Franco Lo Piparo, via dalla illusione siciliana

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Apparentemente, il  saggio di Leonardo Sciascia Stendhal e la Sicilia è un decalogo di minuzie erudite, che mette fittamente in relazione tra loro opere di viaggio e lettere dello scrittore francese, stabilendo una posta in palio di poco peso, ovvero dimostrare che Stendhal non è mai stato, al contrario di quanto racconta, in Sicilia. Né ha mai visto Reggio Calabria e lo Stretto di Messina. Da questo intreccio, in Sicilia isola continentale Psicoanalisi di una identità (Sellerio, pp. 336, € 16,00), Franco Lo Piparo, noto filosofo del linguaggio, parte per indagare nel dettaglio l’alterità culturale, sociale, e linguistica della Sicilia, rivendicata da più voci nel corso dei secoli. E sospesa tra orgoglio campanilistico, soprattutto degli intellettuali locali,  sentimento di inferiorità, diffuso nelle masse popolari, e mistificazione letteraria. Riprendendo il saggio «poliziesco» di Sciascia, Lo Piparo scrive dunque che quel viaggio Stendhal lo «ha progettato, l’ha fantasticato ma mai tradotto in realtà. Ancora e sempre la luna del grande filosofo siciliano Giufà. È un episodio emblematico. È esistito nella cultura europea, fino a qualche decennio fa, un fantasma Sicilia». L’allusione è a un aneddoto di squisita saggezza popolare, che racconta «del filosofo Giufà, così stupido da raggiungere livelli eccelsi di conoscenza delle umane cose». Questi credette, com’è noto, vedendo il riflesso della luna in un pozzo, che essa fosse precipitata laggiù, e allora «andò a cercare un gancio, lo fissò all’estremità di una corda, lo gettò nel pozzo e legò l’altro capo della corda a una grossa pietra. E si mise a tirare con tutte le forze fino a quando la corda non si spezzò e lui rovinò a gambe all’aria».

Dalla solitudine di Giufà, il fantasmatico salvataggio della luna – metafora di una ben più grande allucinazione – si allarga a una nutrita schiera di intellettuali, politici, viaggiatori, pensatori illustri della modernità (da Stendhal a Gramsci), i quali a forza di credere in una Sicilia «che fa pensare subito a una terra di civiltà orientale o africana o mediterranea» o, come recitava, nelle memorie di uno dei suoi fondatori, lo statuto dell’«Accademia Nazionali» siciliana fondata a Palermo da alcuni aristocratici nel 1788 (che si proponevano di salvaguardare e far fiorire la Pura Lingua Siciliana), in una Sicilia che «basta ad idda stissa», l’hanno resa vera.

«Eppure Giufà qualche ragione dalla sua parte ce l’aveva. La luna in fondo al pozzo c’era davvero… È un qualcosa di reale che, venendo capito male, è sempre sul punto di diventare un nulla che pretende di essere qualcosa d’altro»: intellettuali e scrittori siciliani hanno raccontato una diversità fraintesa e considerata come un assoluto, sulla quale si proietta la pretesa, propria a ciascuno di noi,  di sentirsi unici e inspiegabili, se non con categorie speciali.

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Nella seconda parte del volume, Lo Piparo si destreggia tra raffinate analisi linguistiche dei primi testi non poetici scritti in siciliano e affondi di straordinaria intensità in un classico del Novecento, la Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, messo a confronto con il Gattopardo, romanzo in cui sono presenti abbondanti mistificazioni culturali. Cadono, uno dopo l’altro, gli stereotipi più difficili da cancellare anche dalla memoria (e dalla legittimazione) letteraria – in primo luogo, l’insieme di pregiudizi sulle figura della donna siciliana, sulla sua presunta, naturale sottomissione, sulla sua impossibilità, non rovesciabile, di autodeterminazione. E si delinea il ritratto di un paese che si nasconde, che si maschera, costruendo il suo presente e il suo futuro su un passato mai esistito.

L’esegesi, condotta da Lo Piparo, dello Statuto della Regione Siciliana – parte della Costituzione Italiana – è il paradigma di un metodo d’indagine capace di ritrovare il riflesso della leggenda negli errori della realtà. La Sicilia – il riferimento è all’articolo 38 dello Statuto – vuole essere rimborsata e mantenuta in virtù di un’alterità negata e strappata via. O, a giudizio dei siciliani, repressa e integrata su fondamenta fasulle.

Specchio di un discernimento interrotto e, per molti mai iniziato, allucinazione che prende il posto di quanto non si è disposti a scoprire e toccare, l’illusione di diversità della Sicilia rispetto al «continente» è anche indice di un atteggiamento più complesso dello stare al mondo, cui l’indagine di Lo Piparo approda, a volte impietosamente. Raffinato linguista e storico delle idee, animato dalla verve del polemista pacato ma implacabile, l’autore rimane comunque sempre nel labirinto dell’agnizione e del riconoscimento, costruttivo e amorevole. Verso la propria terra, gli scrittori prediletti cui nulla si risparmia, verso l’uomo e la lingua in genere: «E se l’errore consistesse nella ricerca della sicilianità? […] la sicilianità altro non è che la presunzione di credersi unici o, nella versione sciasciana, metafora del mondo».



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