L’alimentare con “Italia” in etichetta genera 11,4 miliardi di euro in un anno nella gdo nazionale

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L’etichetta è, da sempre, un aspetto fondamentale di un prodotto: le informazioni che riporta, infatti, possono aiutare i consumatori a scelte più educate, trasparenti ed affini alle loro esigenze. Analizzare le etichette ed il packaging dei prodotti, quindi, è importante anche perché permette di evidenziare i trend nei comportamenti d’acquisto degli stessi. Ed a portare avanti questo tipo di studio, da anni, è l’Osservatorio Immagino di Gs1 Italy che, con la sua edizione n. 16, rileva l’andamento vendite di 94.601 prodotti del settore alimentare (più di 138.000 in totale) nel canale supermercati ed ipermercati italiani, classificandoli in base alla presenza in etichetta di oltre 100 tra certificazioni, pittogrammi e indicazioni geografiche (sulla base di dati NielsenIq) in riferimento ai 12 mesi a cavallo tra giugno 2023 e giugno 2024. Senza troppe sorprese, l’italianità la fa da padrona, considerando che i quasi 15.500 prodotti venduti, e che riportano l’icona della bandiera italiana in etichetta, valgono ben 7 miliardi di euro, seguiti, quasi a pari merito, da quelli che riportano la certificazione Fsc (Forest Stewardship Council) e quelli con l’indicazione “100% italiano” (con più di 4,9 miliardi di euro ciascuno). Una flotta di prodotti, quelli che riportano in etichetta il loro legame con il Belpaese (e quindi i claim “made in Italy”, “prodotto in Italia”, “solo ingredienti italiani”, “100% italiano” o le indicazioni geografiche europee, tra cui Igp, Igt, Dop, Docg e Doc, la bandiera italiana o il nome della regione di riferimento), che mantiene il primato nel mondo del largo consumo dello Stivale con ben 26.411 voci (pari all’incirca al 27,9% del totale dei prodotti food analizzati) e quasi 11,4 miliardi di euro di vendite totalizzate nel periodo d’analisi.
Nonostante un calo generale nel trend dei volumi di vendita del “paniere Italia”, per quanto concerne l’ambito alimentare (al -2% rispetto ai 12 mesi precedenti), infatti, il trend delle vendite a valore registra un segno positivo, crescendo del 2,1%. A fare da unica eccezione al generalizzato calo nei volumi di vendita, però, ci sono i prodotti Dop che sono cresciuti del 2,1% (e del 3,5% a valore). La classifica delle vendite del paniere è guidata dai prodotti che riportano la bandiera italiana in etichetta (pari al 16,3% dei prodotti food analizzati), che rappresentano il 17,3% delle vendite totali dei prodotti alimentari in analisi, seguiti da quelli che riportano la dicitura “100% italiano” (9% dei prodotti alimentari totali) che pesano per il 12,2% del sell-out totale della categoria food e quindi quelli che riportano l’indicazione “prodotto in Italia”(circa il 6,1% del totale dei prodotti del settore) che hanno partecipato alle vendite totali per un 3,6%.
Guardando all’aggregato delle denominazioni geografiche (Dop, Doc, Docg, Igp e Igt) che riunisce il 7,1% dei prodotti food presi in considerazione, questo ha rappresentato circa il 5,5% sul totale delle vendite della categoria food, guidato dai prodotti Dop (1,4% dei prodotti alimentari analizzati), che hanno registrato l’1,8% delle vendite totali del settore food, seguiti dai prodotti Doc (2,4% del totale dei prodotti food) con un peso pari all’1,3% delle vendite e quindi dai prodotti Igp (1,3% dei prodotti alimentari) che hanno partecipato alle vendite totali per l’1,2%. Fuori dal podio delle indicazioni geografiche, infine, Docg e Igt, che rappresentano ognuno un 1% del totale dei prodotti alimentari in analisi e che hanno registrato rispettivamente uno 0,8% ed uno 0,4% delle vendite totali legate al settore food.
Per quanto riguarda le singole regioni italiane in etichetta, invece, la classifica è guidata dal Trentino Alto-Adige, che rappresenta l’1% delle vendite di prodotti alimentari a valore, seguito dalla Sicilia (0,9%) e dal Piemonte (0,8%). Chiudono la classifica Liguria, Basilicata e quindi Valle d’Aosta. Parlando di tendenze, però, nonostante un generale trend positivo di crescita del giro d’affari, solo Molise, Valle d’Aosta e Sardegna hanno visto anche un aumento nei volumi venduti rendendoli, di conseguenza, i “panieri regionali” con i migliori risultati di vendita nel periodo analizzato.
Nello studio di Gs1 Italy, però, la supremazia del food italiano nel mercato dei super e ipermercati del Belpaese non è certamente l’unica tendenza che è stata messa in evidenza: dalla tendenza positiva a valore dei “free from” (che riportano in etichetta almeno uno dei 19 claim riferiti alla minore presenza o all’assoluta assenza di un nutriente, di un ingrediente o di un additivo, tra cui “pochi zuccheri”, “poche calorie”, “senza zucchero”, “senza olio di palma”, “senza grassi idrogenati”, “senza sale”, “senza aspartame”, “senza conservanti” o “senza glifosato”) al +3%, nonostante un calo dello 0,9% a volumi venduti, all’andamento simile dei rich-in (che in etichetta includono claim riferiti alla presenza in assoluto o in forma maggiore di un composto nutrizionale come “con vitamine”, “ricco di fibre”, “con Omega 3”, “integrale”, “ricco di ferro” e “fonte di calcio”) che crescono del +3,4% in valore e calano del 1,3% in volume. Sorte simile per i prodotti parte del “mondo delle intolleranze” (che riportano in etichetta claim e loghi correlabili al tema delle intolleranze alimentari, tra cui “senza glutine”, logo o claim, “senza lattosio”, “senza latte”, “senza lievito”, “senza uova”) al -1,6% nei trend dei volumi di vendita ed al +1,4% nei trend di valore delle vendite, così come per i prodotti legati a determinati tipi di lifestyle (ovvero quelli che riportano in etichetta o sul packaging claim e loghi come “idoneo a uno stile di vita vegetariano”, “idoneo a uno stile di vita vegano”, “halal”, “kosher”, “biologico” ) i cui volumi di vendita restano in negativo al -0,9% (dove gli unici a crescere in volume sono stati “vegan” e “halal”), mentre i trend di vendita a valore raggiungono il +3,8%, ed anche i “prodotti benefici” (accomunati da caratteristiche in etichetta che evidenziassero componenti come “mandorla”, “mirtillo”, “avena”, seguendo una lista di 40 ingredienti) che, allo stesso modo, chiudono in negativo al -1,5% in volume ma che, a valore, totalizzano una crescita del +4,5%.
Tra i loghi e le certificazioni, infine, solo Fsc (Forest Stewardship Council) e Cruelty free sfuggono alla generalizzata flessione dei volumi venduti che ha contraddistinto le altre voci della categoria certificazioni della Csr (Corporate Social Responsibility), di cui fanno parte, così come tutti gli altri loghi e certificazioni presi in considerazione dallo studio: dal marchio di idoneità Ce alla bandiera del paese d’origine, od ancora il logo “EU Organic”.


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