Il ritorno dei «maranza». Chi sono? Perché sono di moda? Cosa c’entra Tik Tok?

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di
Chiara Bidoli

I gruppetti di ragazzi riconoscibili per modi strafottenti, abiti pittoreschi e comportamenti stereotipati sono sempre più frequenti. Cosa c’è dietro a questo fenomeno che ha molta presa sui giovani

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Il fenomeno dei maranza non è nuovo. Risale a fine anni ’80 ed è associato a un certo modo di vestire e atteggiarsi, a uno stile sfrontato, “da strada”, e uscite rigorosamente in gruppo. Sul sito dell’Accademia della Crusca, cercando la parola “maranza”, viene citata una strofa di una canzone di Jovanotti che racconta il contesto in cui si muovevano: «Mi chiamo Jovanotti e sono in questo ambiente di matti di maranza e di malati di mente fissati con le moto e coi vestiti americani facciamo tutto ora o al massimo domani» (tratta dal brano “Il capo della banda”, dell’album “La mia moto”, 1988). I maranza di oggi, rispetto a quelli descritti da Jovanotti, appaiono più sfrontati, spesso associati a episodi di  piccola criminalità, a immigrazione e condizioni di emarginazione. Intervista a Giuseppe Pantaleo, Ordinario di Psicologia Sociale alla Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore dell’UniSR-Social.Lab.

Perché i «maranza» sono tornati e hanno così presa sulle nuove generazioni?
«Quello che è nuovo è il ritorno prepotente di questo fenomeno associato alla paura che talvolta incute nei cittadini e l’amplificazione di questa moda data da diversi social, in particolare Tik Tok.  La storia ci insegna che, in assenza di regolamentazioni sociali e morali interiorizzate – cioè non solo di limiti e prescrizioni di carattere legislativo – vi è la mancanza di regolamentazione a livello sociale e morale (inteso “come norme da riconoscere, condividere e rispettare”) e può diventare impossibile mantenere entro quei limiti i comportamenti delle persone. Questi ragionamenti venivano fatti già a fine 800 e oggi, sempre di più, ci capita di osservare condizioni di “anomia” (mancanza di norme) con ripercussioni sulla tenuta del tessuto sociale, ovvero sulla capacità di stare insieme. E questo certamente aiuta la formazione di fenomeni come i “maranza”».




















































Cosa accade ai giovani che crescono in un contesto di disgregazione sociale?
«Assistiamo all’emergere di individualismi e alla creazione di gruppi e sottogruppi fortemente autoreferenziali e su questo, Tik Tok, è il Social che meglio permette una rapida diffusione di certi fenomeni. Grazie ai suoi particolari algoritmi rende l’utente attivo, cerca di coinvolgerlo e di farlo sentire responsabile delle proprie azioni, ma non necessariamente “nel bene”. Per esempio, ci sono “challenges” o “sfide” che un utente può lanciare a un altro utente o alla comunità, oppure i cosiddetti “duetti” per cui, per esempio, si lancia un video e gli utenti possono rispondere a quel contenuto con un altro, facilitati dall’algoritmo che amplifica e fa diventare virali certi comportamenti. Questo essere “attivi” fa la differenza a livello psicologico». 

Ci spiega meglio cosa intende per «coinvolgimento attivo»?
«Si è visto che l’osservazione passiva ha un impatto sulla psiche relativo, mentre il coinvolgimento attivo ci gratifica dandoci la sensazione di essere responsabili di ciò che avviene sulla piattaforma, di contribuire in prima persona, permettendoci anche di assumere un ruolo riconosciuto nella comunità virtuale. Se siamo coinvolti in prima persona rischiamo di non riuscire, neanche, a giudicare criticamente i comportamenti».

Tik Tok punta, quindi, sul coinvolgimento attivo delle persone?
«Ai programmatori di Tik Tok rendere gli utenti attivi serve, in realtà, per legarli alla piattaforma attraverso il senso di forte coinvolgimento personale che, implicitamente, porta a pensare “sono io che lo voglio”. E poi ci sono dei meccanismi di base che la piattaforma attiva, come per esempio l’imitazione a cui noi esseri umani siamo molto sensibili. Lo psicologo canadese Albert Bandura ha fatto vedere l’importanza dell’imitazione nelle giovani menti che va, giorno dopo giorno, a costituire le linee guida che poi indirizzeranno comportamenti, giudizi, il modo in cui vengono gestite le emozioni. L’imitazione è fondamentale durante la crescita e per tutta la vita, ciò che impariamo, infatti, viene in gran parte da processi di imitazione: osservo, provo a riprodurre ciò che ho osservato personalizzandolo, facendo mio il modello».

Perché l’apprendimento per imitazione può diventare pericoloso se passa per i Social?
«Perché  si crea la possibilità di diffondere, in poco tempo, contenuti anche molto dubbi e che diventano leciti solo perché accettati e condivisi dal gruppo – con l’effetto collaterale di creare nuove norme che nel gruppo si sostituiscono, nel bene e nel male, al precedente stato di anomia».

Su alcuni Social c’è anche il meccanismo che vede l’alternanza di “premi” e “punizioni” che ci lega alle piattaforme…
«Gli psicologi che si sono occupati di questo dagli anni ’40/’50 ad oggi hanno scoperto che soprattutto se i premi e le punizioni sono discontinue, ovvero ogni tanto veniamo premiati ogni tanto veniamo puniti, senza una sistematicità, si crea un’attesa tale nei confronti del premio che quel premio, nel momento in cui si presenta, viene vissuto come un evento estremamente positivo, con la conseguenza che il comportamento viene a quel punto rinforzato tantissimo. Si chiama “condizionamento intermittente” e permette di dar forma, nella maniera più subdola e persistente nel tempo, a una certa classe di comportamenti e di risposte che diventano in larga parte automatizzate. Questa logica viene adottata da molti social ma è anche presente in certi rapporti interpersonali e relazioni sociali disfunzionali, in cui difficilmente ci accorgiamo di essere manipolati».

Tornando ai «maranza», sui social vengono promossi come gruppo di appartenenza?
«In uno scenario come quello che stiamo vivendo dove vengono meno norme condivise a livello collettivo per essere sostituite da (discutibili) norme di gruppo, il contesto è complesso e regnano insicurezza e una certa incertezza sul futuro, ecco che è molto facile identificarsi con norme di gruppo ipersemplificate e alla portata di tutti, come nel caso dei “maranza” che poi concretamente possono significare vestirsi in una certa maniera, mettere in atto comportamenti stereotipati, certi riti anche pericolosi per sé e per gli altri per essere ammessi e accettati all’interno del gruppo. Una volta accettati all’interno del gruppo, però, ci si sente riconosciuti in quanto pars pro toto, e questo è un circolo difficile da spezzare, specie negli adolescenti, che sentono particolarmente le tematiche dell’identità e dell’adesione a un gruppo sociale».

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I soggetti più a rischio di mode come quella dei «maranza» sono quindi i giovani?
«Sì, soprattutto gli adolescenti, ma ci sono dei fattori protettivi tra cui l’educazione, intesa come sviluppo di un buon senso critico, sia di tipo intellettuale che morale, che permette di comprendere certi fenomeni, mantenere le giuste distanze e scegliere. Il fenomeno dei “maranza” è strettamente collegato all’anomia della società e alla creazione di nuove norme tipiche di quella subcultura e all’utilizzo di Tik Tok che amplifica certi messaggi. Conoscere come nascono e si sviluppano certe mode, certi modi di essere, e su cosa fanno leva, permette di diventarne coscienti, di comprendere, di difenderci e di cercare soluzioni».

I genitori cosa possono fare per prevenire l’adesione a certe mode?
«Creare alternative concrete, ampliare il circolo di amici e gli interessi fra gruppi di pari dove i ragazzi possano affermare la propria identità in un’ambiente sano e trasparente. E aiutarli a disconnettersi almeno in parte dai Social, anche per recuperare energie fisiche e mentali. Dovremmo infatti tenere a mente, e questo vale anche per noi adulti, quanto ci stanca l’essere sempre iperconnessi, ci ritroviamo stanchi e svuotati senza sapere perché. È come se nella nostra mente girassero più programmi contemporaneamente che drenano energia ».

Questo spiega perché si ha la sensazione di avere il cervello annientato quando si trascorre molto tempo sui Social…
«La psicologia sociale e le neuroscienze del comportamento ci insegnano che ci sono voluti più di 2 milioni di anni perché nascessero e si affinasse il funzionamento di certe strutture e processi cerebrali che ci permettono, per esempio, di assumere la prospettive degli altri, quelle che chiamiamo “prospettive multiple“, che ci portano a capire e a ragionare anche in termini socio-relazionali, di intelligenza emotiva. 

«Grazie ad alcune di esse siamo così in grado di fare delle proiezioni e riusciamo a sganciarci dalla realtà, siamo in grado di fare operazioni cognitive di ordine superiore perché ci proiettano anche in altre dimensioni. Solo che queste sono le strutture più nuove, a livello filogenetico e ontogenetico e, nel momento in cui c’è un sovraccarico mentale, c’è una forte conflittualità o viviamo dei forti contrasti a livello psicologico o quando si manifesta la stanchezza mentale, come quella prodotta dall’abuso di digitale, le strutture più nuove sono quelle che tendono a disattivarsi per prime. E quindi, e non è solo un’impressione, si ha una sorta di regressione lungo l’arco dello sviluppo cognitivo, è come se si tornasse indietro al “paleoencefalo” (la parte dell’encefalo che comprende le formazioni nervose più antiche, fortemente implicate nei processi nei comportamenti emotivi e istintivi, ndr) e si inizia a “ragionare di pancia”. In un certo senso è come se, a livello funzionale, si disattivassero certi programmi del nostro computer/cervello e il sistema, andato in sovraccarico, tornasse alle funzioni di base

«Ecco perché fenomeni come i maranza possono dilagare velocemente: drasticamente ridotte – talvolta compromesse – le funzioni cognitive di ordine superiore, aderire a quel gruppo può diventare un’opzione, perché si torna a ragionare in modo basico e in termini fortemente categorici: caldo /freddo, buono/cattivo, sì/no. E purtroppo, su questo, i Social ci giocano: per far presa su un individuo basta che lo si stanchi, per esempio attraverso il sovraccarico cognitivo, o che lo si spaventi o che si creino nella persona forti e impellenti bisogni. A quel punto egli vedrà fortemente limitata la possibilità di fare ragionamenti di tipo etico, morale, estetico e i suoi comportamenti tenderanno a essere guidati, in forma categorica e necessariamente ipersemplificata, soprattutto da impulsi e istinti di base». 

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22 febbraio 2025

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