Suicidio medicalmente assistito in Toscana: una legge giusta e umana per la libertà di scelta

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“… ai suicidi, dirà

baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno
nel mondo del buon Dio”

Preghiera in gennaio, Fabrizio De Andrè

Una legge giusta e umana, che colma un colpevole e ipocrita vuoto. Così vorrei definire la legge della Regione Toscana, che ha stabilito “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per l’effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019”. Giusta perché niente altro fa che dare attuazione, per quanto di competenza (cioè le pratiche e le modalità in capo al Servizio Sanitario Nazionale agito dalla Regione); alla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale che ha stabilito essere costituzionalmente illegittimo l’articolo 580 del Codice Penale che non esclude la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. La Regione Toscana mette a disposizione le strutture del servizio sanitario affinché questa decisione, liberamente e consapevolmente assunta dalla persona, possa avvenire in modo corretto e gratuito. Cioè senza discriminare tra chi può permettersi di andare in Svizzera in costosi centri privati, tanto per essere chiari, e chi non ha disponibilità finanziarie per farlo. La Regione può farlo con tutte le garanzie per la libera scelta della persona, la quale può fermare il processo in qualsiasi momento. Assistendola sotto il profilo sanitario e psicologico.

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Una legge umana, perché disumana e intollerabile è la sofferenza che la persona sta attraversando e irreversibile – dunque sicuro l’esito – la malattia. E chi può stabilire che questa sofferenza sia intollerabile se non chi soggettivamente la sta sperimentando? Un medico? Un familiare? Cioè persone estranee a quel dolore? Direi che sul fatto che l’unico a poter decidere questa intollerabilità sia la persona, non può esservi dubbio alcuno.

Una legge che colma un vuoto, colpevole e ipocrita. Chi è il responsabile di questo vuoto? Il Parlamento italiano, nelle varie composizioni politiche di maggioranze e opposizioni che da 6 anni a questa parte non ha voluto e saputo adempiere all’invito più volte pronunciato dalla Corte Costituzionale. Perché colpevole e ipocrita? Colpevole perché questo è il compito per cui noi cittadini abbiamo votato ed eletto i parlamentari. Essere eletti in Parlamento non è solo un alto onore e un privilegio che in una democrazia si conquista con il voto e, dunque, con la credibilità che candidati e partiti si guadagnano di fronte al popolo sovrano; ma è soprattutto e prima di tutto una responsabilità, che ogni singolo parlamentare, senza vincolo di mandato, si assume davanti alla Repubblica. Se si omette, per colpa o ignavia, di assumersi tutte le responsabilità che l’ufficio richiede non si può che essere colpevoli e, nel caso in ispecie, ipocriti. Perché spesso si preferisce attribuire ad altri la causa delle proprie inadempienze: la maggioranza incapace o la minoranza che fa ostruzionismo, la magistratura che vuole fare politica o le invasioni di competenze da parte delle Regioni … l’invasione di cavallette e le sette piaghe d’Egitto. Ma qui siamo al redde rationem. Il Parlamento da 6 anni non legifera in materia né ha intenzione di farlo a breve. E dunque, la Regione – su spinta popolare – fa quel che può.

Si dice che il Governo impugnerà la legge toscana di fronte alla Corte Costituzionale e che vincerà per incompetenza della Regione a legiferare. Io non ne sono affatto sicuro. Primo, ci vuole una bella faccia tosta a impugnare una legge regionale per sospetta incompetenza su questa materia dopo anni di immobilismo di chi certamente aveva competenza a farlo. Secondo, la Regione non ha stabilito un diritto al suicidio assistito, né è intervenuta in materia di diritto penale: questo lo ha già fatto la sentenza della Corte Costituzionale con la sentenza 242 del 2019. Neppure ha ecceduto rispetto ai propri compiti istituzionali che sono quelli di organizzazione territoriale del sistema sanitario nazionale. Mi pare, dunque, difficile che la stessa Corte Costituzionale, che nel 2019 si è espressa in un senso, possa cambiare radicalmente indirizzo, essendo lo stesso l’oggetto del contendere seppure in una fattispecie giuridica diversa (incostituzionalità di norma penale nel 2019, conflitto di competenze nel 2025).

La legge regionale ha poi, finalmente, un altro merito: quello di riportare all’attenzione del mondo politico un tema sopito dall’inane immobilismo del legislatore, ma sempre più presente nella vita delle persone malate e delle loro famiglie. Ciò dimostra anche il distacco abissale che esiste fra le condizioni concrete di vita del sovrano (il popolo, ricordo) e dei suoi rappresentanti (parlamentari, in questo caso). Qui siamo di fronte non tanto al tema esistenziale posto dalla domanda “di chi è la vita?”, giacché ne stiamo parlando nel momento dell’attraversamento del ponte ultimo fra essa e la morte. Non mi pare che neppure l’approccio cattolico possa facilmente cavarsela dicendo che è di Dio in quanto lui ce l’ha data. È un approccio che, al limite, può valere per chi ha il dono della fede e non può certo essere imposto erga omnes. Ma anche su quel fronte potremmo domandarci di quale Dio stiamo parlando: qual è il Dio che magnanimamente ci dona la vita e ci impedisce di farne l’uso che vogliamo o che preferisce vederci soffrire oltre l’indicibile piuttosto che restituirgliela. Ma soprattutto se è un Dio che dona, Egli ci ha prima di tutto donato la libertà e l’autodeterminazione. La vita non può che essere di chi, soggettivamente e liberamente, la vive. E che, in questo caso, la sta terminando, inesorabilmente, fra dolori intollerabili e senza alcuna speranza di tornare a una qualità della vita dignitosa. Qui ci sarebbe la seconda domanda: fin dove una vita è degna di essere vissuta, ancora per pochi istanti? E perché mai la politica che troppo spesso non si impegna per rendere la vita dignitosa di essere vissuta durante il suo intero corso, dovrebbe poter imporre un fine vita senza dignità?

Ma il tema serio di cui la nostra società moderna ha il dovere di discutere è quello di come morire. Un bellissimo libro di qualche anno fa, *Essere mortale. Come scegliere la propria vita fino in fondo* di Atul Gawande, ci ricorda che, in passato, morire era in genere un processo repentino e quindi “come morire” era un tema che non aveva motivo di essere affrontato. Ma i progressi in medicina, che hanno fortunatamente allungato e migliorato la qualità della vita, pongono sempre più spesso il problema di come il sistema sanitario moderno e tecnologicamente avanzato debba o possa rispondere alle esigenze delle persone alla fine della loro vita. Quando si è sulla soglia, in una condizione di malattia incurabile e di atroci sofferenze, come ci dimostrano numerosi studi, le persone coscienti hanno esigenze diverse dal prolungamento della propria vita in quelle condizioni: vogliono evitare di soffrire, stare a più stretto contatto con i familiari e gli amici, mantenere lucidità mentale, non essere di peso agli altri, dare un senso di completezza alla propria vita nel momento ultimo. Sempre più persone vorrebbero potersi dare risposte a queste domande e poi lasciarsi andare. E farlo tranquillamente, per mano propria e non altrui, proprio per non essere di peso all’esecutore. Come rispondiamo a questa mutata condizione antropologica, oltre che medica? Questo è il tema a cui, nelle proprie competenze, la Regione Toscana ha inteso dare risposte, con un set ampio di possibilità (comprese le cure palliative, che la Regione ha incrementato), ma anche con una organizzazione umana e giusta che permetta a chi lo vuole, in piena coscienza, di lasciarsi andare, oltre quel ponte. Nell’insondabile mistero del dopo la vita, della morte.



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