«Faremo un macello». Controlli rafforzati a Napoli. Avvertito ministro Piantedosi

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Sfida social o minaccia concreta per l’ordine pubblico? Da giorni su TikTok i cosiddetti “maranza” del nord Italia annunciano di voler «invadere» il sud, pronti a mettere a ferro e fuoco le città meridionali, a partire da Napoli. E ci sarebbe anche una data: il 1° marzo, giorno della sfida scudetto Napoli-Inter. Si tratta di gruppi di giovanissimi, spesso figli di immigrati nati in Italia, che si identificano in uno stile fatto di ostentazione di brand di lusso, musica trap e in molti casi anche violenza gratuita.

«Sud preparati, il 1° marzo arriviamo noi e sarà guerra. Tutti con il Frecciarossa senza biglietto, prima tappa Roma, poi Napoli e Sicilia… Faremo un macello e scapperanno tutti… Perché quelli del Sud parlano male di noi del Nord», il tenore dei video che spopolano in queste ore su TikTok. E non mancano le risposte dei diretti interessati: «Vi aspettiamo a braccia aperte».

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L’interrogazione parlamentare

La sfida è partita dai social, ma ora potrebbe essere sottoposta all’attenzione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Il senatore leghista Gianluca Cantalamessa, coordinatore provinciale di Napoli e Avellino, ha infatti annunciato un’interrogazione: «Decine di giovani e giovanissimi abbigliati come trapper e appartenenti a gruppi di maranza hanno lanciato sui social una sfida al Sud: “Il primo marzo invaderemo Napoli… Faremo un macello”. Sono questi i messaggi di violenza raccolti in decine di video su TikTok dove si annunciano risse di piazza, fra minacce e avvertimenti rivolti a ragazzi napoletani. Una sfida che preoccupa sia perché da Napoli sono già arrivate le repliche (‘Venite, vi aspettiamo, ma non vi servirà il biglietto di ritorno’), sia perché sabato 1 marzo si giocherà la sfida scudetto tra Napoli e Inter. Per questo, vista l’attenzione che la Lega e questo governo dimostrano sul tema delle baby gang, presenterò oggi stesso un’interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Dobbiamo evitare che Napoli sia tenuta in scacco da questi “fenomeni”, soliti postare video carichi di odio e inni alla violenza, che minacciano seriamente la sicurezza nelle nostre città». 

La sfida parte da Torino: chi è Don Alì

È Torino uno dei punti nevralgici della challenge, lanciata su TikTok, con la minaccia di invadere il sud Italia per dare vita a tafferugli di strada. Da alcuni giorni è virale sui social il video in cui un giovane streamer torinese, Don Alì, dice che «stiamo chiamando tutti i “maranza” che ci sono in Italia per scendere tutti insieme al Sud».

«A tutti quelli del Sud che si esaltano dicendo “noi abbiamo questo” (qui mima il gesto di premere il grilletto di un’arma da fuoco, ndr) rispondiamo che è roba da film. La vita reale è un’altra. Totò Riina ci ha lasciato anni fa. Noi vi faremo vedere la vita reale. Se salite al nord vi scippiamo ”o telefonin”. Vi faremo vedere la vita reale, non i film e le fantasie». L’autore è un 24enne di origini marocchine. È arrivato a Torino da bambino e ha vissuto nel quartiere Barriera di Milano. Dal 2019 realizza video con provocazioni e bravate.

L’allerta a Napoli

«Ulteriori misure di ordine e sicurezza pubblica, al fine di scongiurare eventuali episodi di violenza o di illegalità» sono state disposte dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto di Napoli, Michele di Bari, in seguito all’annunciato arrivo, domani, di gruppi di “maranza”.

«Le determinazioni sono state adottate anche in relazione alla circostanza che – si legge in una nota – nella giornata di domani, si disputerà, presso lo stadio Maradona, l’incontro di calcio Napoli-Inter, in occasione del quale è previsto un massiccio afflusso, presso la città di Napoli, di tifosi per assistere alla competizione sportiva».

Al Comitato hanno partecipato l’assessore alla Legalità e Polizia locale del Comune di Napoli, il vice questore vicario, il comandante provinciale dei Carabinieri, il dirigente del Compartimento Polfer, il rappresentante del Comando provinciale della Guardia di Finanza e il comandante della Polizia Metropolitana. Attività di prevenzione e controllo sono già state avviate dalle Forze dell’ordine. 

Chi sono i maranza

Che la sfida lanciata sui social si concretizzi davvero in una pericolosa invasione di massa, al momento, è tutto da vedere. Ma di sicuro ha portato alla luce il fenomeno dei “maranza”. Uno degli elementi caratteristici di questo gruppo è l’abbigliamento, fatto di pantaloni della tuta stretti alla caviglia, sneakers appariscenti (come le Nike TN o Air Max), bomber imbottiti e marsupio a tracolla. Non mancano gli occhiali da sole, anche di sera: uno stile che richiama la moda della trap italiana, il genere musicale che ascoltano e che influenza anche il loro modo di parlare e atteggiarsi. 

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I maranza sono gruppi di giovani particolarmente diffusi nelle periferie delle grandi città italiane, soprattutto al Nord. Il termine, che ha origini milanesi, veniva usato già negli anni ’80-’90 per descrivere ragazzi di quartieri popolari con uno stile vistoso e un atteggiamento un po’ spavaldo. Oggi questo “stile” si declina con collane, cappellini, monopattini e musica trap, risse per strada e aggressioni.

È l’atteggiamento nichilista di una generazione cresciuta nella crisi, nelle disuguaglianze. «È una reazione», ha spiegato qualche giorno fa al Messaggero la sociologa Anna Curcio, che per la casa editrice DeriveApprodi ha pubblicato il saggio “Maranza di tutto il mondo, unitevi” dell’attivista franco-algerina Houria Bouteldja.

«L’abbigliamento. Tutte le esperienze passano sempre da qui, è il riconoscimento dell’identità di un gruppo – riflette Anna Curcio – Attraverso gli accessori vistosi, i marchi esibiti passa il messaggio non siamo soltanto feccia, possiamo sfoggiare le cinture dei grandi marchi della moda. Ci siamo anche noi. Ecco, dobbiamo assumerci la responsabilità collettiva di questa rabbia». Al Corvetto, quartiere a sud di Milano, è esplosa a novembre con cassonetti incendiati dopo la morte di Ramy, schiantatosi con il motorino guidato dall’amico Fares durante un inseguimento dei carabinieri.

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