Alle recenti dichiarazioni del ministro Valditara, che ribadivano la natura di “servizio pubblico delle scuole paritarie” e proponevano l’introduzione del “buono scuola” per garantire la libertà di scelta educativa a tutte le famiglie, anche a quelle meno abbienti, si è sollevata un’immediata reazione di politici e sindacalisti contrari a finanziare le scuole “private” (!) a discapito delle scuole statali.
Va, anzitutto, puntualizzato che non si tratta di scuole private, ma di scuole paritarie (ex legge 62/2000) e che con i 750 milioni, assegnati per circa 750mila allievi delle paritarie, lo Stato attribuisce circa 1.000 euro a ciascuno e ne risparmia circa 6.000, versati alla scuola dai genitori. Quindi non è corretto ripetere che si sottraggono fondi alle scuole statali, anzi più allievi frequentano le scuole paritarie e più lo Stato ha fondi a disposizione per le scuole statali.
Semmai si pone il problema, ignorato in modo paradossale da sindacati e dalle sinistre, che con mille euro a disposizione i genitori meno abbienti non possono, né hanno mai potuto, accedere alle scuole paritarie, venendo deprivati dal diritto costituzionale della libertà di scelta dell’istruzione e della scuola per i propri figli (articoli 30 e 31 della Costituzione).
A questo proposito non ha trovato ascolto neppure il ministro Luigi Berlinguer che ripeteva: “La legge di parità è una legge di sinistra perché permette anche ai meno abbienti di poter disporre di offerte formative che altrimenti sarebbero riservate solo a chi ha possibilità economiche”.
In effetti era questa la novità più significativa della legge di parità: permettere anche ai meno abbienti di scegliere tra scuole statali e scuole paritarie, ma è stato il principio più trascurato nei decenni successivi. Si è preferito continuare nella polemica tra sostenitori delle scuole statali e sostenitori delle scuole paritarie, oppure nello scontro storico tra la libertà di insegnare da parte dello Stato o da parte della Chiesa.
È stato violato il dovere istituzionale di porre fine a una grave discriminazione con l’assicurare alle famiglie svantaggiate i loro diritti educativi rimovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione). Anche ultimamente, in occasione dell’approvazione dell’ultima legge finanziaria, erano stati presentati emendamenti in favore del “buono scuola per le famiglie meno abbienti”, ma sono stati cassati a riprova del persistere di una grave pregiudiziale ideologica nei riguardi dei diritti-doveri educativi dei genitori.
Eppure, venticinque anni fa con la legge di parità il sistema nazionale di istruzione si ampliava, comprendendo anche le scuole paritarie, che “corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione e sono coerenti con la domanda delle famiglie” (art. 1 co. 2). Come dire che non sono più scuole semplicemente private, ma che sono tenute ad attenersi a due requisiti essenziali: la qualità ed efficacia garantite dalla rispondenza agli ordinamenti generali e dalla libera scelta da parte delle famiglie.
Proprio in riferimento alla domanda delle famiglie, la legge 62/2000 puntualizza che “le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque che, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni con handicap” (art. 1, co. 3).
Ora, come è possibile che le scuole paritarie siano tenute ad “accogliere chiunque” senza che agli indigenti siano assicurate le disponibilità economiche necessarie per sostenere i costi del sostegno del servizio scolastico? Si tratta di un interrogativo tanto ovvio e scontato quanto trascurato dalle istituzioni e dai legislatori, ma non trascurato dalla legge di parità, che in ben due articoli delinea la procedura finanziaria da seguire. E non poteva essere diversamente, visto che gli aiuti economici ai bisognosi rappresentavano il primo e ribadito intento politico del ministro Berlinguer.
La legge coerentemente suggerisce: “Al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole paritarie (…) lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento (…) da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie (…) in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie” (art. 1, co. 9). “Tali interventi sono realizzati prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate” (art. 1, co. 11).
Queste disposizioni sono state sostanzialmente disapplicate nonostante richiami autorevoli anche del Consiglio di Stato, secondo il quale: “la pluralità dell’offerta formativa è tale solo se i destinatari sono realmente posti in condizione di accedere ai percorsi scolastici offerti (…) perché solo in tal modo si tutela la libertà di scelta e si assicura la pari opportunità di accesso ai percorsi offerti dalle scuole non statali” (sentenza n. 5739/2019).
Va sottolineato, inoltre, come nel testo della legge si puntualizzi pure l’avverbio “prioritariamente”, come a dire che, se prima devono essere aiutate le famiglie svantaggiate, non va escluso che, poi, possano essere aiutate anche tutte le altre famiglie che frequentano le paritarie.
La qual cosa non sarebbe un intervento improprio, visto che la stessa Costituzione afferma: “la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento equipollente a quello degli alunni di scuole statali (art. 33, co. 4). Trattamento economico equipollente che viene quantificato dallo stesso ministero ogni anno con “il costo medio per studente nelle istituzioni scolastiche” intorno ai 7.000 euro (Nota MIM 2780 del 17/01/2025).
Con la legge di parità il pluralismo scolastico italiano non è più elitario, tale da separare gli allievi in scuole omogenee per classi sociali, ma tende a diventare in certo qual modo “democratico”, come dire garanzia di libertà per tutti.
È urgente, quindi, che a livello nazionale si istituisca il buono scuola per le famiglie meno abbienti come già avviene in alcune Regioni. Si tratta di avviare un procedimento che gradualmente coinvolga Stato, Regioni e Comuni, nel garantire a tutti gli allievi, prioritariamente ai più svantaggiati, di poter accedere alla scuola più rispondente alle proprie esigenze ed aspirazioni. Esattamente come già accade per le persone con disabilità, che sono destinatarie di sostegni da parte del ministero, delle regioni e dei comuni, al fine di assicurare loro l’integrazione più adeguata.
La possibilità economica delle famiglie di scegliere la scuola e di accedere all’istruzione di qualità, sia negli istituti statali che paritari, non può che tradursi nel principale fattore di equità sociale e di contrasto alla povertà educativa.
Già lo stesso rapporto OCSE-PISA (settembre 2020) denunciava che “in Italia il sistema scolastico è egualitario sulla carta, ma nei fatti non consente ancora di superare le differenze di partenza tra gli studenti legate al contesto familiare e sociale, anzi le consolida (…) non tutti gli studenti hanno pari accesso a un insegnamento di alta qualità e (…) questa disuguaglianza può spiegare gran parte dei divari di apprendimento osservati tra gli alunni più favoriti e quelli svantaggiati (…) l’alta percentuale di abbandono scolastico in Italia è determinata principalmente dalle risorse economiche di cui dispongono le famiglie”.
La libertà di scelta della scuola, senza discriminazione economico-sociale, costituisce la garanzia più sicura per lo sviluppo non solo delle scuole paritarie, ma dell’intero Paese.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link