La Biblioteca del lavoro: Francesca Coin

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Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Di Francesca Dallatana Parma, 23 febbraio 2025 –

Nessuno sarà più lo stesso. I traumi sono le conseguenze del lavoro offeso e delle umiliazioni inferte alla dedizione.

Parlare di lavoro significa raccontare storie di rabbia cristallizzata. Nel corso del Novecento la dedizione al lavoro e la fidelizzazione alle imprese ha vissuto diversi cicli.

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Oggi se ne va dal lavoro chi si è stancato di abbassare la testa. Spesso senza un altro posto di lavoro alternativo.

“Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita”: sono le conseguenze del biennio della pandemia. E’ il titolo dell’indagine sociologica e di grande forza narrativa di Francesca Coin. Pubblicato da Einaudi nel 2023, il libro ripercorre il fenomeno delle dimissioni dal lavoro, decise da un grande numero di persone, un tentativo di ripensare la propria vita dopo il trauma della pandemia. Ai tempi del Covid.

L’osservazione sul lavoro e sulle dinamiche di relazione spazia in diversi settori e si riferisce a un periodo definito, ma affonda le radici nella storia sociale del Paese.  Propone una lettura aperta e ricca di vie di fuga verso temi di ampia e profonda valenza sociale e storica.

Toglie il silenziatore al disagio in sottofondo degli ultimi lustri. Le relazioni di lavoro sono malate da tempo. Le conseguenze emotive e sociali della pandemia hanno camminato sul terreno di criticità organizzative e sociali pregresse, acuite dalla sollecitazione estrema dell’emergenza sanitaria, variabile interveniente che ha evidenziato un malessere sociale molto profondo.

Interviste e numeri: l’autrice propone un’analisi articolata, colta dalla giusta distanza garante dell’obiettività.

L’illusione di essere Dio.

Sentirsi Dio è sintomo di onnipotenza da ruolo. Comporta la perdita del senso della realtà. E concorre a costruire una barriera di cinismo e tra sé e i collaboratori, un pericoloso diaframma che chiude l’audio e appanna la visione delle cose. Una bolla di egotismo.

La dirigenza propone lo stile. Se si illude di impartire le direttive senza vedere realmente l’organizzazione il disagio si diffonde in modo esponenziale. I risultati sono rappresentati dal sottobosco di gregari, dai silenzi assordanti dei pochi e dall’assenteismo palleggiato tra malattie e ferie di quelli che non ce la fanno più. Fino alla decisione estrema di abbandonare il campo con l’atto liberatorio delle dimissioni volontarie. Quando si rinuncia anche al preavviso significa che si è arrivati in fondo al tunnel della sopportazione.

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Silvio, medico anestesista, se ne è andato a lavorare in Francia. Aveva conati di vomito all’ingresso dell’ospedale. Il lavoro era a ciclo continuo. Le direttive erano imperative e gli strumenti di tutela nulli. Possibilità di dialogo con la dirigenza inesistente. Nell’ospedale dal quale se ne è andato ora il ritmo di lavoro è serrato quanto durante la pandemia. Se ne è andato nonostante non praticasse la lingua francese da venticinque anni.

Come Silvio, Rosa è un fiume in piena. Esonda di rabbia. Il settore è un altro: grande distribuzione organizzata. Racconta di part time imposti e non rispettati, da prima della pandemia, di cicli di lavoro obbligatori. Di ritmi di lavoro da catena di montaggio.  Controlli estenuanti e vessazioni. Insieme a lei, operatrici e operatori sottoposti a ritmi incessanti e vessazioni al di fuori dai confini della civiltà.

Padroni-imprenditori o dirigenti che siano comandano senza conoscere la situazione operativa e senza vedere. Vedono solo l’obiettivo da raggiungere senza considerare le condizioni del lavoratore. Mettono al centro del lavoro il proprio obiettivo. Dimenticano che i collaboratori sono colleghi. Non pedine.

Verticista e senza possibilità di replica, la comunicazione: top-down, dall’alto verso il basso. Con messaggi inoltrati sulle chat oppure urlati senza il rispetto dello spazio personale, cioè la bolla prossemica alla quale le persone hanno diritto in quanto persone. Condizioni di lavoro e richieste di prestazioni fuori dal limite della civiltà imposta dai contratti collettivi nazionali del lavoro e dalle conquiste sindacali.

Il lavoro umiliato non si esplicita solo nel dileggio costante e continuo alle regole dei contratti collettivi nazionali del lavoro. Nella quotidianità è soprattutto dileggio diretto, vessazioni, parole e ammiccamenti tra titolari e capi-negozio e minacce rivolte ai lavoratori. In nome di una maggiore visibilità commerciale e di una migliore produttività. Gli schiavi lavorano per il padrone.

Silvio chiede riposo dal lavoro per dare tempo alla famiglia. Tutti litighiamo con le mogli, gli risponde il primario. Rosa vorrebbe mettersi a tavola con la famiglia senza l’ingombro dei piedi gonfi che non entrano più nelle scarpe. Vorrebbe chiedere e ottenere il tempo del riposo previsto dal contratto. Ma con chi urla e con chi non ascolta non si parla, nonostante il contratto.

Il padrone-imprenditore è il commander in chief in tutti i settori. Francesca Coin li cita tutti o quasi. Dal paternalismo al dispotismo il passo può essere molto breve.  E va di pari passo con la cultura anti-sindacale che presuppone l’elaborazione di meccanismi premianti interni. Che danno maggiore forza ai lavoratori acriticamente allineati, cioè agli yesmen. Fino a che sono funzionali al potere.

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 E’ mobbing sotto traccia. E’ forte offesa al lavoro.

Da stato nascente a sconfitta sociale.

Anche le aziende si innamorano. Lo durata dello stato nascente è lunga quanto l’effetto di una dose di ossitocina. E questa è una provocazione. Non lo è, invece, quello che succede dopo. Ad assunzione avvenuta, fra le mura dell’azienda.  A contraltare la prima fase del corteggiamento professionale finalizzata all’assunzione è il capitolo subdolo dell’imposizione di relazioni tossiche tra dirigenti e lavoratori e, più di una volta, di mobbing non immediatamente codificabile. 

“L’inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui.”, titola l’autrice uno dei capitoli del libro.

E’ uno dei settori più faticosi e controversi, quello della grande distribuzione organizzata. Insieme alla logistica. Considerati essenziali, i lavoratori del comparto, durante il biennio della pandemia da Covid-19, così come il personale del settore sanitario.

Commesse e cassieri, scaffalisti e magazziniere, operaie e operai addette alla vendita e alla riorganizzazione nelle aziende della grande distribuzione: è l’esercito di lavoratori che hanno garantito sopravvivenza e anche il livello minimo di socialità fuori dalle case durante la pandemia.

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Durante la pandemia molti di loro hanno lavorato oltre cinquanta ore settimanali, senza pause intermedie fra i turni, spesso subendo trasferimenti da un punto vendita all’altro per sostituire i colleghi assenti perché contagiati. Il biennio della pandemia è stato la punta dell’iceberg che ha acuito modalità di relazioni e organizzative già fortemente rodate nel settore. Presenza continua con visite ai servizi centellinate e controllate e qualche volta impossibili con fastidiose cistiti conseguenti.

Il fenomeno delle grandi dimissioni nel settore della grande distribuzione rappresenta una levata di scudi contro le vessazioni e il fango gettato sugli occhi stanchi dei lavoratori a fine giornata.

Chi se ne va spesso non ha un’alternativa pronta. Ci si dimette in nome della libertà della vita, per riprendersi il proprio tempo. Per ritornare nella zona franca della realtà.

La deumanizzazione.

Deumanizzazione è conseguenza dell’allontanamento emotivo dell’osservatore dall’osservato. E del progressivo insediamento nei gangli vitali delle organizzazioni di una dirigenza senza sufficienti strumenti culturali da garantire obiettività e onestà intellettuale. Ma questa è una storia vecchia ampiamente ante-Covid, un triste pregresso che gradualmente ha anticipato le criticità organizzative emerse durante la pandemia.

Deumanizzazione è violenza dell’uomo contro l’uomo. E’ il processo che congela e annulla la risonanza empatica. Il lavoro non ne è esente. E’ la principale arma di offesa contro il lavoro. Contro la dedizione al lavoro.

Le conseguenze delle offese inferte al lavoro sono burnout e sintomi di esaurimento e cinismo. L’unica salvezza per il lavoratore che si sente “scarto dello scarto” è alzare la testa e andarsene. A riprendersi la vita. Chi ha una partita Iva come Luna, lavoratrice autonoma in ambito editoriale, cade senza il paracadute delle tutele se decide di lasciare il lavoro. La partita Iva per lei ha rappresentato per un certo tempo la possibilità di conciliare i tempi di vita e di lavoro. Poi l’emergenza sanitaria ha cambiato la disposizione delle cose. Il titolare ha aumentato il carico di lavoro, suo padre si è ammalato e Luna ha dovuto seguire la famiglia da vicino e con maggiore costanza. La giornata, sempre quella: ventiquattro ore. Ma la corsa del topolino in gabbia è ancora più frenetica. Andarsene per lei è stata una scelta politica. Più che “andarsene dal lavoro” dovremmo dire “abbandonare il campo”. Scelta politica percorsa con coraggio.

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Deumanizzazione è una forma non subdola ma evidente di mobbing orizzontale. L’autrice riporta la storia di Diamante, operatrice nel settore delle pulizie, il settore con il più alto turn over. Diamante guadagna cinquecento euro al mese e come lei le colleghe. L’hanno vista camminare per la strada mano nella mano con la compagna. Ed è cominciata la discriminazione da parte delle colleghe.

Forse dileggio, giorno dopo giorno. Forse sorrisini, giorno dopo giorno. La goccia scava la pietra.

Discriminazione è sinonimo di deumanizzazione.

La storia di Viola racconta un’altra variante della deumanizzazione. La lavoratrice, lavoratrice intellettuale in un settore che richiede talento e competenze culturali, chiede l’applicazione delle tutele in un ambiente dove è diffuso l’asservimento al padrone-imprenditore. Il silenzio dei colleghi crea la bolla di solitudine professionale che la mette in condizione di andarsene. Il lavoro è gratificante per i contenuti ma non tutelato. Quasi un hobby oppure una missione sociale. Che bisogno c’è di tempo libero se il lavoro è un hobby? Anzi: una missione.

Da win-win a lose-lose.

Si ottiene un vantaggio reciproco con la negoziazione win-win. Preminente nella relazione tra datori di lavoro e lavoratori, invece, è diventata la sconfitta, la perdita. Il fenomeno delle grandi dimissioni ha un effetto deleterio sull’attuale modello produttivo perché allontana i lavoratori consapevoli. Spesso i lavoratori consapevoli sono i lavoratori più competenti.

E’ una perdita nell’immediato per i lavoratori. Anche se nel lungo periodo potrebbero trarne giovamento.

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E’ una sconfitta sociale per le organizzazioni che vedono rimanere in posizioni immutate persone portatrici di rabbia cristallizzata oppure i gregari.

Da win-win a lose-lose.

Il lavoro non è schiavismo. Dovrebbe essere espressione dei talenti ad uso sociale.

Francesca Coin, Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita, Einaudi, Torino, 2023

 

 

(Link rubrica: La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

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   https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)





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