Toscana seconda nelle «pagelle» del Ministero sulla sanità: «Ma le classifiche non sono verità assoluta»

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di Giulio Gori

Il presidente dell’Ordine Dattolo e le pagelle del Ministero:«In Toscana rispettiamo, appunto, i livelli “essenziali” ma abbiamo debolezze, a partire dalle liste d’attesa. Tutta la sanità pubblica è drammaticamente in pericolo»

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Quando Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ha pubblicato la classifica dei Livelli essenziali di assistenza mettendo la Toscana al secondo posto in Italia, il presidente dell’Ordine dei medici di Firenze e primario di Nefrologia all’ospedale di Santa Maria Annunziata, Pietro Dattolo, è intervenuto per spiegare che «il merito è soprattutto dei professionisti della sanità». Una frase che sta a significare le difficoltà in cui medici, infermieri e oss operano ogni giorno.

Dottor Dattolo, che cosa significa per la Toscana la classifica di Agenas?




















































«Quella classifica ci dice che la Toscana garantisce i Livelli essenziali di assistenza, ovvero livelli adeguati delle prestazioni sanitarie fondamentali stabiliti dal ministero della Salute. È un grande risultato che ci colloca ai vertici della sanità italiana, ma che non significa che tutto vada bene: rispettiamo, appunto, i livelli “essenziali” ma abbiamo debolezze, a partire dalle liste d’attesa. Inoltre, quando Agenas dice che rispettiamo i fabbisogni di personale, lo fa sulla base dei parametri fissati dal ministero, che non sono i fabbisogni reali».

Significa che la Toscana ha bisogno di più medici e infermieri?

«Sì, mancano professionisti negli ospedali e abbiamo difficoltà anche sui medici di famiglia, tanto che presto dovremmo porci il problema di come riempire le case di comunità. Se i risultati della Toscana sono comunque buoni è merito di una buona organizzazione di base, ma soprattutto dell’abnegazione di medici, infermieri e oss che fanno notevoli sforzi per coprire le carenze. Ma in prospettiva non si può pensare che per mantenere questi livelli si possa sempre puntare sul sacrificio dei professionisti».

La classifica Agenas è una rappresentazione credibile delle differenze tra i sistemi sanitari regionali?

«Una classifica non è mai una verità assoluta. Quella di Agenas, basandosi sul rispetto dei Lea, è però più affidabile di altre. Io sono di origini calabresi, e non posso fare a meno di notare le enormi differenze che là ci sono rispetto alla Toscana: penso alla nostra prevenzione e all’ottimo lavoro di Ispro, mentre in Calabria tutto è rimesso sulle spalle della buona volontà dei medici di famiglia, che fanno quello che possono. Ma penso anche alla qualità delle cure negli ospedali, che è notevolmente diversa».

Attilio Fontana, il governatore della Lombardia, con i suoi ospedali di eccellenza si è ribellato alla mezza bocciatura della sua Regione. Ha torto?

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«I limiti della sanità lombarda sono saltati agli occhi di tutti durante la pandemia. Ricordo bene quando là c’era chi diceva che i medici di famiglia erano inutili e poi è arrivato il Covid ed è stato un disastro. La Lombardia rappresenta un’eccellenza per tutto ciò che è programmato e programmabile, ma è quando c’è l’imprevisto che un modello che si basa per gran parte sul privato mostra i propri limiti. Non sono contro il privato, anzi, è importante che ci sia per coprire le cose che il pubblico non riesce a offrire, ma quando si arriva a farsi concorrenza vengono fuori i problemi».

Anche in Toscana però ci sono problemi simili: magari l’intervento chirurgico si fa nel pubblico, ma le visite e gli esami per entrare in lista d’attesa, se non si vuole attendere anni, si finisce per farli nel privato.

«È vero, e il limite dei Lea è proprio questo: valutano la singola prestazione, non il pacchetto complessivo che rende quella prestazione realmente efficace».

Così non c’è il rischio che chi non se lo può permettere non si curi?

«Il rischio c’è e ci sarà sempre di più se non ci si rende conto che non solo che prevenzione e sanità territoriale aiutano a curare meglio, ma alla lunga consentono anche di risparmiare. Trasformare i piccoli ospedali in ospedali di comunità costa meno e affronta meglio la cronicità. Operare un cancro allo stomaco costa cinque volte di più che rimuovere un polipo con una gastroscopia».

A proposito di territorio: i medici di famiglia devono restare liberi professionisti o diventare dipendenti Asl?

«Il dibattito mi appassiona poco. Il punto è semmai trovare gli strumenti per convincerli a lavorare nelle case di comunità con compiti precisi, indipendentemente dal loro inquadramento».

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La sanità pubblica italiana è in pericolo?

«È drammaticamente in pericolo: se al Fondo sanitario nazionale viene dato il 6% del Pil e se di anno in anno aumenta la spesa out of pocket (i soldi versati dai cittadini alla sanità privata, ndr), credo che la volontà politica sia, purtroppo, quella di puntare sul privato». 

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1 marzo 2025 ( modifica il 1 marzo 2025 | 11:53)

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