Medici di famiglia: una professione in via di estinzione?

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Mentre continua il tira e molla sulla riforma della medicina generale, dopo i non pochi malumori dei camici bianchi, quella dei medici di famiglia appare una professione a rischio estinzione. Stando all’ultimo report di Fondazione Gimbe, in Italia ne mancano già oltre 5.500 e ben 7.300 andranno in pensione entro il 2027.

Insomma, anche i dottori di famiglia invecchiano. E sempre meno giovani scelgono la professione: nel 2024 il 15% delle borse di studio non è stato assegnato, con punte di oltre il 40% in 6 regioni.

Il tutto mentre l’invecchiamento della popolazione aumenta i bisogni di assistenza sul territorio, con gli over 80 triplicati in 40 anni.
 Inoltre le reazioni ai contenuti della riforma e al (paventato) passaggio dalla convenzione alla dipendenza, lasciano prevedere una ‘grande fuga’ che complicherebbe ancor più le cose. Il tutto mentre le case di comunità ormai sono pronte e vanno riempite di professionisti per rispondere ai bisogni di cura sul territorio.

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Medici di famiglia: le regole attuali

Ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale ha diritto a un medico di medicina generale che permette di accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli Essenziali di Assistenza, ricordano da Gimbe. Oggi i medici di famiglia non sono dipendenti del Ssn (come invece accade ai colleghi che lavorano in ospedale), ma operano in regime di convenzione con l’Azienda Sanitaria Locale (Asl): il suo rapporto di lavoro è regolato dall’Accordo Collettivo Nazionale, dagli Accordi Integrativi Regionali e dagli Accordi Attuativi Aziendali, definiti a livello di singola azienda sanitaria.

Ma, ahimè, i professionisti scarseggiano. E questo ormai in tutte le Regioni, ricorda il presidente Gimbe Nino Cartabellotta, puntando il dito su una programmazione inadeguata, “che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Negli ultimi anni poi – rileva – la professione ha perso sempre più attrattività, rendendo oggi spesso difficile per i cittadini trovare un medico vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, soprattutto per anziani e persone fragili”.

Un esercito dalle tempie grigie

Basta andare in uno studio medico per rendersi conto del fatto che i pazienti in attesa sono tutti o quasi anziani. La percentuale di residenti over 65 anni è quasi raddoppiata, passando dal 12,9% (7,29 milioni) nel 1984 al 24% (14,18 milioni) nel 2024. Ancora più marcato l’aumento degli over 80, la cui prevalenza è più che triplicata: dal 2,4% (1,4 milioni) del 1984 al 7,7% (4,5 milioni) nel 2024.

Nel 2034 gli over 65 rappresenteranno il 29,4% della popolazione (17,04 milioni) e gli over 80 saliranno al 9,1% (5,28 milioni).

L’indagine Istat sullo stato di salute della popolazione mostra poi che, nel 2023, 11,1 milioni di over 65 (77,6%) erano affetti da almeno una malattia cronica. Insomma, “il massimale di 1.500 assistiti per ogni medico di medicina generale, adeguato nel 1984 rispetto alla distribuzione demografica, è ormai divenuto insostenibile. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche richiedono maggiori bisogni clinico-assistenziali e impongono un carico di lavoro sempre più elevato, con un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza”.

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Il sovraccarico

C’è poi la questione del sovraccarico: il 51,7% dei medici di medicina generale – secondo i dati 2023 del ministero della Salute – ha più di 1.500 assistiti; il 30,7% tra 1.001 e 1.500 assistiti; il 10,5% da 501 a 1.000; il 5,6% tra 51 e 500 e l’1,5% meno di 51.

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Una situazione diffusa, ma particolarmente critica in Veneto e Lombardia. “Questo livello di sovraccarico riduce il tempo da dedicare ai pazienti, compromettendo la qualità dell’assistenza”, rileva cartabellotta.

Pensionamenti

E in futuro le cose peggioreranno. Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale tra il 2024 e il 2027 ben 7.345 medici di famiglia hanno raggiunto o raggiungeranno il limite di età per la pensione fissato a 70 anni, deroghe a parte. Il numero di pensionamenti varia significativamente tra le Regioni: dagli 11 della Valle D’Aosta ai 1.000 della Campania.

Nel frattempo le nuove leve scarseggiano. La mancata presentazione di candidati per le borse di specialità è molto evidente in alcune Regioni: Marche (-68%), Molise (-67%), Provincia autonoma di Bolzano (-57%), Lombardia (-45%), Liguria (-42%), Veneto (-41%).

Una “spia rossa”, per dirla con Cartabellotta, che “segnala il crescente disinteresse verso la professione”, ma anche “gravi criticità in varie Regioni, come Lombardia e Veneto, dove la carenza è già rilevante”.

Dove c’è la peggior penuria di medici di famiglia

I dati SISAC documentano una progressiva riduzione di questi operatori in tutte le Regioni, ad eccezione della Provincia autonoma di Bolzano (+1%). Tra il 2019 e il 2023, il numero diei medici di famiglia è diminuito di 4.749 unità (-12,8%), passando da 42.009 a 37.260. Le differenze regionali sono rilevanti: il calo più marcato si registra in Sardegna (-39%), mentre quello più contenuto nelle Marche (-1,7%).

Sulla base dei dati SISAC al 1 gennaio 2024, la carenza complessiva è stimata in 5.575 operatori, distribuiti in 17 Regioni e Province autonome. Le situazioni più critiche si registrano in quasi tutte le grandi Regioni: Lombardia (-1.525), Veneto (-785), Campania (-652), Emilia Romagna (-536), Piemonte (-431) e Toscana (-345). Non si rilevano, invece, carenze in Basilicata, Molise, Umbria e Sicilia.

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Se tutti i medici andassero in pensione a 70 anni e tutte le borse di studio finanziate tra il 2021 e il 2024 fossero assegnate e completate, nel 2027 le nuove leve coprirebbero i pensionamenti attesi e le carenze rilevate nel 2023. “In realtà – spiega Cartabellotta – questo scenario è poco realistico: sempre più medici si ritirano prima dei 70 anni e, soprattutto, sta aumentando il divario tra borse finanziate e iscritti che completano il ciclo formativo. Un gap legato da un lato alla mancata partecipazione al concorso, con il 15% delle borse non assegnate nel 2024, dall’altro agli abbandoni durante il percorso formativo, che coinvolgono almeno il 20% degli iscritti”.

Il nodo della riforma

Come far sì che le case di comunità non restino scatole vuote? “Per attuare l’agognata riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), si punta su un cambiamento tanto radicale quanto poco realistico per colmare la carenza di medici di famiglia. Una riforma così complessa, oltre a richiedere una valutazione d’impatto, necessita di un coinvolgimento diretto delle parti in causa. Nel frattempo, se la professione continuerà a perdere appeal, il rischio concreto è lasciare milioni di persone senza medico di famiglia, peggiorare la qualità dell’assistenza territoriale e compromettere la salute delle persone, soprattutto dei più anziani e fragili”, avverte Cartabellotta.

A questo punto vale la pena ricordare le parole pronunciate qualche giorno fa dal ministro Orazio Schillaci al Question Time alla Camera: “Sul fronte contrattuale – come riferisce  Adnkronos Salute – voglio essere chiaro: l’obiettivo primario di questo Governo è garantire ai cittadini prestazioni d’eccellenza da parte di professionisti motivati e consapevoli. I contratti seguiranno come naturale conseguenza di un processo che mette al centro la qualità, la quantità dell’assistenza e la dignità della professione”.

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