Paola Facchin: “Cosa fa il Veneto per 66 mila pazienti”

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La storia delle reti di assistenza dedicate alle persone con malattie rare è iniziata in Italia circa 25 anni fa, con il D.M. 279 del 2001. Questo Decreto è stato rivoluzionario perché ha, per la prima volta al mondo, concentrato l’interesse nell’organizzazione dell’assistenza ai malati rari e nella individuazione di Centri (allora definiti Presidi Accreditati) dedicati all’assistenza di questi malati. Fino ad allora le poche normative presenti negli Stati Uniti, in Giappone, in Canada e in Unione Europea riguardavano esclusivamente gli incentivi per lo studio, la realizzazione e la commercializzazione di farmaci specifici per le malattie rare, definiti anche orfani, in quanto privi di un mercato favorevole a causa dell’esiguo numero di malati per ciascuna malattia rara. Cosa fare? Cosa chiedere per disporre di contromisure e cure sempre più efficaci? Ne parliamo con la professoressa Paola Facchin, coordinatrice del Tavolo tecnico interregionale sulle Malattie Rare.

Da allora molto si è costruito nel nostro Paese e negli altri Paesi Europei a favore delle persone con malattia rara, supportati anche da una rilevante attività regolatoria e normativa sia a livello nazionale che regionale. Soltanto nel Veneto ci sono in cura oltre 66 mila pazienti per malattie rare, il 16%  di loro viene da altre regioni.

Paola Facchin, quali sono i dispositivi normativi e organizzativi più recenti riguardo l’assistenza ai malati rari?

“Di grande valore è la Legge sulle Malattie rare 175/2021 e conseguenti atti normativi tra cui la creazione del Comitato Nazionale Malattie Rare, il Piano Nazionale Malattie Rare e il documento di Riordino della Rete. La rete italiana di assistenza ai malati rari è attualmente ben strutturata e definita, caratterizzata da due elementi principali. Il primo è dato dai Centri di Riferimento per malattie rare, generalmente concentrati in pochi ospedali di rilevanti dimensioni, il secondo è costituito dalle strutture territoriali e ospedaliere più prossime alla residenza del malato”.

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Paola Facchin, com’è strutturata la rete per i centri di riferimento in Italia e nel Veneto?

“La prima rete, quella dei centri, ha caratteristiche simili nelle regioni italiane, anche se le attività svolte e la loro qualità dipende dalla storia degli ospedali, in cui essi sono incardinati e dal contesto dei servizi sanitari e sociali che caratterizza la regione di riferimento.

In particolare in Veneto si è scelto fin da subito di individuare pochi grandi ospedali, in cui concentrare la maggioranza dei centri di riferimento, unità funzionali composte da più unità operative, che devono lavorare congiuntamente intorno ai malati, garantendo la multidisciplinarità necessaria per affrontare il gran numero di malattie rare e la grande varietà clinica che le caratterizzano. La presenza di più unità operative favorisce anche il passaggio dall’età pediatrica a quella dell’adulto e da quella dell’adulto all’età anziana”.

Paola Facchin, in Veneto quali sono le aziende ospedaliere che ospitano centri di riferimento per malati rari?

“La quasi totalità dei centri per malati rari è accolta all’interno delle aziende ospedaliere di Padova e Verona e in parte minore di Treviso e Vicenza. Alcuni centri sono presenti anche in altri ospedali come ad esempio l’Ospedale di Mestre, di Castelfranco, ecc.. La concentrazione di molti centri in pochi ospedali è stata premiante nel tempo, perché ha permesso di costruire e organizzare ambienti assistenziali ben orientati per la diagnostica e la presa in carico di questi malati, costruendo una rete capace di dare risposte e quindi rendere stanziali la maggioranza dei malati veneti e contemporaneamente attrarre malati residenti in altre regioni”.

Paola Facchin, quanti sono i malati rari presi in carico nella nostra regione?

“Attualmente in Veneto sono residenti 57.500 persone affette da malattie rare. La rete dei Centri ospedalieri veneti segue 66.600 malati. Questi risultati indicano che il 97 % dei malati rari veneti si fanno seguire da centri attivi in regione e solo il 3% si rivolge a centri fuori regione, mentre il 16% dei malati seguiti dagli ospedali veneti è residente fuori regione, con un tasso di attrazione oltre 5 volte superiore a quello di fuga. Tra i malati rari residenti o seguiti in Veneto i bambini adolescenti fino ai 18 anni costituiscono il 18% del totale, mentre gli anziani sopra il 65 anni sono ormai il 22%”.

Quali centri sono stati accolti nelle Reti Europee di Riferimento (ERN)?

“Un altro indicatore della bontà della rete assistenziale veneta sta nell’alto numero di questi centri di riferimento che sono stati accolti all’interno delle reti europee di riferimento (ERN) e come tali hanno assunto l’attributo di centri di eccellenza. Gli Hub di Verona e specialmente quello di Padova costituiscono gli ospedali con il maggior numero di centri di eccellenza europei”.

Quali scelte ha messo in campo la Regione Veneto per i trattamenti essenziali che riguardano  alcune tipologie di malati rari?

“Frequentemente trattamenti farmacologici, e non farmacologici, non compresi nei LEA costituiscono opzioni non sostituibili ed essenziali per alcuni malati rari. Perciò la Regione Veneto da tempo eroga, attraverso complesse procedure di definizione di protocolli e di autorizzazioni su richieste individuali, questi trattamenti che interessano un malato raro su due. E che risultano a carico totale della regione e delle sue aziende sanitarie. Anche in questo caso l’esperienza del Veneto è stata ripresa nel Piano Sanitario Nazionale. Dove è prevista una simile attività per tutta la nazione a favore dei malati rari”.

Qual è il ruolo della rete dei servizi territoriali nella presa in carico dei malati rari?

“Questa rete ospedaliera da sola non è sufficiente a garantire la reale presa in carico del malato raro. Che, partendo dalla diagnosi e dal piano terapeutico assistenziale definito dal centro di riferimento, si realizza concretamente attraverso il coinvolgimento dei servizi ospedalieri e territoriali attivi dove il paziente vive. Questo collegamento costituisce l’elemento più critico della rete di assistenza per malati rari”.

Quale funzione svolge il sistema informativo a favore di pazienti così complessi?

“Nell’esperienza del Veneto lo strumento più importante per garantire il buon funzionamento di questa più ampia rete complessa è un sistema informativo dedicato. Che congiunge tutti i nodi di questa rete (Centri di riferimento o di eccellenza, ospedali e servizi territoriali prossimi alla residenza fino al domicilio del malato, farmacie, distretti socio-sanitari, ecc.). Facendo circolare l’informazione sul paziente in tempo reale e permettendo di abbattere le barriere spaziali e l’appartenenza a diverse ASL o addirittura a diverse regioni. Permettendo realmente il lavoro congiunto attorno al paziente. Anche in questo caso l’esperienza di questo sistema informativo, partito dal Veneto, si è poi allargata prima alle province di Trento e Bolzano e all’Emilia-Romagna. E poi anche ad altre regioni”.

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Quali sono i problemi e le difficoltà che devono ancora essere affrontati?

“Naturalmente sussistono ancora problemi e difficoltà che devono essere affrontate e superate per dare le opportune risposte ai molti problemi, che i malati rari e le loro famiglie vivono. Gli aspetti più rilevanti che rimangono tuttora senza risposta riguardano i bisogni socio assistenziali. E ancora di più l’interazione che i malati rari hanno con le dimensioni della società diverse da quella sanitaria. Il mondo dell’educazione, del lavoro, dello sport, della vita sociale estesamente intesa. In conclusione molta strada è stata percorsa, ma molte ancora sono le sfide che ci attendono”.





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