parafarmacie
28 Febbraio 2025
La Corte di Cassazione annulla la condanna di una titolare di parafarmacia ritenuta in primo grado penalmente responsabile di esercizio abusivo della professione nella propria parafarmacia. Per i giudici non si può ritenere automaticamente responsabile senza prove di un suo coinvolgimento diretto o consapevole
di Avv. Rodolfo Pacifico
Il Tribunale ha riconosciuto la penale responsabilità per il delitto di esercizio abusivo della professione di farmacista in capo alla titolare di una parafarmacia in quanto la sorella, non abilitata, in sua assenza, aveva dispensato due farmaci da banco in violazione delle leggi in materia.
L’imputata contro la pronuncia ha proposto ricorso per cassazione ritenendo fosse stata affermata una responsabilità in assenza di qualsiasi prova, sia in relazione alla sua partecipazione, materiale o morale, alla commissione dell’illecito posto in essere dalla sola sorella in sua assenza, sia alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
In tal modo – secondo la ricorrente – la sentenza aveva attribuito alla titolare della parafarmacia, non tenuta ad essere presente all’interno dell’attività commerciale ai sensi dell’art. 5 D.L.. n. 223 del 2006, una posizione di garanzia non prevista dalla norma penale rendendola responsabile del fatto altrui. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso annullando la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.
Esercizio abusivo della professione: gli estremi del reato
Per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di esercizio abusivo della professione, il bene tutelato dal reato è costituito dall’interesse generale a che determinate professioni vengano esercitate solo da soggetti in possesso di una necessaria competenza tecnica verificata mediante il rilascio di specifica attestazione di idoneità da parte dello Stato o l’iscrizione in un albo o elenco professionale.
Per tale ragione il delitto di esercizio abusivo della professione costituisce una norma penale in bianco che si salda con altre disposizioni volte a determinare le attività per le quali detto apparato di tutela è predisposto e che – con riferimento alle parafarmacie – è rinvenibile in specifiche norme. Nelle parafarmacie, in cui vengono commercializzati beni di varia natura, è necessaria la presenza del farmacista solo quando vengono compravenduti medicinali in quanto per detta attività sono obbligatorie laurea, abilitazione ed iscrizione all’albo professionale dei farmacisti.
Nel caso specifico si è affermata sussistenza del fatto materiale delineato dalla disposizione penale, in quanto la vendita di medicinali, cioè l’atto riservato in via esclusiva alla categoria professionale dei farmacisti secondo la legge di settore, è avvenuta da parte di un soggetto privo dei requisiti e in assenza della titolare, unica legittimata a provvedervi.
La Corte di Cassazione ha tuttavia annullato la sentenza per non essere risultato in concreto che la farmacista titolare avesse determinato, o comunque deliberatamente consentito, l’esecutrice materiale alla commercializzazione dei farmaci, né che avesse impartito direttive affinché lo facesse, ha escluso che l’imputata avesse avuto qualsiasi tipo di responsabilità concorsuale, omissiva o commissiva, rispetto all’esercizio abusivo della professione di farmacista commesso dalla congiunta, sia sotto il profilo causale che sotto quello della riferibilità psicologica del reato.
Per approfondire. Cassazione Penale 20.02.2025 su www.dirittosanitario.net al seguente link: https://www.dirittosanitario.net/giurisdirdett.php?giudirid=4235&areaid=13
TAG: ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE, CORTE DI CASSAZIONE, PARAFARMACIA
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