In base ai prezzi sull’agenzia di viaggi online Booking, soggiornare in un hotel a 5 stelle a Roma costa mediamente 808,4 euro a notte. Poco meno di un giorno di degenza al San Pio di Benevento, al secondo posto tra gli ospedali più costosi d’Italia, dove un giorno di degenza equivale a spendere 915,3 euro. Il questa classifica, il “San Pio” è superato solo dal Papardo di Messina (1031,6 euro) e seguito dal San Giovanni di Roma (734,7 euro).
Va tutt’altro che bene per l’Azienda ospedaliera dei Colli, a Napoli, dove un giorno di degenza costa 730 euro, il quarto importo più alto del Paese (una differenza netta rispetto all’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo, in Piemonte, dove si spendono 413,2 euro). Rientrando in Campania, fanno parte della top 10 degli ospedali anche il Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta (679 euro). Il Cardarelli di Napoli (613 euro) e il San Giuseppe Moscati di Avellino (576,4 euro) si attestano all’undicesimo e al dodicesimo posto.
Ancora più rilevanti le difformità se si mettono a confronto le Aziende ospedaliere universitarie. Per fare un esempio: al Luigi Vanvitelli di Napoli si lambiscono i 1.400 euro di costo quotidiano, oltre il triplo rispetto ai 400,3 euro del Policlinico San Matteo di Pavia. È inutile girarci attorno: il sistema sanitario campano ha i costi più elevati d’Italia. Lo indicano i dati raccolti da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che, mediante una serie di indicatori, valuta e compara le performance di ogni singolo ospedale.
Sistema sanitario e risorse umane
Ieri come oggi, il tema fondante su cui confrontarsi – secondo il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova – resta quello del contrasto agli sperperi. Così, un post sul suo profilo X, Bassetti spiega: “Come detto tante volte, non è un problema di quanti soldi si mettono nel sistema sanitario, ma di come si spendono. Occorre procedere rapidamente con la lotta agli sprechi che, in alcune realtà del sud, fanno lievitare i costi. Oltretutto a costi maggiori non corrisponde una maggiore qualità delle cure e dell’assistenza”.
Tornando ai dati raccolti da Agenas (il cui report sui migliori ospedali d’Italia ha visto al primo posto l’Humanitas di Rozzano di Milano, seguito da due strutture pubbliche: l’ospedale di Ancona e il Careggi di Firenze), ad impattare sulla sostenibilità economica del sistema sanitario campano sono le risorse umane. A questo proposito, l’indicatore – che valuta la spesa sia per il personale dipendente sia per le consulenze, le collaborazioni, l’impiego interinale nonché le altre prestazioni di lavoro anche non sanitarie – vede sul podio e al quarto posto della classifica nazionale tutti ospedali della Campania. Nell’ordine: San Pio di Benevento (78 per cento), Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta (67,3 per cento), Cardarelli (65,4 per cento) e Ospedale dei Colli (62,3 per cento), questi ultimi due entrambi a Napoli.
Disparità frenano la digitalizzazione
Tariffario dei ricoveri a parte, ulteriori disomogeneità regionali configurano delle “fratture digitali” tanto in termini di servizi erogati quanto di utilizzo da parte di cittadini e professionisti sanitari. È quanto emerge dal 19esimo Forum Risk Management di Arezzo, dove la Fondazione Gimbe (che ad inizio novembre, in audizione davanti alle commissioni Bilancio riunite, ha smentito la premier Meloni sulla sanità ), per voce del presidente Nino Cartabellotta, ha presentato i dati aggiornati sulla completezza e utilizzo del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) nelle regioni italiane.
Numeri alla mano, il certificato vaccinale è presente in 16 regioni e province autonome (76 per cento) mentre il taccuino personale dell’assistito e della scheda della singola vaccinazione si trovano nei Fascicoli sanitari elettronici di 12 Regioni (57 per cento). Solo 5 regioni rendono disponibile la lettera di invito per screening vaccinazione e altri iter di prevenzione. La cartella clinica, invece, è disponibile esclusivamente in Veneto, Sardegna e nel Lazio.
A livello nazionale sono posti a disposizione dei cittadini il 79 per cento dei documenti (mentre nei Fascicoli sanitari regionali sono disponibili 37 servizi, che consentono agli utenti di svolgere varie attività fondamentali). E ancora, al 31 agosto 2024, il 41 per cento dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sanitari da parte di medici e operatori del Servizio sanitario nazionale (con rimando alla stessa data, il 76 per cento dei medici specialisti delle Aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del Fascicolo sanitario elettronico, con rilevanti discrepanze regionali).
Tra giugno e agosto 2024, poi, solo il 18 per cento degli utenti ha consultato il proprio Fse almeno una volta e, nel medesimo periodo, il 94 per cento di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta ha effettuato almeno un accesso al Fascicolo sanitario elettronico. Infine, al 31 agosto 2024, il 76 per cento dei medici specialisti delle Aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del Fse, con significative differenze tra le regioni.
Secondo Cartabellotta “per ridurre le diseguaglianze occorre un nuovo patto nazionale per la sanità digitale, che coinvolga il Governo e le amministrazioni regionali”. Ritenendo altresì che “senza un piano di integrazione nazionale, rischiamo di generare nuove diseguaglianze in un sistema sanitario che già viaggia a velocità differenti”, il presidente della Fondazione Gimbe rimarca l’importanza di “superare, attraverso iniziative di formazione e sensibilizzazione, la scarsa alfabetizzazione digitale di una parte significativa dei cittadini e la paura legata alla privacy dei dati personali”.
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