberi della Stonehenge salentina. L’epidemia minaccia l’area tra Ostuni e Fasano. Cnr: 15 progetti per sviluppare piante resistenti al virus
Annientati. Restano solo gli scheletri dei maestosi ulivi della «Collina dei Fanciulli e delle Ninfe» di Giuggianello, la straordinaria Stonehenge salentina cantata da Nicandro di Colofone e Ovidio e lo stesso Pseudo-Aristotele per la magia degli alberi già allora millenari tra misteriose pietre ciclopiche accatastate dalla possente mano di Eracle. Spettri, ecco cosa sono. Spettri, per dirla con l’archeologo Giuliano Volpe, «con rami che si levano verso l’alto come braccia tese in una supplica o in gesto di resa».
Ecco il nodo. Perché davvero è una resa quella che ha segnato quell’angolo di terra tra Otranto e Gallipoli dove Nicandro narrò la leggenda delle Ninfe che si misero a danzare tra le grandi «rocce sacre» e «i figli dei Messapi, abbandonate le greggi per andare a guardare», osarono sfidare nel ballo le divinità ma «il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori, quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema» e persa la sfida «i fanciulli si trasformarono in alberi». Alberi ora uccisi dalla «Xylella fastidiosa» insieme con altri milioni e milioni di ulivi.
Quanto alla supplica, sale dalla piana tra Ostuni, Fasano, Monopoli e Carovigno. Dove, dopo la risacca della violenta ondata pandemica, con un netto calo dei contagi nelle zone più colpite rilevato da Marco Scortichini e Margherita Ciervo, la Xylella (resa più devastante da un insieme di altri fattori a partire dal Climate change) minaccia ora l’area degli Ulivi Monumentali. Quella celebrata dai paesaggisti d’ogni epoca, da Cesare Brandi («In realtà tutto il severo paesaggio della Puglia è in queste distese di mastodontici ulivi»), dalla Giornata mondiale dell’Ulivo Unesco del 26 novembre, dal Fai che vi onora uno dei «Luoghi del cuore» e altri ancora.
Fino al recente allarme lanciato sul Corriere alle massime autorità nazionali e locali: «Il grido di dolore per gli ulivi di Puglia». Appello promosso da Alessandra Testa e firmato «con cuore e occhi pieni d’amarezza» da decine di associazioni, aziende, enti e cittadini angosciati dall’incubo che pure quel maestoso patrimonio ambientale, economico, culturale, turistico, venga bruciato: «La Puglia, tanto decantata e amata, diventata prestigiosa destinazione internazionale, ammirata dai potenti della terra come al recente G7, non sarebbe più la Puglia senza i suoi ulivi secolari e il suo olio extra vergine d’oliva…».
Rischio concreto? Sì, purtroppo, rispondono perfino gli scienziati meno allarmisti. Tanto più se passasse l’idea che il grande incendio de Il fuoco invisibile, come ha titolato il suo libro Davide Rielli (facendo un parallelo tra l’affannosa difesa degli ulivi col film di James Cameron Avatar dove un «popolo autoctono deve difendersi da una multinazionale straniera che vuole distruggere i suoi antichi alberi sacri») sia ormai alle spalle.
Guai se accadesse. Perché una cosa dovrebbe aver insegnato il disastro di questi anni: non c’è vaccino contro il batterio patogeno diffuso dalla maledetta «sputacchina» (insetto più corto dell’unghia d’un mignolo) che infetta vari alberi, dall’ulivo alla vite, dal mandorlo al melograno. Né ci son rimedi estrosi come quelli dettati dal grillino Lello Campolillo che fissò la residenza su un ulivo e suggerì per le piante malate una scossa elettromagnetica o una lavata con un sapone speciale.
Macché… Ci mette anni, la Xylella, a fare secco un ulivo. E ci vogliono anni, spiega Cristos Xiloyannis, già docente di olivocoltura negli atenei di Pisa e Basilicata, a combattere il virus «con le buone pratiche: ripristino della fertilità dei suoli, potatura annuale, concimazioni corrette…».
Fu lì che sfondò la pandemia: «Per decenni avevamo puntato tutto sulla chimica, la meccanizzazione, l’abbassamento dei costi di produzione. Quando arrivò il “patogeno” le autodifese degli ulivi erano a zero». Peggio, il sistema si fece prendere alla sprovvista. Accumulando ritardi così abissali che per arginare i contagi si imposero scelte traumatiche come l’abbattimento e lo sradicamento per anni, fino alla fine del marzo scorso, delle piante «incurabili» nel raggio di 50 metri. Una scelta che per i più catastrofisti ha portato alla morte di quasi un terzo dei circa 70 milioni di ulivi pugliesi. Per i più prudenti almeno dieci milioni.
Anni perduti? Tanti. A partire dalla scelta dell’allora ministra dell’agricoltura Nunzia De Girolamo, a fine ottobre del 2013, quando scoppiò la bomba, d’affidare tutto a una task force di patologi ed entomologi, accusa lo studioso italo-greco, «senza coinvolgere altre competenze indispensabili».
È così? Certo gli sforzi sulla ricerca scientifica partirono in gravissimo ritardo. E sarebbe delittuoso farsi nuovamente cogliere di sorpresa. Tanto più che ora, a dispetto di chi si spinse a denunciare «complotti» per favorire «il business della ricerca», gli investimenti sulla ricerca, dello Stato, della Regione, dell’Europa, si sono estesi davvero: al momento, spiega lo scienziato del Cnr Donato Boscia, «sono in corso 15 progetti di ricerca con un budget complessivo di 55 milioni di euro. Investimento senza precedenti per un patogeno». Primo obiettivo: lo sviluppo di «cultivar» (Treccani: «nome con cui si indicano le varietà agrarie di piante coltivate») resistenti/tolleranti alla Xylella.
Ecco, dirà qualche complottista: non aveva forse avvertito l’agricoltore ribelle Ivano Giuffreda, su youtube, che «la questione Xylella è stata usata come pretesto per bloccare ogni tipo di coltivazione nel Salento, per imporci di piantare determinate piante» e «ovviamente con le dovute royalty e i dovuti brevetti che i signori stanno mettendo a punto»? «Macché royalty!», ribatte Gianluca Nardone, direttore del dipartimento agricoltura regionale, «si tratta di varietà di ulivi resistenti alla Xylella come la “favolosa” o la “lecciana” definite dal C.r.e.a. ministeriale. L’agricoltore tira su l’ulivo secco, ara e sistema il terreno, pianta il nuovo resistente alla Xylella e la regione rimborsa 7 mila euro a ettaro».
Ettari da ripristinare dopo lo tsunami con questi ulivi più resistenti? «Circa 70 mila. Per un totale di 490 milioni». Già messi, tra Stato e Regione, 130. Ma ne mancano, anche per rilanciare un settore come l’olio dove eravamo primi e oggi siamo terzi, almeno 360. Più quelli necessari alla quotidiana opera di monitoraggio e di buone pratiche per contenere il rischio di questa avanzata dei contagi verso altre zone (anche vinicole) e il sacrario degli Ulivi Millenari.
Tema: Giorgia Meloni e il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che proprio in una masseria fra gli ulivi, a Ceglie Messapica, hanno trascorso le ultime vacanze, ne sono davvero consapevoli?
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