“Chiamo quelli da Foggia”: il sistema di estorsioni, violenza e minacce per ripagare i debiti di droga

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Un sistema di estorsioni, minacce e acquisizioni forzate di locali e aziende, con il peso della criminalità organizzata pugliese sempre più radicata in Molise. È questo il quadro che emerge dalla maxi-inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Campobasso, che ha portato alla notifica di 47 avvisi di conclusione delle indagini, 23 dei quali molisani o residenti in Molise.

Secondo l’accusa, la Società Foggiana – la feroce e spregiudicata organizzazione mafiosa che controlla il territorio tra Foggia e San Severo –ha esteso la sua influenza in Molise, infiltrandosi nel tessuto economico locale attraverso il narcotraffico e un sistema di estorsioni. Gli episodi documentati nelle oltre 100 pagine di indagine raccontano come diverse aziende molisane siano finite nelle mani della criminalità, spesso a causa di debiti legati alla droga e del clima di intimidazione imposto dagli uomini legati alla mafia pugliese.

Estorsioni e cessioni forzate: il metodo della Società Foggiana in Molise

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Secondo quanto emerso dall’inchiesta, tra i protagonisti di questo sistema ci sarebbero due pregiudicati, uno residente a Torremaggiore e uno a Campomarino, entrambi ritenuti legati alla criminalità organizzata foggiana. Il pugliese, in particolare, sarebbe un punto di riferimento per la gestione del traffico di droga tra il Foggiano e il Basso Molise.

Le indagini hanno ricostruito numerosi episodi di imprenditori e commercianti costretti a cedere attività per saldare debiti di droga. Tra i casi documentati, emerge quello di un imprenditore termolese del settore edile, costretto a cedere il 20% della sua impresa per ripianare un debito contratto con un fornitore di droga. Il trasferimento delle quote è stato formalizzato attraverso un atto notarile, ma dietro c’è uno scenario allarmante di minacce esplicite sotto timore di ritorsioni.

In un altro caso, un ristoratore del Basso Molise ha dovuto cedere la gestione del suo locale a un esponente legato alla criminalità foggiana, dopo aver accumulato più di 40mila euro di debiti per forniture di cocaina. Stessa sorte per il proprietario di un’officina meccanica di Termoli, che ha perso l’attività a favore di un affiliato alla mafia foggiana per un debito di 15mila euro, anche questo legato alla droga.

A Campomarino, invece, un appartamento è stato intestato a un membro dell’organizzazione criminale come garanzia per il pagamento di una partita di stupefacenti. Il proprietario, incapace di restituire la somma, è stato costretto a lasciare l’immobile.

“Chiamo quelli da Foggia”: un clima di paura

L’inchiesta ha ricostruito le dinamiche del sistema criminale anche grazie a intercettazioni ambientali e telefoniche, che hanno confermato l’influenza della Società Foggiana sul territorio molisano, come peraltro il Procuratore di Campobasso Nicola D’Angelo ha sempre sostenuto, evidenziando anche nel corso di conferenze di bilancio e incontri pubblici l’elevato rischio che corre l’area costiera molisana di venire risucchiata da infiltrazioni soprattutto economiche, che si articolano mediante reati estorsivi, usura e riciclaggio di denaro.

Una delle frasi più emblematiche, pronunciata da un indagato in un contesto di minacce, è io mi incazzo e faccio venire quelli da Foggia”, a conferma del legame diretto tra la malavita pugliese e il Basso Molise. In un’altra intercettazione, un uomo vicino al clan foggiano fa riferimento ai metodi brutali usati per riscuotere i crediti: “A quelli gli servono i soldi, compà!“, chiaro messaggio di pressione su chi aveva debiti insoluti.

Il controllo del territorio e le infiltrazioni nel tessuto economico

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Gli investigatori della DDA di Campobasso, che hanno operato mediante Gico della Finanza in questo filone, ritengono che la mafia foggiana abbia esteso il proprio raggio d’azione in Molise sfruttando il traffico di stupefacenti come strumento di controllo. La dinamica è sempre la stessa: piccoli e medi imprenditori finiscono nella spirale del debito per acquisti di droga, e quando non riescono a pagare, devono cedere quote delle loro attività o altri beni di valore.

L’inchiesta ha portato alla luce un vero e proprio meccanismo di infiltrazione economica, dove il denaro sporco della droga si trasforma in controllo delle attività commerciali locali. Questo sistema non solo alimenta il potere della mafia foggiana sul territorio, ma contribuisce a condizionare l’economia legale, creando un circuito di imprese e locali sotto il controllo della criminalità organizzata.

Emerge il ruolo di diversi indagati pugliesi connessi alla Società Foggiana, che avrebbe esercitato un’influenza diretta sulle attività illecite scoppiate tra il Basso Molise e l’alta Puglia. Sono svariati i personaggi identificati come elementi chiave nella gestione delle estorsioni, delle minacce e delle pressioni esercitate sui debitori nel circuito criminale legato al traffico di droga. Intercettazioni e testimonianze hanno rivelato che esponenti di clan della malavita foggiana avrebbero partecipato ad azioni intimidatorie volte a costringere alcuni imprenditori molisani a cedere le proprie attività per saldare debiti derivanti dal narcotraffico. Uno degli episodi più significativi riguarda il tentativo di ottenere il controllo di un bar attraverso minacce di morte, una prassi già utilizzata in altre circostanze per il recupero crediti.

I riferimenti alla batteria Moretti-Lanza-Pellegrino della Società Foggiana emergono poi chiaramente dalle carte dell’inchiesta, con gli stessi indagati che evocano contatti e richiami diretti a figure criminali di alto profilo. In questo segmento di inchiesta, che poi rappresenta il maggiore filone sul quale si concentrano le attenzioni della DDA, c’è anche un avvocato, che avrebbe avuto un ruolo attivo in episodi di pressione e intimidazione per favorire operazioni illecite. In più occasioni, avrebbe accompagnato e sostenuto soggetti coinvolti nelle minacce rivolte a imprenditori e privati, con l’obiettivo di forzare la cessione di beni e attività. In particolare, in un episodio documentato, avrebbe affiancato un esponente del gruppo criminale nel tentativo di costringere un imprenditore a cedere il controllo di un’attività commerciale, utilizzando argomentazioni ambigue e atteggiamenti intimidatori. La sua presenza e il suo ruolo avrebbero avuto, così ricostruiscono gli investigatori, la funzione di dare una parvenza di legittimità alle operazioni, sfruttando il proprio status professionale per mascherare la natura coercitiva delle azioni.

Al di là di quello che sarà l’esito finale della vicenda giudiziaria, e del processo, il quadro tracciato dagli inquirenti fa riflettere: la Società Foggiana non è più confinata al solo territorio pugliese, ma ha radicato il proprio sistema di estorsioni, minacce e acquisizioni forzate anche nelle province molisane, dove il mercato della droga resta il principale strumento di infiltrazione.

Le prossime fasi processuali chiariranno meglio le responsabilità penali degli indagati, ma il messaggio che intanto ne viene fuori è forte e dovrebbe essere oggetto di un’attenta valutazione da parte delle Istituzioni: il Molise non è immune dai grandi sistemi mafiosi e il controllo della criminalità organizzata sul territorio resta una minaccia concreta per l’economia e la sicurezza locale.

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