Composizione della crisi da sovraindebitamento: il creditore dissenziente può proporre reclamo riferito alla non convenienza dell’accordo

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In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, sussiste la legittimazione del creditore dissenziente nella votazione della proposta di accordo a proporre reclamo avverso la relativa omologazione, sia ove in tale sede si contesti la legittimità del mancato riconoscimento della causa di prelazione vantata dall’opponente, sia ove si contesti la non convenienza dell’accordo rispetto all’alternativa liquidatoria.

Il principio è stato affermato dalla Corte di cassazione, Sezione 1 Civile, con l’ordinanza del 27 novembre 2024, n. 30543, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio per nuovo esame il decreto n. 1 del 2020 reso dal tribunale di Santa Maria Capua vetere.

La vicenda

La Beta 2020 s.r.l. ha presentato ricorso per cassazione, articolato in due motivi, contro il provvedimento col quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – con il citato decreto n. 1 del 2020 ma depositato nel 2023 – ne ha respinto il reclamo avverso il decreto di omologazione dell’accordo di composizione della crisi proposto da Simone e Camilla Catilina.

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I motivi di ricorso

Con i motivi di ricorso, esaminati unitariamente, è stata dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 12, secondo comma, l. n. 3/2012 e 739 cod. proc. civ.

La decisione di merito è stata censurata per aver ritenuto inammissibile la doglianza della ricorrente in ordine al mancato riconoscimento del privilegio ipotecario, giacché asseritamente proposta per la prima volta in sede di reclamo e non anche nella dichiarazione di dissenso all’omologazione dell’accordo.

Il provvedimento è stato censurato anche nella parte in cui ha correlativamente ritenuto inammissibile anche l’ulteriore motivo di reclamo costituito dall’erronea valutazione della convenienza dell’accordo rispetto alla prospettiva liquidatoria, in quanto supponente il mancato riconoscimento del privilegio ipotecario invocato solo in sede di reclamo.

Infine, il provvedimento è stato censurato nella parte in cui, in termini completamente irrilevanti a fronte della mancanza di motivazione delle ragioni di convenienza dell’accordo rispetto all’alternativa liquidatoria, ha ritenuto che nonostante il dissenso espresso sia dall’Agenzia delle entrate che dalla Beta NPLs s.r.l. l’accordo potesse ritenersi raggiunto, essendo pervenuti voti favorevoli per il 68 %, vale a dire al di sopra della soglia del 60 % prevista dall’art. 11, secondo comma, della l. n. 3/2012.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 30543 del 2024, ha ritenuto i motivi fondati e ha accolto il ricorso con conseguente cassazione del provvedimento impugnato.

La motivazione

Sul punto controverso il Collegio ha rilevato che il Tribunale ha affermato che la società, seppure irritualmente (mediante deposito di un atto di opposizione anziché mediante la comunicazione all’OCC ai sensi dell’art. 11 della l. n. 3 del 2012), aveva manifestato il proprio dissenso all’omologazione dell’accordo, e che l’OCC aveva tenuto conto del dissenso ai fini del calcolo delle maggioranze.

Ha aggiunto che, tuttavia, in quell’atto, di manifestazione del dissenso, non era stata specificata una doglianza a proposito della qualificazione chirografaria del credito nell’ambito del piano, con previsione di soddisfacimento nella misura del 30 %; né vi era stata censura al mancato riconoscimento del privilegio ipotecario mediante le osservazioni di cui all’art. 12, nelle quali la POP si era limitata a riportarsi al precedente dissenso, contestando unicamente la convenienza della proposta.

Ad avviso del Tribunale, se ne doveva inferire l’inammissibilità del profilo citato (id est, il mancato riconoscimento del privilegio ipotecario) siccome dedotto per la prima volta in sede di reclamo.

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A tal riguardo il Tribunale ha richiamato il principio espresso nell’ambito del reclamo alle condizioni di divorzio, secondo cui il reclamo costituisce un mezzo di impugnazione, ancorché devolutivo, così da avere a oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate, nonché in correlazione alle domande proposte in quella sede.

Di conseguenza ha affermato che in sede di reclamo, mentre possono essere allegati fatti nuovi ovvero fatti preesistenti di cui la parte dia prova di essere venuta a conoscenza dopo il provvedimento, non possono essere proposti – viceversa – motivi afferenti a presunti errores in iudicando che attengano a fatti preesistenti colpevolmente non allegati o prospettati, né, in genere, nuove eccezioni in senso stretto, che snaturerebbero il reclamo stesso quale mezzo di impugnazione con funzione di rimuovere – semplicemente – i vizi del precedente provvedimento.

Alla stregua di tale argomento, il giudice del merito ha ritenuto altrettanto inammissibile la doglianza relativa alla presunta non convenienza dell’accordo rispetto all’alternativa liquidatoria, giacché ancorata al motivo inammissibile circa il mancato riconoscimento del privilegio ipotecario.

Ebbene, ha precisato il Collegio, la tesi esposta nel provvedimento impugnato non può in alcun modo esser condivisa e il riferimento tratto dalla giurisprudenza formatasi sul tema reclamo alle condizioni di divorzio non è conferente.

Stabilisce l’art. 7 della l. n. 3 del 2012 che nel piano è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti integralmente.

Ciò è possibile, però, alla condizione che “ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Ferma tale regola, in base all’art. 11, secondo comma, della l. n. 3 del 2012, ai fini dell’omologazione è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti.

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Invero i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione.

Nel caso in esame risulta dallo stesso provvedimento che Beta aveva manifestato il dissenso all’omologazione dell’accordo, il quale però era stato omologato per l’esistenza di voti favorevoli superiori alla percentuale detta.

A questo punto la Beta, in sede di reclamo, aveva dedotto due cose:

(a) l’erronea collocazione del proprio credito tra i chirografi anziché tra i privilegiati;

(b) l’omessa valutazione sulla convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

In base all’art. 12, ove l’accordo sia raggiunto, l’organismo di composizione della crisi (OCC) deve trasmettere a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale di cui all’art. 11, secondo comma, allegando il testo dell’accordo stesso.

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Nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione i creditori possono sollevare le eventuali contestazioni.

Decorso tale ultimo termine, l’OCC trasmette al giudice la relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.

Ora, ai sensi dell’art. 12, secondo comma, per la parte che qui interessa, “il giudice omologa l’accordo e ne dispone l’immediata pubblicazione (..) quando, risolta ogni altra contestazione, ha verificato il raggiungimento della percentuale di cui all’articolo 11, comma 2”.

Ma “quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo” il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere “soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda”.

Questo richiamo rende evidente l’errore del provvedimento. Che la Beta avesse contestato la convenienza dell’accordo si evince dalla stessa motivazione. Il provvedimento dice che la creditrice, “nelle osservazioni di cui all’art. 12”, si era riportata al precedente dissenso “contestando unicamente la convenienza della proposta”.

A questo punto, ha osservato il Collegio, la citata norma, per gli aspetti formali, richiama le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio – “si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile” – specificando che “il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al Tribunale e del Collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento”.

E però, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, nessuna norma tra quelle attinenti, né in via diretta né in esito al rinvio nei limiti della compatibilità, stabilisce che nell’ambito del procedimento resti inibito al creditore di avanzare in sede di reclamo doglianze fondate sulla non considerata esistenza di una causa di prelazione.

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Come sempre, anche ai fini dell’accordo, la rilevanza di un’ipoteca vale di per sé, oggettivamente, salvo che il creditore ipotecario non rinunci in tutto o in parte alla prelazione.

Non è consentito degradare surrettiziamente il credito ipotecario come effetto (mero) della non indicazione dell’ipoteca al momento di un’espressione di dissenso.

Sul punto il Collegio ha ricordato l’orientamento della Suprema Corte secondo cui «in tema di omologazione della proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento “ex lege” n. 3 del 2012, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, dei quali è prevista la soddisfazione integrale, non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione; laddove, invece, ne sia prevista la soddisfazione non integrale, ai menzionati creditori deve essere assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi» (Corte di cassazione, Sez. 1, n. 26328/2016, Corte di cassazione, Sez. 6-1, n. 4270/2021).

L’errore compiuto dal Tribunale si ravvede:

a) nella parte in cui il tribunale ha privato la causa di prelazione della propria funzione economico-sociale, ritenendo che il creditore non fosse più legittimato a farne valere gli effetti sull’accordo, anziché stabilire invece se la mancata indicazione della prelazione dovesse considerarsi o meno come manifestazione tacita di rinuncia; e vale qui la pena di aggiungere che la rinunzia in generale, quando non sia prevista una forma vincolata, può perfezionarsi anche attraverso un comportamento concludente, purché però si tratti di un fatto incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto che si assume rinunziato (ex aliis, rispetto alla rinuncia al diritto di riduzione, Corte di cassazione, Sez. 3, n. 12536/2000), da accertare con adeguata motivazione;

b) nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non ammissibile la doglianza circa la non convenienza dell’accordo rispetto all’alternativa liquidatoria sol perché l’accordo era stato approvato dalla maggioranza necessaria. Difatti in ogni caso la contestazione della convenienza dell’accordo, ai sensi dell’art. 12, secondo comma, implica che l’omologazione possa esser pronunciata solo dopo l’accertamento che il credito può essere soddisfatto in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria.

Ecco il link alla decisione: Corte di cassazione, Sezione 1 Civile, ordinanza del 27 novembre 2024, n. 30543

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