Guerra ed economia: la sconfitta della Russia

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La guerra iniziata con l’attacco russo all’Ucraina nel 2022 potrebbe svoltare. Sappiamo che a determinare le guerre non sono solo i fattori economici, ma a sostenerle sì. In questo momento entrambi i paesi potrebbero vantare di avere raggiunto i propri obiettivi. La Russia potrebbe dire di avere conquistato il 17 per cento del territorio ucraino, circa la Novorossiya, riconnettendosi geograficamente con la Crimea, occupata nel 2014. La guerra di “rettifica dei confini” potrebbe essere conclusa. L’Ucraina da parte sua potrebbe sostenere di avere affrontato una guerra di indipendenza, di avere riaffermato la propria sovranità ed avere dimostrato che è possibile fermare l’armata rossa anche in condizioni di inferiorità numerica. Potrebbe altresì vantare di aver perso territori ma neppure uno dei capoluoghi delle regioni occupate e di avere compiuto dei progressi nell’adesione alla UE, che potrebbe cambiare il suo destino economico, ovviamente in meglio. Per concludere la guerra occorrono di certo quelle che entrambe le parti chiamano “garanzie di sicurezza” e questa è probabilmente la questione più delicata dei negoziati e su cui non vogliamo entrare.

Però, anche l’economia conta. Per entrambi i paesi la guerra non è stata un affare, di certo, ma per la Russia è andata peggio. Prendiamo un indicatore tra i più semplici da comprendere, il reddito nazionale netto per abitante e confrontiamo l’andamento di quello dei due paesi in conflitto con quelli della Polonia (paese di confine, fortemente vicino all’Ucraina e sensibile alla guerra) e con quello della Cina, paese formalmente vicino alla Russia, ma che ha rispettato le sanzioni internazionali alla stessa, per esempio sul fronte dei pagamenti bancari, per non essere esclusa dal commercio internazionale, vitale per la sua economia.

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Fonte: Elaborazione su dati World Bank fino al 2021 e nostre stime in seguito

Si osservano chiaramente numerosi fenomeni. Chi non è stato in guerra (Cina e Polonia) è riuscito a crescere bene nel periodo, e questo nonostante i valori siano espressi in dollari, valuta forte.
Chi è stato in guerra se l’è cavata male e, in termini di tendenza, la condizione della Russia è peggiore di quella Ucraina. Per diversi motivi:
Primo, proprio a causa della guerra il reddito pro capite netto dei cinesi ha superato quello dei russi, e questo è motivo di orgoglio per Xi Jinping, ma è un argomento su cui il Cremlino deve glissare, citando piuttosto il reddito a parità dei poteri di acquisto. Misura dignitosissima, ma poco utile per un paese che deve vendere le sue materie prime in dollari correnti (e non PPP) per finanziare lo stato, la guerra e i consumi (questi, modestamente) e deve comprare pressoché tutta la tecnologia all’estero, dalle auto in su, in Cina (gli europei non vendono neppure più i ricambi).

Ma, come si vede, la flessione del reddito nazionale netto pro capite russo non è iniziato con la guerra, bensì viene da prima. Perché, essendo una economia sostanzialmente basata sulla estrazione di materie prime, ne è anche fortemente dipendente. E i prezzi del petrolio (il 40% del bilancio russo) erano flessi significativamente tra il 2014 e il 2016. Inoltre, nel 2014 erano state imposte le prime sanzioni (a seguito della occupazione della Crimea) e nel 2014 è iniziato il deprezzamento del rublo, del 60% ormai ad oggi, impoverendo i consumatori a causa dell’inflazione importata. Come se non bastasse, la demografia russa è fragile come quella dei paesi europei, con 1,5 figli per donna, il che significa che, quando è iniziata la guerra, questa non solo ha sottratto le persone mobilitate dal mercato del lavoro, ma si conta che circa un milione di russi, di solito qualificati, abbiano lasciato il paese insieme ai loro risparmi per non essere coinvolti. La guerra è costata il 6-7% del Pil e questo ha determinato una produzione militare invendibile e quindi il rialzo dei prezzi di ciò che i consumatori vorrebbero, e spesso non trovano più, come il semplice burro. Per limitare i danni dell’inflazione, la banca centrale ha portato i tassi di interesse al 21%, ma così facendo ha determinato il calo del 75% delle vendite di abitazioni e la conseguente crisi del settore delle costruzioni, il più notevole tra quelli dell’industria civile.

Fonte: The Economist

La corda di violino dell’economia è così tesa che, se non si arrivasse a una tregua, la crisi economica russa sarebbe dietro l’angolo, mentre il reddito pro capite della Cina di Xi Jinping prende il volo e indica quale è la reale potenza che può contendere il posto agli Usa. Non più la Russia, ma la Cina.
L’Ucraina occupata partiva da condizioni di reddito pro capite assai più svantaggiate, come si vede. L’arretratezza dell’Ucraina è dovuta alla sua specializzazione agricola e nelle materie prime, dove il valore aggiunto è scarso. Tuttavia, a parte gli aiuti militari, l’Ucraina ha ricevuto assistenza economica da UE, USA, FMI e solo l’UE ha erogato 77,1 miliardi di euro dal 2022 in aiuti civili, permettendo di stabilizzare la bilancia dei pagamenti e sostenere la spesa pubblica.
L’economia di guerra ha determinato la necessità di salvare l’agricoltura e specialmente le esportazioni di grano, che sono riprese dopo il blocco del 2022 grazie al corridoio marittimo del Mar Nero (accordi negoziati con Turchia/ONU), con 25 milioni di tonnellate esportate nel 2023.

A seguito della ristrutturazione economica, dal 2023 sono ricominciati a rientrare alcuni degli ucraini. Secondo la Banca Mondiale, circa 500 mila persone sfollate sono rientrate nel 2023 (su 8 milioni di sfollati all’estero), e il fenomeno ha accelerato a 1,2 milioni nel 2024, dando sollievo al mercato del lavoro e ai consumi interni. Senza contare che solo nel 2023 18 miliardi di rimesse sono stati inviati dagli ucraini che hanno lavorato all’estero alle famiglie in patria.
Dopo un 2022 nero, l’intraprendenza degli ucraini è stata significativa. L’Ucraina ha riconquistato il 60% dei mercati europei per acciaio e grano, con un export totale cresciuto del 14% nel 2023 (dati UNCTAD).
La guerra poi ha portato qualche beneficio strutturale. Per esempio, ha determinato una accelerazione dello sviluppo dell’IT e della logistica ucraina, così importanti per le operazioni militari, ma essenziali e ad alto valore aggiunto in tempo di pace. Vi sono stati anche investimenti diretti esteri europei in Ucraina, mentre i capitali delle aziende europee sono per lo più usciti dalla Russia. Per questo, mentre nel 2024 il reddito netto pro capite in dollari in Russia è sceso, al contrario quello in Ucraina è salito.

Soppesando tutti i fattori, la guerra quindi non è molto sostenibile. La Russia è al fondo delle risorse economiche e solo fermando le operazioni militari e riprendendo il commercio può tornare a crescere senza inflazione, sia pure con il passo ridotto. L’Ucraina ha più scarsità sul fronte militare e particolarmente di soldati mobilitabili, mentre teme meno le scarsità economiche. In più, se cessassero le minacce dei bombardamenti si aprirebbero i cantieri della ricostruzione (un cantiere da 500 miliardi in dieci anni) e della definitiva adesione alla Ue: due vantaggi che restano sulla carta fino a che la parola sta alle armi.

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Non possiamo prevedere se si farà la pace, ma la guerra ha raggiunto i suoi limiti economici. Per la Russia soprattutto.

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