Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
Con numerose sentenze pubblicate recentemente (es. Cass. n. 3109/2025) e che fanno seguito alle udienze generali di metà gennaio, la Cassazione sorprende tutte le parti in causa e decide nel senso di riqualificare l’imposta sulla benzina per autotrazione come tributo erariale, per il cui rimborso è legittimata passiva l’Agenzia delle Dogane e non la Regione che ha introdotto per legge locale il tributo e al cui bilancio è ascritto il capitolo dell’imposta.
La decisione supera tutti gli argomenti del contenzioso, basato sulla legittimità dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA) in termini di compatibilità con il diritto Ue, sulla avvenuta traslazione dell’imposta sui consumatori finali del prodotto e sul carattere self-executing delle direttive Ue, per atterrare su una motivazione ardita, mai opposta dagli Enti competenti e dettata da ragioni che appaiono, se non proprio di tutela delle casse erariali, per lo meno un unicum in materia.
La questione sull’IRBA nasce molti anni dopo l’istituzione di questo tributo, effettuata per opera del DLgs. 398/1990, che conferiva alle Regioni il potere di istituire imposte locali sulla vendita di benzina, che poi venivano accertate e riscosse, per convenzione, dall’autorità doganale, restando però tributi locali iscritti al bilancio delle Regioni che avessero inteso introdurre l’imposta. Tuttavia, nel 2018, la Commissione Ue, con la decisione n. 2017/2114, ha proceduto con l’apertura, nei confronti dell’Italia, di una procedura di infrazione, emettendo un provvedimento formale di costituzione in mora con cui ha intimato l’abolizione delle imposte regionali sui carburanti applicate sul suo territorio, posizione poi ribadita nel 2019 (prot. C (2019) 8232 del 27 novembre 2019).
La contestazione verteva sul fatto che l’art. 1 § 2 della direttiva 2008/118/Ce, recepita nell’ordinamento nazionale con DLgs. 48/2010, prevede indiscutibilmente che i prodotti energetici possono essere gravati da tributi ulteriori, purché il relativo gettito sia vincolato ab origine ad una “finalità specifica”, come meglio dettagliata dalla giurisprudenza unionale. Poiché l’IRBA non ha, per definizione, alcuna finalità specifica, ma è un “normale” tributo acausale, allora esso è pacificamente illegittimo.
La parola fine alla questione, in ultimo, era stata fornita dalla Corte di Giustizia Ue, che con la decisione del 9 novembre 2021 causa C-255/20, ribadendo la circostanza per la quale un’imposta che grava sui prodotti sottoposti ad accisa può considerarsi perseguire c.d. “finalità specifiche” soltanto qualora tale imposta – contrariamente all’IRBA – sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo la materia imponibile o l’aliquota d’imposta, in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti nel senso di consentire la realizzazione della finalità specifica invocata.
In questo quadro, si è registrata la presa d’atto dell’Italia che, dal 2021, ha abrogato il tributo con l’art. 1 comma 628 della L. 178/2020, seppure con la discutibile, quanto infelice riserva per cui, ambiguamente, sarebbero salvi i suoi “gli effetti pregressi”. Anche quest’ultimo muro, però, era stato in massima parte abbattuto, fino ad oggi, sia dalla giurisprudenza di merito, sia dalla giurisprudenza di legittimità (sugli accertamenti, non sui rimborsi), tanto da suggerire all’autorità doganale, nel marzo 2024, di abbandonare tutti i giudizi sugli accertamenti, in ogni stato e grado.
Ebbene, in questo scenario si inserisce, dapprima, una ordinanza della Corte di Giustizia tributaria del Piemonte, ex art. 363 c.p.c., che ha disposto il rinvio di una causa alla Corte di Cassazione, per risolvere una questione di diritto che, per dato di legge, a dire il vero appare davvero chiara, ma che i giudici hanno inteso qualificare come incerta e dirimente ai fini della decisione. In sostanza i giudici di Torino si chiedono infatti se, nel caso dell’IRBA, si applichi l’art. 29 comma 2 della L. 428/1990 e quale sia il contenuto della prova sull’avvenuta traslazione, nell’ambito del diritto al rimborso.
La decisione su questo tema ha suggerito alla Cassazione di riunire le molte cause pendenti. La Suprema Corte, tuttavia, sorprende tutti e sposta, d’ufficio, il focus della vicenda, tacendo sul cuore della questione, ossia sull’onere della prova. Per i giudici di legittimità, in buona sostanza, il tributo non ha più la natura regionale che, a dire il vero, da anni è pacifica e condivisa. Con qualche salto argomentativo, invece, il tributo diventa un “tributo regionale derivato”, quindi statale (“erariale”) e dunque solo devoluto alle Regioni.
La prova di ciò starebbe peraltro nella convenzione con l’autorità doganale che, dunque, sarebbe la “reale” titolare dell’obbligazione passiva al quale chiedere il rimborso. È probabile che la partita resti aperta, perché è davvero complesso sposare in pieno gli argomenti della Cassazione che, così, spazzano via anni di giudizi e orientamenti consolidati, richiamando ragioni assertive e ancora aperte, come è, ad esempio, per il richiamo ai temi di legittimazione passiva per le addizionali, materia solo apparentemente analoga a quella dell’IRBA e che attiene a rapporti civilistici.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link