Omicidio di Riva del Garda, un dramma di difficoltà e di solitudine. “Non c’è più un welfare familista, le reti si sono spezzate e il peso rischia di essere insostenibile”

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TRENTO. Un dramma senza fine che ancora una volta ha sconvolto il Trentino. Un dramma fatto di difficoltà, di solitudine e di una comunità dove le reti sociali, purtroppo, sono diventate a maglie troppo larghe. L‘omicidio avvenuto in via Deledda a Riva del Garda, dove una donna di 91 anni, Maria Skvor, sarebbe stata uccisa dalla figlia 61enne, Francesca Rozza, che da tempo l’assisteva, impone in maniera forte una riflessione su quello che in questi anni è diventata la nostra comunità.

 

Le due donne, secondo quanto ricostruito, vivevano sole dopo la morte, qualche anno fa, del marito dell’anziana. Una solitudine che sembra essersi trasformata in qualcosa di più grave, in un navigare in un mare sconosciuto di complessità e incertezze. Il peso di accudire la madre, la necessità della 91enne di cure e attenzioni costanti. Nulla può giustificare un delitto ma il contesto in cui si inserisce richiede valutazioni approfondite.

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“La mia assistita versa in uno stato di estrema prostrazione e saranno necessari approfonditi accertamenti sulla sua imputabilità”, le parole di Nicola Canestrini, avvocato di Francesca Rozza, accusata dell’omicidio della madre 91enne Maria Skvor. “E’ indubbio che il rapporto con la madre fosse segnato da una lunga e gravosa convivenza, nella quale il progressivo deterioramento delle condizioni dell’anziana aveva reso sempre più difficile la gestione quotidiana. Sarà fondamentale comprendere fino a che punto questa situazione abbia inciso sulla volontà della vittima – aggiunge Canestrini – ma anche se ci si trovi davanti a un dramma che impone una riflessione più ampia sul confine tra aiutodisperazione responsabilità penale“.

 

Una riflessione messa sul tavolo anche dalla sindaca di Riva del Garda. “Il tragico evento scuote la comunità ma ci pone diversi interrogativi, il primo su tutti se viene fatto abbastanza per dare sostegno a queste famiglie in difficoltà”, il commento di Cristina Santi. “Il caregiver si prende cura di familiari non autosufficienti spesso malati, anziani o disabili, una figura invisibile e silenziosa, che deve essere fortemente sostenuta e supportata dalle politiche pubbliche, per evitare che lo sconforto, il senso di impotenza e abbandono sfocino in veri e propri drammi”.

 

Una situazione di profondo disagio. Una situazione da affrontare in modo trasversale ai vari livelli istituzionali perché il bisogno di assistenza è crescente in una comunità che invecchia, sempre più sola e indifferente. 

 

Una storia individuale, quella di Riva del Garda, eppure universale. Sono molti oggi i caregiver, le persone che si prendono cura di un familiare o di un conoscente, che spesso finiscono nell’ombra e scompaiono, portando il peso di una situazione che molte volte diventa insostenibile.

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“Le famiglie sono sempre più in difficoltà a prendersi cura delle persone più deboli”, spiega a Il Dolomiti Elisa Rizzi, presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Trentino Alto Adige. “Una volta esisteva un welfare familista che riusciva in qualche modo a supportare i diversi bisogni che andavano da quelli dei bambini a quelli degli anziani e delle persone non autosufficienti. Ora tutto questo è diventato più difficile”.

 

Solitudine e fatica possono emergere in modo intenso in chi si dedica completamente al familiare, sacrificando la propria vita e diventando a sua volta una persona fragile, costretta, nonostante ciò, ad affrontare patologie anche molto complesse.

 

“Oggi – spiega ancora la dottoressa Rizzi – c’è la necessità di lavorare per implementare il supporto da dare a queste persone. Lo possiamo fare favorendo la creazione di reti che sono elementi essenziali all’interno di una comunità”.

 

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Proprio per questo esiste in Trentino il progetto “Cura Insieme”, specifico per i caregiver, per far incontrare persone che si prendono cura del prossimo, per non farle sentire sole e per non farle sentire le uniche ad avere un problema. “La solitudine – continua la presidente degli Assistenti sociali – è un grosso problema. Sia per le persone anziane che vivono sole senza un supporto, ma anche per chi ha un supporto ma non ha una rete di sostegno”.

 

Spesso diventa difficile chiedere aiuto. “Esistono ancora i pregiudizi e non sempre è immediato l’arrivo ai servizi. Abbiamo a livello provinciale con lo ‘Spazio Argento’ un progetto di aiuto che si è sviluppato in questi anni, ma oggi abbiamo anche un’altra necessità: sarà sempre più importante riuscire ad avere, all’interno delle nostre piccole comunità, delle sentinelle sul territorio che ci permettano di conoscere le situazioni di fragilità esistenti. È difficile che le istituzioni arrivino dappertutto se non ci sono delle reti”.





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