Il figlio di Giorgio Napolitano: «Il Tito Livio, la Biennale, l’attenzione per il federalismo: tra mio padre e il Veneto un legame speciale»

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di
Monica Zicchiero

I ricordi di Giulio Napolitano, figlio secondogenito dell’ex presidente della Repubblica: «Il rapporto con Cacciari e l’ammirazione per l’intelligenza politica di Gianni De Michelis»

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Era il 2011, 150° anniversario dell’Unità d’Italia e i partiti non erano troppo ansiosi di festeggiare. E allora, ancora una volta, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si caricò «Il mondo sulle spalle», come recita il titolo del libro di Giulio, secondogenito dell’ex Capo dello Stato e di Clio Bittoni che ha raccontato la storia di una famiglia fondamentale per la Storia della Repubblica a partire dalle lettere che suo padre gli scriveva nei momenti cruciali.
Presentato venerdì all’M9 al Festival della Politica con Massimo Cacciari, Serena Bertolucci e Nicola Pellicani, è stata occasione di raccontare tasselli fondamentali per la vita politica e istituzionale della città e del Paese. Nel 2011 suo padre ripeté in più occasioni: «L’Italia delle autonomie è stata quella voluta dai padri costituenti e segnata in Carta Costituzionale», spronando a completare le riforme. È un passaggio citato a più riprese dal presidente Luca Zaia.

Giorgio Napolitano ha aperto la strada all’autonomia?
«Per i 150 anni dell’Unità d’Italia i partiti non sembravano propensi a celebrare. Lui si caricò la ricorrenza sulle spalle e fece un viaggio per l’Italia e le sue radici per fare una celebrazione non retorica. Fece una profonda rilettura del Risorgimento, riscoprendo le radici anche del federalismo in uno dei massimi teorici, Carlo Cattaneo. E teneva insieme l’unità e l’autonomia, prevista dalla Carta. Per lui la Costituzione andava sempre attuata. Fu così molto apprezzato anche dalla Lega. Tra mio padre e il presidente Luca Zaia, d’altra parte, c’è stata sempre sintonia e stima reciproca».




















































Era molto legato al Veneto, per le amicizie nel partito ma anche per esperienze giovanili. Durante la guerra frequentò il liceo al Tito Livio di Padova. Che ricordo ne serbava?
«Molto bello, la città gli è sempre rimasta nel cuore. C’era la guerra, i genitori lo mandarono da alcuni parenti in città e lui così partì da Napoli e prese questa nuova esperienza con entusiasmo».

A Venezia era tornato spesso. Un legame nato per l’amicizia con Gianni Pellicani?
«Tengo particolarmente al ricordo delle estati passate all’isola d’Elba, ero piccolo e mi ricordo che c’era Pellicani che tutti chiamavano il vicesindaco più importante d’Italia per sottolinearne il carisma e la grande capacità politico-amministrativa. Io ho conosciuto prima Gianni e poi Venezia. Tra loro c’era grande vicinanza».

Erano nella stessa corrente riformista del Pci. Massimo Cacciari ne era invece lontano eppure il legame era forte…
«Molto. Erano due uomini intellettualmente liberi, pronti all’ascolto. Si conobbero quando mio padre divenne responsabile delle attività culturali del Pci. Ruolo nel quale conobbe anche molti artisti all’avanguardia, da Renato Guttuso a Pier Paolo Pasolini. Amava anche l’arte contemporanea e con mia madre visitavano spesso la Biennale a Venezia. Una volta lui incontrò Robert Redford, deve essere stato divertente perché erano molto sorridenti nella foto. Tornavano spesso a Venezia, conversavano con Cacciari e gli amici. Di politica, arte, musica, tra loro c’era anche Luigi Nono di cui mio padre era grande amico. Voglio ricordare anche il rapporto con Gianni De Michelis, un grande veneziano. Mio padre guardava con rispetto e interesse al Psi di Craxi di quegli anni, all’innovazione che portava e di De Michelis apprezzava la grande intelligenza politica e la visione europea internazionale di ministro degli Esteri. Sono rimasti sempre legati».

Un ricordo comune legato al Veneto?
«La Mostra del Cinema. Mio padre ci andava spesso. Gli ricordava quando da studente nel 1942 fece da corrispondente per un giornale studentesco. L’anno in cui vinse Birdman fu accolto da uno scrosciante applauso della sala, lui appoggiato al mio braccio che riceveva questo abbraccio della folla. Fu l’ultima volta alla Mostra».

Giorgio Napolitano è stato un uomo delle istituzioni che non è mai sottratto alle domande dei giornalisti. Non è così scontato.
«Sì, aveva l’abitudine di rilasciare sempre dichiarazioni alla stampa. E lo faceva a braccio. Il suo capo ufficio stampa era un po’ preoccupato di questa improvvisazione. Ma lui replicava: “Sento come un mio dovere rispondere. I giornalisti fanno le domande che fanno i cittadini e ai cittadini bisogna rispondere”».

Molto raro. Ed era una figura importante anche sua madre Clio Bittoni. Donna forte, nel senso di divertente, ironica. Ma anche forte nelle decisioni…
«Mia madre è stata una donna importante per tutti noi. Il loro sodalizio è durato 64 anni e nel libro ci sono tanti racconti in cui emergono la sua forza e le sue battute. Da piccolo mi chiamava: “Il piccolo Spadolini”».

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1 marzo 2025 ( modifica il 1 marzo 2025 | 15:41)

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