Sono ancora con l’acqua a singhiozzo gli oltre 140mila lucani colpiti dalla crisi idrica della diga del Camastra, sin dalla scorsa estate costretti a pesanti razionamenti delle forniture idriche che hanno portato i cittadini di Potenza ed altri 28 Comuni a restare fino a 12 ore al giorno senz’acqua, in alcuni casi anche 48 ore di fila.
I razionamenti non sono però bastati a scongiurare il prosciugamento dell’invaso, spingendo il presidente della Regione Vito Bardi a potabilizzare l’acqua tra fine ottobre e inizio novembre di quest’anno del fiume Basento.
Una situazione paradossale in una Regione in cui 13 sorgenti sono in concessione a multinazionali come Coca-Cola Hbc Italia e Norda, ed oltre il 55% delle acque è utilizzato a scopi industriali tra cui gli impianti petroliferi di Eni e Total ed attività connesse come Tecnoparco, che utilizza ingenti volumi di acqua provenienti proprio dal Camastra.
Il sistema è in apparenza semplice, l’acqua captata a Sud di Potenza viene trasportata per chilometri fino alla vasca di raccolta del Camastrino, riportata verso il capoluogo, sottoposta a processo di potabilizzazione nel vecchio impianto di Masseria Romaniello e immessa nella rete idrica. Se non fosse che a monte il Basento attraversa l’area industriale di Tito Scalo, dichiarata Sito di interesse nazionale (Sin) per l’inquinamento nel 2002, dove oltre alla bonifica in corso dello stabilimento ex-Liquichimica vi è l’impianto della ex Daramic, con una bonifica ferma al 2011 e posto sotto sequestro probatorio dalla Procura della Repubblica di Potenza nel 2023. Tra le ipotesi di reato, disastro ambientale e inquinamento ambientale per sversamenti continui nella falda di quantitativi di molto superiori alle 15 tonnellate denunciate dalla stessa azienda.
“Quando la Procura è andata a fare le analisi, hanno trovato valori di trieline 260.000 volte superiori a quelli consentiti dalla norma -racconta l’ex sindaco di Tito Graziano Scavone-, oltre a diversi fusti esausti interrati all’interno e all’esterno del perimetro aziendale, che contribuirebbero all’inquinamento della falda”. Provocando un afflusso costante di sostanze cancerogene, con livelli anche 80 volte superiori ai parametri di legge, nel torrente Tora, affluente del Basento. Eppure tale è stata la decisione di Bardi, nominato dal governo commissario straordinario per la gestione della crisi idrica e del piano degli interventi a fine ottobre.
“Dall’inizio della crisi, solo soluzioni tampone e riferimento alla siccità come causa dello svuotamento della diga -racconta Alessia Araneo, consigliera regionale del Movimento 5 Stelle- finché il 7 novembre partono i lavori di costruzione della condotta, prima dei risultati dei prelievi effettuati dall’Arpab”. Risultati positivi, arrivati però l’11 novembre “una cosa illogica -prosegue Araneo- ad agosto l’acqua del Basento risultava non conforme all’uso irriguo mentre a febbraio si evidenziava la presenza di composti nocivi. Com’è possibile che ora sia potabile?”.
Quello delle analisi è un rebus, per dichiarare le acque potabilizzabili sarebbero stati necessari 12 campionamenti nell’arco di un anno, invece dei due effettuati forzando le deroghe dello stato di emergenza, mentre le analisi successive effettuate sulle acque potabilizzate da Arpab, Acquedotto Lucano e un laboratorio terzo, nessuno dei quali accreditato per tale tipo di analisi, sono apparse frammentarie.
A poco è servito il parere favorevole espresso dall’Asp, poiché a monte manca una definizione dello stato chimico del corso d’acqua. Ai timori ha cercato di rispondere la stessa Procura di Potenza, disponendo una serie di accertamenti a seguito dei quali il 6 dicembre ha dichiarato la potabilità delle acque immesse nella rete idrica.
Campionamenti e indagini continuano, per chiarire anche il processo decisionale che ha portato alla scelta del Basento, dettata più da economicità e rapidità di esecuzione che da una piena valutazione delle alternative esistenti e dei rischi per la salute. Vero è che l’invaso, precedentemente gestito dall’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia (Eipli), sconta problemi decennali.
Mai collaudato e non collegato con gli altri impianti della Regione, da una ventina d’anni veniva riempito solo per 24 milioni di metri cubi sui 32 milioni previsti, per arrivare ad una capienza ridotta a nove milioni di metri cubi nel 2019 a seguito di verifiche sismiche. “È evidente che ci sono responsabilità enormi nel passato, ma la cosa gravissima è che malgrado questa situazione era già annunciata dal 2019, la Regione e Bardi, in carica dal 2019, non hanno fatto niente per scongiurarla”, commenta Rosario Gigliotti del Comitato acqua pubblica Peppe Di Bello.
“Già nel 2020 si era rischiato di arrivare al prosciugamento, ci troviamo nel 2024 con una soluzione peggiore del problema senza nessuna spiegazione chiara delle decisioni prese”. Un richiamo che punta l’indice sulla totale mancanza di interventi strutturali sull’invaso, ma anche sullo stato in cui versano le condotte idriche lucane, maglia nera d’Italia con una dispersione idrica del 65% secondo i dati Istat del 2022, e sulla brusca e anomala riduzione delle acque della diga verificatasi in seguito alla presa in carico dell’impianto nel gennaio 2024 da parte della Acque del Sud Spa. Società questa voluta nel 2023 dal Governo Meloni per prendere il testimone dell’Eipli nella gestione degli impianti, aprendo all’ingresso dei privati al 30%, Acea e Acquedotto Pugliese in prima fila, in spregio al referendum sull’acqua del giugno 2011.
E se l’amministratore delegato di Acque del Sud Giuseppe Decollanz nega categoricamente qualunque rilascio di risorsa idrica, allo stesso tempo annuncia un piano di ristrutturazione e adeguamento alle norme sismiche della diga del Camastra con interventi già finanziati per 2,5 milioni di euro, ed altri per i quali si attende ancora il finanziamento, tra cui un intervento del costo di 32 milioni di euro per la rimozione dei sedimenti dalla diga, possibile evidentemente solo dopo il totale svuotamento dell’invaso, cosa che apre ad altri dubbi.
“Il tema centrale è la privatizzazione dell’acqua -commenta l’attivista Mimmo Nardozza- invece di dare più risorse, intervenire sulle perdite di sistema, sistemare gli invasi, si cerca di peggiorare la situazione per svendere al privato”.
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