Buio sul Washington post, Bezos cancella la libertà d’opinione. Era la stampa, bellezza

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“Democracy Dies in Darkness”, la democrazia muore nell’oscurità. Questo, a caratteri cubitali e nelle proverbiali nove colonne, è quel che ci ricorda (ci ricordava?) il motto del Washington Post, il quotidiano che, dai giorni del Watergate, forse più d’ogni altro, a torto o a ragione incarna (incarnava?) il molto americano mito della libertà di stampa. La verità prima, anzi, al di sopra di tutto. Al di sopra, in particolare, del potere, politico o economico che sia. La verità come luce, essenziale garanzia di vita nell’ecosistema democratico. La verità che illumina e che, nel chiarore del proprio coraggio, fa cadere presidenti. La verità che, con il rumore antico delle rotative sullo sfondo, ogni giorno ripete, anche in questi tempi di informazione digitale, la famosissima battuta di Humphrey Bogart, fictional direttore di The Day, nel film “Deadline-USA”: “This is the press, baby, and there’s nothing you can do about it”. Questa è la stampa bellezza, e tu non puoi far nulla per fermarla.

Questo fino a ieri. Perché Jeff Bezos, l’ultramiliardario fondatore di Amazon che nel 2013 acquistò il quotidiano al prezzo di 250 milioni di dollari, ha messo mano all’interruttore. Un click e la luce se ne è andata o, almeno, s’è affievolita al punto che la democrazia – quella, per l’appunto, che muore nell’oscurità e che, peraltro, già non stava granché bene di suo – ormai appena si vede, ridotta ad un’ombra sbiadita, forse non morta, ma certo agonizzante nel tombale silenzio delle rotative. Questa era la stampa, bellezza….

Fuor di metafora. Jeff Bezos ha inviato a tutti i redattori del quotidiano – e puntualmente diffuso via X, ex-Twitter, il social due anni fa acquistato, ad esorbitante prezzo, da Elon Musk, uomo più ricco del pianeta ed oggi, di fatto, co-presidente degli Stati Uniti d’America – un comunicato attraverso il quale rende noto un radicale cambio nella concezione delle “opinion pages’, le pagine degli editoriali del Washinton Post, fino a ieri pericolosamente aperte ai più vari punti di vista. D’ora in poi, fa sapere Bezos, queste pagine si reggeranno esclusivamente su due pilastri concettuali: “le libertà personali ed il libero mercato”. Per tutto il resto – qualsivoglia idea che in queste due colonne portanti non si riconosca appieno – sfratto immediato. Che si cerchino, queste idee, altri alloggi ed altri indirizzi.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Jeff Bezos , foto Paul Ellis Agenzia Fotogramma

Il ragionamento di Bezos è, a suo modo, lineare. Finiti, afferma, sono i tempi in cui la gente s’aspettava di trovare, nel giornale che ogni mattina raccoglieva sulla porta di casa o comprava in edicola, ecumenico spazio per ogni tipo d’opinione. Oggi è l’internet – secondo Bezos – il medium che adempie a questo compito. Il Washinton Post è, in questo nuovo panorama, a tutti gli effetti diventato il “suo” giornale. E lui, aggiunge in un sussulto di patriottica fierezza, è “of America, for America, and proud to be so”, è dell’America, per l’America e orgoglioso d’esserlo. Questo paese, spiega Bezos ai “suoi” giornalisti, “non è diventato quello che è essendo typical, tipico (aggettivo col quale Bezos apparentemente intende, aperto a tutto, indifferente rispetto alle varie ideologie). Una gran parte dei suoi successi dipende al contrario, prosegue il fondatore di Amazon e padrone del Washington Post, proprio “dalla libertà in campo economico e in ogni altro campo”. La libertà è, aggiunge, “un fattore morale e al tempo stesso pratico” perché, precisa, “limitando l’imposizione, stimola la creatività, l’invenzione e la prosperità…”.

Via il direttore

Di questo, sostiene Bezos, il suo Washington Post deve essere lo specchio. E deve esserlo con tutto l’entusiasmo del caso. Nessuno spazio sarà concesso ai timidi o ai dubbiosi. Nel suo comunicato, Bezos fa sapere d’aver prospettato questi cambiamenti all’attuale direttore delle pagine editoriali, David Shipley. E di averlo messo di fronte a due possibili scelte: o un “sì” accompagnato da frenetici applausi – un “hell, yes”, è l’espressione da lui usata – o un “no” secco. Ed un no secco è stato quello di Shipley (sperando che un giorno la Storia gliene renda merito). La nuova epoca dei “due pilastri” si aprirà in quello che fu il giornale del Watergate con un nuovo direttore editoriale. Chi, ancora non si sa.

Quello che si sa fin troppo bene è, invece, che cosa di fatto – ed in piena sintonia con le idee di quello che va sotto il nome di capitalismo radicale, anarco-capitalismo o, più propriamente, capitalismo feudale – Jeff Bezos intenda per “libertà e libero mercato”, le due nuove travi portanti del giornale che a suo tempo lui comprò, per personale prestigio, proprio perché della libertà di stampa era un simbolo. E che ora, spenta la luce, s’appresta ad usare nell’oscurità.

L’una e l’altra, la libertà e il libero mercato, sono due cose – questo chiaramente sentenziò, già nel 2009, Peter Thiel, fondatore di PayPal insieme a Elon Musk, gran mentore della carriera politica del vicepresidente J.D. Vance, e più lucido teorico del capitalismo feudale di cui sopra – ormai entrate in insanabile, epocale contraddizione con un sistema, quello noto come “democrazia”, basato sul principio di “un uomo, un voto”. Per Bezos, come per Thiel e per Elon Musk, è la proprietà che rende l’uomo libero, È la proprietà la vera, unica misura d’una libertà che per l’appunto è, essenzialmente, solo e soltanto libertà di mercato.

Il comunicato di Jeff Bezos era nell’aria. Lo era da quando, consumatasi la vittoria elettorale di Donald Trump lo scorso novembre, lo stesso Bezos s’era recato in pellegrinaggio, insieme al resto del Gotha tecnologico, a Mar-a-Lago, per render omaggio al sovrano del nuovo fuedalesimo capitalista. Tutti avevano, per l’occasione, portato doni in denaro o altamente simbolici. Marc Zuckerberg, aveva deposto di fronte all’altare, perché Trump la sacrificasse come un biblico agnello, la fine d’ogni forma di fact-checking su Facebook. Jeff Bezos aveva adagiato ai piedi del sovrano il fresco ricordo della proibizione, imposta al suo Washington Post, d’un endorsement politico (antica tradizione del giornale) inevitabilmente destinato a favorire, nel nome della difesa della democrazia, Kamala Harris. Una scelta a suo tempo da lui definita “storica”. Ma non abbastanza, evidentemente, per soddisfare l’insaziabile fame di lusinghe e di pubbliche, umilianti sottomissioni di chi siede sul trono.

Molti, ieri, si sono chiesti che bisogno avesse Jeff Bezos di render pubblica, con un comunicato, la sua decisione di “riformare” la pagina degli editoriali chiudendola nel recinto definito dai due nuovi “pilastri”. Da sempre, al di là d’ogni retorica sulla “indipendenza”, le proprietà dei media più o meno elasticamente impongono, senza alcun bisogno di lanciar proclami, la propria linea. Perché, dunque, una tanto spettacolare, arrogante pubblicità del gesto? Perché questa – di primo acchito inspiegabile – assenza di discrezione? Semplice è la risposta. Perché di un regalo si trattava. Di un regalo da esibire come prova di sudditanza.

Ovvia domanda: che cosa accadrà – adesso che Jeff Bezos ha abbassato la leva dell’interruttore – nell’oscurità del Washington Post? E quali danni produrrà, nel resto del sistema mediatico americano (quello che oggi va sotto il nome di mainstream media), l’onda d’urto del comunicato diffuso ieri? Tutto ovviamente dipende – dentro il quotidiano del Watergate e d in tutto il sistema – dalla quantità di anticorpi che la “più antica democrazia del mondo” porta dentro di sé.

“It Can’t Happen Here”, qui non può accadere, recitava il titolo di un vecchio ed oggi più che mai leggibile libro di Sinclair Lewis che, scritto negli anni ’30, mentre in Europa andavano avanzando il fascismo e il nazismo, mostrava quanto in realtà illusorie fossero le pretese di immunità dell’America democratica. Come andrà finire questa storia impossibile è dirlo. Però una cosa la luce spenta del Post già la dimostra. Come nel romanzo di Lewis, la fine della democrazia non solo può accadere. Già sta accadendo. E sta accadendo, ogni giorno, sotto gli occhi di tutti. Ma non è detto che accadrà.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Come dimostra la prima risposta che il comunicato padronale di Jeff Bezos – scivolato come la proverbiale acqua sul marmo – ha ricevuto dentro il Washington Post. Promuovere le “libertà personali ed il libero mercato”? Agli ordini. Ecco qui, fresco come un cornetto a colazione, un editoriale che spiega chi oggi rappresenti il più letale ed immediato pericolo per i sacri valori di cui sopra: Donald J. Trump, presidente degli Stati Uniti d’America. Firmato Dana Milbank, uno dei più stagionati e rispettati columnist del quotidiano.

Bezos e gli altri prostrati paladini del nuovo tecno-feudalesimo sono avvisati. Finché c’è dignità c’è luce. E finché c’è luce c’è speranza.



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