Contestata ad Amazon la dichiarazione fraudolenta in Italia

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Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia che sono oggetto di indagine, da parte della Procura della Repubblica di Milano, alcune operazioni poste in essere da Amazon Italia srl, venendo contestata la presentazione di una dichiarazione IVA fraudolenta per gli anni 2019, 2020 e 2021.

Secondo quanto emerso dagli organi di stampa, l’indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza di Monza la quale, con l’utilizzo di un elaboratore di calcolo fornito da Sogei, ha ricostruito l’ammontare dell’IVA non dichiarata (il dato diffuso è di circa un miliardo e 200 milioni di euro) in relazione ai beni che Amazon ha messo in vendita sul proprio marketplace per conto di operatori extra Ue.

La contestazione deriverebbe essenzialmente dal fatto che Amazon Italia srl ha intermediato, mediante il proprio marketplace, le vendite a distanza che fornitori extra Ue hanno realizzato in Italia, senza porre in essere le dovute comunicazioni all’Amministrazione finanziaria. Con la supposta condotta omissiva, dunque, secondo l’accusa Amazon avrebbe permesso a ciascun fornitore extra Ue di non applicare l’IVA sui beni ceduti nel territorio dello Stato.

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Poiché gli anni oggetto delle indagini corrispondono al periodo 2019-2021, è plausibile ritenere che gli organi inquirenti abbiano contestato la disapplicazione, da parte di Amazon Italia, della disciplina di cui all’art. 13 del DL 34/2019.

Secondo tale disposizione, efficace sino al 30 giugno 2021 (prima dell’entrata in vigore delle regole speciali di carattere unionale previste dall’attuale art. 2-bis del DPR 633/72), i soggetti passivi IVA nazionali che facilitano le vendite a distanza di beni importati mediante piattaforme digitali o altre interfacce elettroniche erano tenuti a trasmettere trimestralmente all’Agenzia delle Entrate, per ciascun fornitore, i dati delle operazioni che sono state intermediate.

L’obbligo comunicativo aveva a oggetto essenzialmente i dati di ciascun fornitore (denominazione, residenza o domicilio, identificativo univoco per effettuare le vendite online, indirizzo email, numero totale delle unità vendite in Italia, prezzo di vendita, ecc.) ed era dovuto per le operazioni dal 1° maggio 2019 (data di entrata in vigore del DL 34/2019) al 30 giugno 2021.

Le modalità attuative di comunicazione dei dati all’Amministrazione finanziaria sono state definite dal provv. dell’Agenzia delle Entrate n. 660061/2019, ove è affermato che, per “vendite di beni a distanza”, s’intendono, per quanto qui di interesse (essendo i fornitori soggetti extra Ue), le “cessioni di beni spediti o trasportati direttamente o indirettamente dal fornitore a partire da territori terzi o Paesi terzi a destinazione dell’acquirente”. Importanti indicazioni applicative sono contenute nella circolare n. 13/2020, tra cui la necessità, per chi gestisce la piattaforma, di “un adeguato sistema interno di due diligence finalizzato al controllo della qualità dei dati e alla prevenzione del rischio”.

L’elemento più significativo, e al contempo problematico, della predetta disciplina attiene al regime di responsabilità attribuita al marketplace intermediario. In base a quanto disposto dall’art. 13 comma 3 del DL 34/2019, il soggetto passivo tenuto agli obblighi comunicativi si considera debitore dell’IVA per le vendite a distanza per le quali non ha trasmesso, o ha trasmesso in modo incompleto, i dati presenti sulla piattaforma, se non dà prova del fatto che l’imposta è stata assolta in Italia dal fornitore estero.

Sulla base del quadro normativo descritto risulterebbe essere stata contestata dalla Procura, ad Amazon Italia srl, la c.d. dichiarazione fraudolenta “mediante altri artifici” ex art. 3 del DLgs. 74/2000, ossia la fattispecie in cui il soggetto passivo, non avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti e al di sopra determinate soglie, al fine di evadere l’IVA (o le imposte sui redditi) abbia compiuto “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria”, indicando in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo.

A decorrere dal 1° luglio 2021, la disciplina è stata integralmente riformata, essendo stata introdotta, in recepimento del c.d. “VAT e-commerce package”, in capo ai soggetti che facilitano le vendite a distanza, mediante interfacce elettroniche, una finzione giuridica per effetto della quale essi sono tenuti ad applicare l’IVA in qualità di “fornitori presunti”, ai sensi dell’art. 2-bis del DPR 633/72, sebbene entro alcuni limiti.
Anche questa disciplina sarebbe accompagnata da un, seppure differente, obbligo comunicativo (art. 1 comma 151 della L. 197/2022), per il quale non consta essere ancora stato emanato il relativo provvedimento di attuazione.



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