Africa, addio alla presenza militare francese?

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Analisi – Il ritiro delle forze militari francesi dall’Africa sta ridisegnando le relazioni internazionali del Continente. Il neocolonialismo è davvero finito con la cacciata della Francia o assumerà solo una nuova maschera con altri interpreti?

FIN DE LA FRANÇAFRIQUE

Umiliazione e ingratitudine. I sentimenti che traspaiono dagli Alti Comandi francesi, al netto delle espressioni di circostanza del Presidente Macron, di fronte alla cacciata delle forze francesi dai Paesi dell’Africa Occidentale, sono questi.
“Siamo stati impegnati contro il terrorismo dal 2013 e avevamo ragione. Credo che ci si sia dimenticati di dirci grazie. […] Lo dico per tutti i governanti africani che non hanno avuto il coraggio di riconoscerlo di fronte alle proprie opinioni pubbliche. Nessuno di loro sarebbe con un Paese sovrano se l’esercito francese non fosse stato dispiegato in quella regione”, ha detto Macron lo scorso 6 gennaio, durante la conferenza annuale degli ambasciatori[1]. Un discorso che ha infiammato ulteriormente le relazioni con i Paesi dell’Africa occidentale. Lo stesso generale Mahamat Déby, Presidente del Ciad, ha risposto che queste parole altro non dimostrano che un “odio profondo nei confronti dell’Africa e degli africani”. A Déby ha fatto eco Ousmane Sonko, Primo Ministro senegalese, secondo cui “la Francia non ha né la capacità, né la legittimità per garantire all’Africa la sua sicurezza e la sua sovranità”. L’intervento del Presidente Macron ha contribuito ad alimentare una polemica politico-diplomatica che ha ravvivato nei Paesi del Sahel un forte risentimento contro la Francia. L’Alleanza degli Stati del Sahel[2] (AES) è una delle dirette conseguenze delle politiche dell’Eliseo degli ultimi dieci anni: il sentimento anti-francese e la percezione neo-colonialista hanno unito Mali, Burkina Faso e Niger.

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Fig. 1 – Il Presidente francese Emmanuel Macron durante il discorso agli ambasciatori, Parigi, 6 gennaio 2025

NON SOLO IL SAHEL

Quest’anno anche la Costa d’Avorio provvederà a cacciare le forze francesi dal proprio territorio. Il Senegal ha intenzione di adottare un nuovo approccio strategico bilaterale con Parigi: il Presidente Bassirou Diomaye Faye ha avviato i primi di febbraio di quest’anno l’elaborazione di una nuova dottrina relativa alla difesa e alla sicurezza. La proposta mira a una diversificazione delle relazioni diplomatico-militari con la Francia, seppur evitando una vera e propria rottura. Il generale Pascal Lanni, responsabile del Comando francese per l’Africa, ha incontrato alla fine di gennaio il Governo di Dakar per discutere proprio della preoccupazione di questo cambio di rotta. L’entourage del Presidente Faye ha rassicurato Parigi, sottolineando che non ci sarà una brusca frattura, ma una naturale evoluzione delle relazioni internazionali franco-africane[3].  Tuttavia, se il Senegal ha optato per una linea diplomatica più responsabile e meno ostile, lo stesso discorso non vale per il Ciad. Lo scorso 30 gennaio l’esercito francese ha smantellato la sua ultima base nel Paese e ha posto fine alla sua storica presenza. Il Ciad era l’ultimo avamposto militare francese nel Sahel: fino al 2022, quando era in atto l’operazione antijihadista Barkhane, erano stanziati nell’area più di 5mila militari tra fanteria e reparti d’assalto.[4]  Il 31 dicembre del 2024, Alassane Ouattara, Presidente della Costa d’Avorio, durante il messaggio alla nazione, ha annunciato la restituzione della base militare di Port-Bouët per il prossimo 20 febbraio. Téné Birahima Ouattara e Sébastien Lecornu, rispettivamente Ministro ivoriano della Difesa e Ministro francese delle Forze Armate, prenderanno parte alla cerimonia del passaggio di consegne, con la quale il 43° battaglione della BIMA (Brigade d’Infanterie de Marine) tornerà sul suolo francese. La fine della Françafrique risulta, ormai, inevitabile.

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Fig. 2 – Sostenitori della giunta militare del Niger manifestano contro la presenza militare francese di fronte alla base aerea di Niamey, 1° settembre 2023

LA PRESENZA FRANCESE IN AFRICA OCCIDENTALE

LA PRESENZA FRANCESE IN AFRICA OCCIDENTALE

La presenza militare francese nel Sahel risale all’epoca dell’indipendenza di questi Paesi, con una certa continuità rispetto al periodo coloniale. I punti strategici sono però notevolmente variati negli ultimi 65 anni, innanzitutto per il processo di rafforzamento e autodeterminazione degli Stati regionali e per il mutamento della percezione dell’opinione pubblica francese nei confronti di questa politica soprattutto negli ultimi venti anni. Il numero dei soldati, per esempio, è passato dalle 20mila unità degli anni Settanta, alle sole 6mila del 2022.  Nell’aprile del 2023, con l’operazione Sagittario, durante la terribile guerra civile in Sudan, personale straniero e cittadini di diversi Paesi sono stati evacuati grazie ai mezzi dell’esercito francese di base in Gibuti, in Africa Orientale, ultimo baluardo ormai della presenza transalpino – manovra difficilmente realizzabile senza quell’intervento.  Dal 1964 al 2014 le operazioni militari in Africa occidentale ufficialmente elencate dal Ministère des Armées sono state 52. Il ruolo di Paese “guida” svolto da Parigi nell’area è stato riconosciuto dalla diplomazia internazionale in seno alle Nazioni Unite, nonché dall’Unione Europea. Da questo punto di vista, la responsabilità diplomatica della Francia è ben rappresentata con ruoli di prim’ordine nella Direzione Africa del Servizio Europeo di Azione Esterna e nel Dipartimento delle Operazioni di mantenimento della pace all’ONU. La fine dell’interventismo militare francese avrà quindi sicuramente ripercussioni e conseguenze sull’azione diplomatica, minata già da tempo in modo percettibili, di Bruxelles, Washington e New York. Le minacce per la sicurezza nei Paesi come Mali, Ciad e Niger aumentano giorno dopo giorno per la spinta jihadista e per il governo delle giunte militari, che non sempre tutelano i propri cittadini. Sì, la Francia non è più il “Gendarme de l’Afrique” , ma la scelta di sostituirli (con la Russia?), non ha portato alle conseguenze auspicate.

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Fig. 3 – Il Presidente francese Emmanuele Macron festeggia il proprio 42° compleanno con militari del 2º reggimento straniero di paracadutisti nella base di Port-Bouët, in Costa D’Avorio, 21 dicembre 2019

DALLA LEGIONE STRANIERA AL GRUPPO WAGNER

Nell’immaginario collettivo il legionario straniero riveste un’immagine di fascino particolare, dai forti richiami avventurosi e con evocazioni di un romanticismo ormai lontano nel tempo – mercenario, o forse no. Creata nel 1831, la Legione Straniera francese è parte integrante dell’esercito (Armée de Terre) e quindi una componente delle forze NATO. Ad oggi la Legione può contare circa 9.600 militari tra ufficiali, sottufficiali e soldati provenienti da 150 Paesi diversi, che ricoprono il 12% delle forze operative terrestri dell’esercito francese. Largamente utilizzati in Africa occidentale, come nell’operazione Barkhane dal 2014, i legionari ora sono stanziati nell’ultima base a Gibuti. I berretti verdi, loro tratto riconoscibile, sono stati sostituiti nel tempo dai teschi degli “orchestrali wagneriani”: la presenza degli Africa Corps, ex Gruppo Wagner, in Paesi come Mali, Repubblica Centrafricana, Sudan, Burkina Faso e Ciad è conclamata e testimoniata dalla scia di sangue e potenziali crimini di guerra che li seguono. Mercenari, questi sicuramente. E il loro interventi nei suddetti territori ha aumentato esponenzialmente l’instabilità sociale, le violenze e i conflitti, anche con il sostegno diretto a dittature e regimi militari.

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Fig. 4 – Gli ultimi soldati francesi in partenza dal Niger, Niamey, 22 dicembre 2023

IL FUTURO DEL SAHEL: NUOVE RELAZIONI E VECCHI FANTASMI

La fine della Françafriqueè un dato oramai oggettivo, almeno per come l’abbiamo conosciuta negli anni, dall’epoca della decolonizzazione ad oggi. La Francia, dal punto di vista diplomatico, non è più il punto di riferimento internazionale dei Paesi saheliani, che vogliono lasciarsi alle spalle la storia coloniale e guardare al futuro con più consapevolezza e determinazione. La rinegoziazione del ruolo di “gendarme” dell’Africa francofona è fallita. Negli anni, soprattutto dal 2010 in poi, è stato evidente come l’elettorato francese fosse intenzionato a uscire dall’Africa, preoccupandosi maggiormente delle questioni interne, una tendenza che ha sicuramente influito sulle scelte dell’Eliseo di accettare di farsi da parte in Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Senegal e Costa d’Avorio. Non bisogna però incorrere nell’errore di considerare sovrapponibili le storie e l’attualità di ciascun Paese saheliano: le sfide che attendono i singoli Stati, al cui interno si trovano regimi militari, guerre civili e terrorismo, sono complesse, spesso violente per la popolazione e terreno fertile per mercenari e altri Governi esteri, pronti a lucrare sulle crisi socio-politiche. Il taglio netto con Parigi potrebbe rappresentare per questi Paesi un passo indietro nella crescita democratica, nella sicurezza interna, nella pacificazione sociale, al netto comunque degli aspetti controversi della presenza francese. Il rischio di un isolamento diplomatico e militare dei Paesi del Sahel o una loro profonda collaborazione con Russia e Cina pone importanti interrogativi sul futuro della geopolitica globale.

Fabio D’Agostino

Photo by Joe_Hillsund is licensed under CC BY-NC-SA

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