Editoriale | Fine vita, un varco difficile da chiudere

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di Alessio Gaggioli

La legge toscana sul suicidio medicalmente assistito ha fatto da apripista ma la battaglia rischia di essere ancora lunga

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«Dal riconoscimento di un diritto non si può tornare indietro, ma ci sarà ancora qualcuno che proverà a ostacolare il risultato raggiunto». La battaglia insomma rischia di essere ancora lunga. È l’avvertimento di Beppino Englaro, il padre di Eluana, che assieme alla figlia e non solo per la figlia, ha lottato per 16 anni affinché fosse riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, al testamento biologico. 

Ricordiamo le contestazioni, gli insulti e gli insultanti, anche sotto Palazzo Vecchio, quando Beppino (era il 2009) venne a Firenze accolto da don Enzo Mazzi, per ritirare la cittadinanza onoraria decisa dal Consiglio comunale. 




















































Chi meglio di lui sa cosa vuol dire combattere per un diritto o, peggio, essere titolare di un diritto solo teorico? 

L’esempio più recente ci riguarda da vicino. Prendiamo la storia di Gloria, la 70enne fiorentina affetta da una malattia degenerativa che un anno fa aveva avuto il via libera dall’Asl per il suicidio assistito: Gloria è morta non come voleva morire domenica. Aspettava il farmaco che, nonostante lettere e diffide, l’Asl — raccontano dall’associazione Coscioni — non aveva fornito. È questo il vulnus che la Toscana con la legge approvata martedì vuole coprire. La mancanza di regole, tempi chiari e standardizzati per tutte le Asl in continuità con quanto stabilito dalla Consulta nel 2019 che in sostanza chiedeva al Parlamento di legiferare sulle procedure, non sul principio.

E di quelle procedure c’era bisogno come provato anche dalle decine di migliaia di cittadini che hanno sottoscritto la legge di iniziativa popolare proposta dall’associazione Coscioni. 

«Toscana apripista», era il titolo del giornale di mercoledì. Perché comunque sia — al di là delle due grandi ipocrisie tra chi finge di dimenticare che il diritto al suicidio assistito fosse già riconosciuto in Italia o chi, per ostacolarne la messa in pratica, ritiene fosse sufficiente la sentenza della Consulta — non è più tollerabile l’odioso stallo a cui devono sottostare i malati terminali. 

Sono assolutamente legittimi i dubbi, il travaglio personale dei cattolici. E così come è intangibile il diritto alla vita, non ci si può dimenticare del diritto alla libera decisione del malato (in grado di intendere e di volere) che non ha più speranze e non ce la fa più nonostante le cure palliative. Che è lo stesso concetto espresso dal filosofo cattolico Aldo Bondi sul nostro giornale pochi giorni fa: «I cattolici non sono obbligati a divorziare o ad abortire perché esistono leggi che, a determinate condizioni, lo consentono, e hanno il diritto di denunciare la mancata realizzazione di queste condizioni previste dalla legge». 

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Ci si può chiedere se lo strumento più adeguato fosse quello della legge o un regolamento come cerca di fare, faticosamente, il Veneto. E ancora: ci si può domandare se sia stato giusto non procedere con voto segreto per lasciare libertà di coscienza ai consiglieri regionali o se invece, non trattandosi dell’introduzione di un nuovo diritto, sia stato corretto il voto palese perché, come ha sottolineato proprio il governatore veneto Luca Zaia sul Corriere, «il dovere di un amministratore è quello di applicare la legge». Il Parlamento in questi sei anni ha traccheggiato se è vero che ci sono una decina di proposte di legge sul fine vita coperte dalla polvere; la Toscana invece, prima ad aver abolito la pena di morte e terra di battaglie per i diritti (quella di don Milani per l’obiezione di coscienza o la riforma carceraria di Gozzini), ha fatto un passo avanti. Ed è il Pd stesso poi (come alcuni esponenti della Lega) ad aver chiesto comunque una legge nazionale che uniformi le procedure. 

La Toscana ha aperto — politicamente — un varco e il governo ora ha tre possibilità: estendere la legge a tutta Italia (impossibile); lasciare le cose come stanno (difficile); impugnare la legge. In questo caso dovrà però spiegare se ci sarà poi un’alternativa perché sarebbe inammissibile il ritorno alla melina, all’incertezza, all’indifferenza, al nulla all’orizzonte per malati senza orizzonte. E senza lo Stato al loro fianco.

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