Arsenico e vecchi sospetti: il caso della discarica di Su Linnarbu | Sardegna che cambia

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Sud Sardegna – Distese sui dolci declivi della Trexenta, le campagne a nord di Samatzai sono un luogo ameno solo all’apparenza. Non foss’altro che qui, sversamento dopo sversamento, è venuta su una montagnola di rifiuti larga 20 ettari e alta quanto una palazzina di quattro piani. È la collina dei veleni che sorge in località Su Linnarbu, di cui Indip si è occupato qualche mese fa. Vale a dire una delle dieci aree sequestrate dalla Procura di Cagliari tra il 2019 e il 2020 e finite al centro del processo a carico di quattro dirigenti del cementificio Heidelberg Materials Italia cementi, ex Italcementi, di Samatzai, accusati a vario titolo dei reati di disastro ambientale, discarica e gestione di rifiuti non autorizzata.

Dopo le indagini, di questo enorme sarcofago si credeva di sapere tutto. Il processo oggi in corso fa però sorgere un aspetto nuovo, finora trascurato, la possibilità cioè che i veleni della collina si siano diffusi al di là dell’area posta sotto sequestro. Ma andiamo con ordine.

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Carabinieri del N.O.E. nel corso delle indagini (foto Mi.T.E.)
I VELENI DI SU LINNARBU

Intanto, di questo ammasso di rifiuti – le cui dimensioni vengono stimate in 195.000 metri cubi – è noto il contenuto occultato per decenni e cioè migliaia di mattoni refrattari d’altoforno, strati di polveri solidificate, cemento amianto, pezzi di nastro trasportatore e perfino alcuni bidoni di olio combustibile esausto portati a giorno dagli escavatori ormai quattro anni fa. Tutti compatibili con le attività del cementificio che sorge qualche chilometro più a valle, accusa la Procura.

Ecco dunque il piombo, il cadmio, il tallio e l’arsenico presenti in quantità superiori ai limiti nei terreni dei Su Linnarbu. Dove, va da sé, pure le acque sono inquinate: la collina trasuda infatti veleni – arsenico e cromo esavalente, entrambi cancerogeni, le sostanze più preoccupanti – come certificato dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente Sardegna (Arpas) e dal consulente del PM titolare dell’inchiesta Giangiacomo Pilia.

Fatti già noti, come detto. La novità sta piuttosto nell’eccesso di arsenico – il triplo rispetto al limite – rinvenuto nel terreno di Alessandro Melis, agricoltore di Samatzai e parte civile al processo in corso al Tribunale di Cagliari. Un dettaglio in particolare fa riflettere: il fondo di Melis si trova a circa 100 metri dalla collina dei veleni, dove l’arsenico ha fatto superare i limiti previsti dalla normativa ambientale. A mettere nero su bianco il preoccupante dato sono le analisi condotte dal consulente di parte civile, l’agronomo Giorgio Oppia, finite agli atti del processo.

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 Ciò che emerge dalla collina dei veleni di Su Linnarbu – Indip

In effetti, si tratta di una circostanza che pone una questione ineludibile: i veleni di Su Linnarbu si stanno diffondendo nel territorio circostante? Il punto è che per contrastare simili propagazioni sarebbe necessario adottare alcune misure di emergenza, richiesta che in effetti la Provincia del Sud Sardegna ha indirizzato alla Heidelberg Italia lo scorso maggio attraverso un’ordinanza. In pratica, il primo passo per arrivare all’eventuale bonifica dei siti in cui si sono verificati i superamenti di legge.

Ed è qui che si verifica un cortocircuito: se da un lato la società ottempera alle richieste dell’ente, dall’altro ne impugna gli atti al Tar. Contatta da Indip per una richiesta di colloquio, Heidelberg Materials ha declinato l’invito e inviato una breve nota in cui sostiene “la correttezza del proprio operato. Non vi è alcuna evidenza di compromissione ambientale e alcun pericolo per la salute pubblica”.

L’ARSENICO NEI DINTORNI DELLA COLLINA

«Rosso è». Di fronte al giudice Giovanni Massida, il signor Alessandro Melis descrive così il terreno di sua proprietà sito negli intorni della collina dei veleni. «Qui le piante crescono poco e male». Qualche giorno prima erano arrivati i risultati delle analisi su un campione di suolo prelevato dal fondo incriminato, dove l’arsenico supera di tre volte i limiti di legge.

Lì l’arsenico è presente dappertutto

Queste le conclusioni a cui è arrivata White Lab, «un laboratorio accreditato», spiega in aula l’agronomo Oppia. «L’arsenico è stato trovato a venti centimetri di profondità, un fatto che mi induce a pensare, anzi direi che ne sono sicuro, che lì l’arsenico è presente dappertutto». La presenza di questa sostanza nei terreni può avere due origini: naturale o antropica. Tuttavia, nel caso specifico, non si conoscono i valori di fondo, ovvero la naturale distribuzione della sostanza nell’area. Restano, in ogni caso, due dati che fanno riflettere: la prossimità del fondo di Melis al sarcofago di rifiuti di Su Linnarbu e il superamento consistente dei valori stabiliti dalla legge.

Intanto, l’arsenico – argomenta Oppia – spiega il mancato sviluppo del frumento nel fondo di circa 2 ettari, che in ogni caso non viene commercializzato. Occorre capire perché quei terreni facciano rilevare un eccesso di arsenico. Il signor Melis un’idea ce l’ha. «Lì affianco, sulla collina dei veleni, sono andati avanti per anni gli sversamenti e, quando i camion scaricavano, si alzava una grande polvere rossa che arrivava fino al paese», argomenta riferendosi ai primi anni 2000. Uno studio redatto da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, stabilisce però che le movimentazioni a Su Linnarbu si sono protratte sino al 2019.

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Ciò che è certo è che l’area funzionava come un deposito polveri all’inizio degli anni ‘70; non si sa però per effetto di quali permessi – le carte dell’inchiesta non ne fanno menzione. Insomma, in principio furono le polveri, ma in quell’area c’è finita una quantità industriale di rifiuti di ogni tipo. In assenza di autorizzazioni, sostiene la Procura.

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Ex cementeria Italcementi

Seppure in misura inferiore l’arsenico ha fatto registrare un superamento anche nei terreni di Federico Cabua – parte civile al processo –, siti a circa 2 chilometri di distanza dal cementificio. La causa non è nota, ma ci sono due certezze. La prima: fatta eccezione per su Linnarbu, l’inchiesta non ha rilevato superamenti dell’arsenico nelle altre aree indagate. La seconda: il terreno di Cabua si trova sottovento, come quello di Melis, rispetto agli altiforni del cementificio. Un tema di sicuro interesse ambientale, di cui il processo non si è però occupato.

FINE BONIFICA MAI

Oltre al processo penale, c’è un’altra partita in corso e si gioca al Tar Sardegna, dove la Heidelberg Materials ha trascinato la Provincia del Sud Sardegna. Nel maggio 2024 l’ente individua nel colosso dei materiali da costruzioni il responsabile dell’inquinamento in 3 delle 10 aree inizialmente poste sotto sequestro dalla Procura. La Provincia stabilisce quindi che la potenziale contaminazione è dovuta all’interramento di rifiuti inquinanti. Tesi respinta da Heidelberg Materials, la quale impugna l’ordinanza provinciale e la lunga sfilza di atti che hanno portato al provvedimento.

Intanto  la società non riconosce la paternità dei rifiuti finiti sottoterra nell’area di Su Linnarbu, nonostante quei terreni appartengano a una sua controllata, la Ital Real estate. In secondo luogo, Heidelberg ritiene che in quel sito non siano applicabili i limiti stabiliti dalla legge per le zone destinate al verde pubblico, categoria dove vengono normalmente fatti rientrare i terreni agricoli. Ci sarà un giudice a Cagliari che saprà fare chiarezza su questo e altri punti, ma intanto va notato che le norme non prevedono nessuna distinzione tra aree industriali e non in fatto di inquinamento delle acque.

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Inquinamento acque immagine di repertorio – Canva

Si dà poi il caso che una sorgente  – tombata dall’ammasso di rifiuti di Su Linnarbu – abbia fatto registrare una quantità di cromo esavalente cancerogeno superiore di dieci volte i limiti. In questa stessa area, superamenti anche per fluoruri, solfati, selenio – tossico – tallio e manganese. Invece, seppure di poco e in un solo campione prelevato dall’Arpas, l’arsenico supera i parametri fissati dalla norma per le aree industriali nei terreni.

In breve, l’inquinamento non pare in discussione, ma Heidelberg contesta perfino l’esistenza di una contaminazione potenziale, legata cioè al superamento dei limiti di legge, che poi è ciò che si limita a constatare la Provincia sulla base delle analisi effettuate durante le indagini della procura. Oltre a individuare il responsabile dell’inquinamento, l’ente ha anche intimato alla società di procedere con la caratterizzazione dei siti in cui è stato rilevato l’inquinamento ed eventualmente, sulla scia di questa prima fase, con l’analisi del rischio sanitario e ambientale.

L’iter delle bonifiche è diviso in fasi in cui gli interventi sul terreno sono sempre preceduti e seguiti da ulteriori analisi e monitoraggi – dopo le misure di emergenza si trova la messa in sicurezza operativa e poi, eventualmente, quella permanente oppure la bonifica vera e propria. In ogni caso, per far scattare l’iter basta un solo superamento delle soglie di concentrazione. In breve, la Provincia non ha fatto altro che attivare un procedimento d’ufficio.

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Heildeberg ha nel frattempo elaborato i piani di caratterizzazione per le aree incriminate e proposto la realizzazione di una recinzione a Su Linnarbu per ottemperare alle richieste della Provincia. Però come visto la società dà battaglia. Il rischio è che il ripristino ambientale di queste aree si trasformi in un miraggio. Questa partita – la più importante di tutte – è oggi dunque incerta. Sarà anche perché sul piatto ballano circa 25 milioni di euro: a tanto ammonta la stima dei costi per le operazioni di bonifica effettuata dal consulente della Procura Paolo Littarru.

Puoi leggere questa inchiesta di Piero Loi in versione integrale sul sito di Indip



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