il crocevia bollente dell’Europa tra ambizioni, tensioni e il ruolo dell’Italia

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“I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire”, diceva Winston Churchill.
Molti anni dopo la frase pronunciata dall’allora Primo Ministro inglese è ancora vera e illustra in maniera chiara come questa parte di territorio sia stata -e sia tuttora- un blocco fondamentale per l’intero continente, oltre a rappresentare una risorsa preziosa per la sua crescita.

A dimostrazione di ciò, l’attenzione che l’Unione stessa rivolge da tempo ai Paesi balcanici, tanto che poco più di un mese fa, lo scorso 18 dicembre 2024, si è tenuto un importante Vertice che ha riunito a Bruxelles i leader dell’Ue e dei Balcani occidentali.     
In tale occasione, è emersa con forza la visione comune che lega indissolubilmente queste due parti d’Europa, per così dire, tanto da mettere al centro del dibattito la possibilità di progredire verso un comune futuro nell’Unione europea, attraverso un graduale processo di integrazione e sicurezza.

Va infatti ricordato che, come dichiarato dal Presidente del Consiglio europeo Antonio Costa: “Apparteniamo alla stessa famiglia europea. Condividiamo lo stesso continente, ma soprattutto condividiamo valori comuni e una storia comune”.

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Il percorso intrapreso dall’Ue con i Paesi balcanici parte da lontano, fino ad arrivare al 1° luglio 2013, quando la Croazia diviene il primo dei sette paesi ad aderire all’Ue, mentre l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro, la Macedonia del Nord e la Serbia sono ad ora paesi candidati. In particolare, sono stati avviati negoziati con Albania e Macedonia del Nord, nonché con la Bosnia Erzegovina. Mentre per quanto riguarda il Kosovo, forse uno dei paesi più complessi dell’attuale contesto geopolitico, nel dicembre 2022 è stata presentata domanda di adesione all’Ue.

Ad oggi, al centro della cronaca ci sono soprattutto due Paesi della regione balcanica, ovvero il Kosovo (dato il recente assetto politico post-elezioni) e l’Albania (vista la questione Cpr con l’Italia).

Le relazioni Italia-Kosovo e le nuove elezioni nel paese balcanico

La recente attenzione alla situazione kosovara è dovuta in particolar modo alle recenti elezioni nazionali, che hanno visto salire di nuovo al potere Albin Kurti, già premier e capo del partito di sinistra del Movimento di autodeterminazione, che ora dovrà cercare una coalizione per formare il prossimo governo, non avendo ottenuto i numeri per una maggioranza in Parlamento.
ebbene, questo governo si troverà ad affrontare molteplici sfide, da quelle interne a quelle esterne.       
Va innanzitutto detto che, drammaticamente, il Kosovo è uno dei paesi più poveri d’Europa, per cui necessita di un forte rinsaldamento economico, ma anche sociale. Il che, ad oggi, soprattutto a seguito del congelamento degli aiuti da Washington e la sospensione dei finanziamenti da parte dell’Ue (da oramai circa due anni), non sembra affatto un obiettivo facile da raggiungere.

A tutto ciò, si aggiunge poi la mai sopita questione interetnica tra serbi (che compongono una forte minoranza nel territorio vicino) e kosovari, che da tempo vive una situazione di stallo e, nonostante gli aiuti esterni, non sembra appianarsi del tutto. Al punto che sia l’Unione europea sia gli Usa hanno di recente esortato il governo di Pristina ad astenersi da azioni unilaterali, proprio per evitare lo sfociare di nuovi e più intensi conflitti interni, che porterebbero a nient’altro che ad un ulteriore squilibrio ed indebolimento della zona, già troppo fragile, e che condurrebbero -inevitabilmente- ad un acuirsi delle criticità anche nel rapporto tra il Kosovo e l’Ue intera. Ecco dunque che la normalizzazione di tale situazione appare, ora più che mai, necessaria, anche in una prospettiva futura, in modo che il Kosovo possa a stretto giro entrare a pieno titolo e con tutte le carte in regola nella grande famiglia europea, ricoprendo un ruolo di forza piuttosto che di destabilizzazione.

Rapporto Italia-Albania e il nodo dei centri dei migranti

Altra questione spinosa, per così dire, è quella che riguarda l’Albania, in termini di rapporti con il nostro Paese. In particolar modo, i riflettori (soprattutto quelli interni) sono da qualche tempo puntati sui cosiddetti Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), e sulle presunte azioni non consone del Governo. Anche se, a ben vedere, ciò che emerge dall’intera situazione è non tanto una incapacità delle istituzioni politiche, quanto piuttosto una volontà di alcuni giudici di riportare i migranti in Italia, innestando indubbiamente un cortocircuito internazionale che ad oggi non ha giovato a nessuno.

Su questo, ovviamente, il Governo non intende tirarsi indietro con Tirana, e mirerà a ripristinare quanto stabilito dagli accordi nel più breve tempo possibile. Questa volta, senza che le toghe rosse possano inserirsi per cambiare le carte in tavola.

L’impegno italiano per la ri-unificazione

Ciò premesso, va osservato che, potremmo dire da sempre, l’impegno italiano nei confronti dei Balcani è da sempre molto forte, e con il Governo Meloni è stato di gran lunga rafforzato ed esportato a livello sovranazionale in vari consessi.        
           
Va in questo senso menzionato il recente summit UE-Balcani occidentali, in occasione del quale proprio Giorgia Meloni aveva ribadito che “con i Balcani occidentali l’Unione europea condivide non solo la comune appartenenza geografica e identitaria, ma anche le sfide”.  
“Non si tratta di un allargamento, a mio parere: si può allargare un club, ma si riunifica una civiltà”, aveva infatti precisato Giorgia Meloni durante il suo intervento nel corso del Vertice di dicembre, rimarcando la priorità dell’azione europea, ed italiana dunque, nella questione balcanica.  

Un messaggio inconfondibile, che ha voluto chiarire una volta per tutto che occorre “ri-unire”, e non solo “allargare”. Perché ri-unire significa per l’appunto mettere -di nuovo- insieme pezzi di storia, cultura e popoli che condividono radici comuni e che devono e possono lavorare insieme non solamente per scopi politici ed economici, ma anche e soprattutto per ricostruire una vera e propria comunità, forte, solida e stabile in grado di affrontare le sfide globali in maniera unita e coesa.

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Anche ieri-10 febbraio- le istituzioni italiane sono state impegnate in un ulteriore evento connesso alla questione balcanica, con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, che ha presieduto a Villa Madama la riunione ministeriale con i Paesi dei Balcani Occidentali e con il Gruppo “Amici dei Balcani Occidentali”, a cui hanno partecipato anche l’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas e la Commissaria Ue per l’allargamento, Marta Kos.

Dall’incontro, è emersa chiara la volontà di rafforzare il coordinamento sugli obiettivi e le priorità da perseguire nel 2025 in tema di cooperazione con i Balcani Occidentali per promuovere la sicurezza della regione e l’accelerazione del processo di integrazione nell’Unione europea.

“La stabilità dei Balcani occidentali è una priorità del Governo italiano” ha infatti indicato il Ministro Tajani, che ne ha sottolineato lo stretto legame con la sicurezza dell’intero continente, ribadendo come il nostro Paese sia in prima linea nel garantire la stabilità dell’area attraverso la partecipazione alle missioni KFOR, EULEX e EUFOR Althea. È dunque evidente come sia forte la convinzione, a livello italiano (e poi anche europeo), che il futuro della regione balcanica sia all’interno dell’Unione, e che sia necessario lavorare su un doppio livello, sia da parte dei Paesi candidati che da parte degli Stati membri, per promuovere una riconciliazione e una stabilizzazione dell’area. Perché solo così sarà possibile dirigersi verso un futuro comune che possa apportare benefici ad entrambe le parti e possa rendere l’Unione europea, e dunque tutti i suoi membri, un attore protagonista a livello mondiale. Ma questo sarà possibile solo se ci sarà uno sforzo reciproco che possa garantire che i Paesi dell’area balcanica divengano davvero un valore aggiunto, e non più un fattore di destabilizzazione, come purtroppo da troppo tempo ancora sembrano essere.




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