Le richieste di Zelensky: “Da Trump voglio garanzie. Se l’Ucraina entra nella Nato, sono pronto a dimettermi”

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Un passo indietro per compierne due in avanti. È quello che sta provando a compiere Volodymyr Zelensky. Dopo giorni di attacchi e ultimatum, stavolta è il presidente ucraino a mettere Donald Trump davanti a un bivio. “Se davvero avete bisogno che io lasci il mio incarico, sono pronto a farlo”, afferma a sorpresa nella conferenza stampa organizzata per il terzo anniversario del conflitto, aggiungendo che l’accusa di dittatore pronunciata dal tycoon “non mi ha offeso”. Tuttavia, per andarsene ci sono delle precondizioni. Anzi, una sola: “L’adesione dell’Ucraina nella Nato”. Una possibilità che la Russia ha già bollato come impossibile da soddisfare perché la considera una “minaccia diretta” e che, di fatto, rimane di difficile attuazione anche a causa delle divisioni interne all’Alleanza Atlantica. Tuttavia per Zelensky è ancora in essere e rappresenta “l’opzione più economica” per dare al suo paese le garanzie di sicurezza richieste. Trump ancora non gliel’ha offerte e da lui il presidente ucraino si aspetta “una reciproca comprensione” in quanto, ha sottolineato, un cessate il fuoco non può equivalere a una pace.

L’invito di visitare il paese invaso fatto pervenire alla Casa Bianca non è ancora stato accettato. “Purtroppo non ci siamo riusciti”, aggiunge Zelensky. “Forse verrà o forse andrà io a Washington”. Chiunque sia chiamato a salire su un aereo non importa, purché l’incontro avvenga prima del nuovo round di colloqui tra americani e russi, previsto già per questa settimana. Un confronto a quattr’occhi tra Trump e Zelensky potrebbe aiutare a capirsi: “Sarà molto utile”.

Il vantaggio sta da entrambe le parti. Kiev pretende di chiudere il capitolo più nero della sua storia da quando ha ottenuto l’indipendenza, ma per scacciare il timore di una nuova invasione da parte della Russia ha bisogno degli americani. E in cambio è pronta a discutere con franchezza dell’accordo che a Washington vorrebbero siglare il prima possibile, quello sui minerali rari. “Sono pronto a condividerli, stiamo facendo progressi”, annuncia Zelensky facendo eco all’inviato speciale americano Steve Witkoff che si aspetta una firma a giorni. Anche qui però il leader ucraino pone delle riserve: “Non firmerò qualcosa che verrà pagato da dieci generazioni di ucraini”. Secondo la bozza dell’accordo, all’Ucraina vengono richiesti “due dollari per ogni dollaro fornito dagli Stati Uniti”. In tutto si tratterebbe di 500 miliardi di dollari, una cifra impossibile da coprire. Anche perché gli aiuti americani erano “a fondo perduto” e dunque non vanno riconosciuti come “prestiti”. Insomma Kiev non deve niente indietro, anzi rivendica che 15 miliardi precedentemente promessi non sono mai stati consegnati. Per questo il dispiegamento di militari statunitensi rientra  sarebbe logico qualora l’accordo sui minerali venisse trattato come una garanzia di sicurezza.

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Zelensky dunque sembrerebbe provare a parlare la stessa lingua di Trump. Così come il tycoon tratta mettendo degli ultimatum (l’ultimo appena ieri, con la minaccia di staccare la spina a Starlink), lo stesso sta provando a fare il leader ucraino. Pur consapevole che il coltello dalla parte del manico ce l’ha l’americano, imprevedibile nelle sue decisioni.

Per questo quando Zelensky parla di garanzie di sicurezza fa principalmente riferimento all’ingresso della Nato. Un obiettivo molto difficile da raggiungere, specie nel breve termine, perché richiederebbe l’unanimità dei paesi membri – e quindi anche di Washington e Stati filorussi, a cominciare dall’Ungheria. L’alternativa è il dispiegamento di almeno 100mila soldati europei, sebbene inferiori alle disponibilità militari di Mosca.

Molto si capirà dal vertice di domani che Zelensky avrà con i leader stranieri, che potrebbe diventare “un punto di svolta”. Così come fondamentale potrebbe essere l’incontro trilaterale tra Trump, Emmanuel Macron e Keir Starmer. Il presidente francese e il premier britannico porteranno a Washington un loro piano per sperare che l’amministrazione americana lo condivida. L’opera di persuasione è nelle loro mani. Zelensky, oltre al punto a cui si è spinto, probabilmente non può arrivare.



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