«Le Tremiti, il Salento e il mio Lucio segreto»

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«La mia Puglia, diceva sempre così. Prima l’infanzia estiva a Manfredonia con la madre, poi la villa sul mare delle isole Tremiti. Se la sentiva addosso questa parte d’Italia: Bari, Taranto e il Salento che aveva conosciuto con la Notte della Taranta. Non ci smentirà nessuno: per Lucio la Puglia era una seconda casa».
Lucio sta per Dalla, il musicista e cantautore che ha cambiato la storia delle musica italiana: ieri l’anniversario della nascita e già 13 anni che non c’è più con le sue canzoni ancora qui a volteggiare intorno che basta un niente per emozionarci. Le parole sono di Marcello Balestra, tour manager e produttore che con lui ha vissuto in simbiosi per 30 anni da quel primo, indimenticabile incontro sull’Adriatico. Balestra ne ha fatto un libro con Mondadori: un profluvio di ricordi, aneddoti, storie, fotografie. “Lucio c’è”, questo il titolo, a sottolineare un viaggio solo apparentemente finito. Sabato prossimo a Gallipoli, sul palco del teatro Italia, Balestra introdurrà lo speciale live “Tutta la vita” con una superband salentina che ripercorrerà 40 anni di successi.
Balestra, cosa ha ritrovato una volta finito di scrivere?
«La consapevolezza di aver vissuto qualcosa di speciale che va oltre i singoli episodi. Quando lavori ogni giorno con uno come Dalla quasi non te ne accorgi preso dalla frenesia delle registrazioni, dei dischi, dei tour. E, invece, è stato un incontro eccezionale che ha segnato la mia vita e, nello stesso tempo, un’intera epoca. Scrivendo il libro mi sono reso conto di questa fortuna. E dentro c’ero anch’io». 
Cosa aveva di speciale?
«La curiosità verso il mondo assorbendo l’amore per la gente, per la natura. Da questa curiosità per la vita nasceva la musica. E te ne accorgevi subito».
Il vostro primo incontro come andò?
«Fu alle Tremiti dove lavoravo nell’albergo di famiglia. Lui era ospite e mi chiese di accompagnarlo in spiaggia con il furgorcino: una scelta bizzarra, avevo solo 14 anni ma non mi feci scappare l’occasione. Mi piaceva la musica e qualche anno dopo mi ritrovai a Bologna a lavorare con lui. Alle Tremiti è iniziato tutto». 
Non certo un’isola glamour o alla moda…
«Dalla non amava quelle cose lì. Le Tremiti le ha scelte per le vibrazioni che gli davano: luogo di ispirazione, di condivisione e di bellezza in un mare incontaminato e lontano dalla grande mondanità. E ha subito comprato casa».
La villa incastonata nel verde?
«Prima una più piccola accanto all’albergo, poi quella che tutti conosciamo sopra Cala Matano con vista sull’isola di San Nicola».
Il classico buen retiro?
«Molto di più. Non c’erano solo le ampie vetrate o le terrazze sul mare. Speciale era quello che accadeva d’estate quando ci vedevamo tutti in Puglia. Le chiacchierate, gli incontri, le cene al rientro dai giri in barca. E poi lì Lucio suonava e si era fatto costruire uno studio di registrazione. Tutti conoscono la genesi di “Com’è profondo il mare”, ma in quella villa nel 2001 lui scrisse l’intero disco “Luna Matana” che prendeva il nome dalla vicina caletta. Era tutto un creare. Non era villeggiatura perché Lucio non stava mai fermo».
Ora la villa è in vendita: le dispiace?
«Per niente. E non sarebbe dispiaciuto neanche a lui. Una casa in vendita è una cosa, un bene materiale. Per lui era importante averci vissuto con le persone e aver composto canzoni bellissime. Mi piace pensare che tutto sia nato da Manfredonia. Ancora un’altra Puglia, proprio davanti alle Tremiti».
Da bambino ci andava con la madre in vacanza: quanto era rimasto legato?
«Era la città della madre. E Manfredonia se la portava sempre dentro. Da quell’Adriatico è nato tutto, anche la passione per le barche. Dalla la chiamava sempre “La mia Puglia”, la gente che gli voleva bene, i concerti per i fan». 
Nel 2006 salì sul palco della Notte della Taranta al concertone di Melpignano: cosa è rimasto?
«Dalla viveva tutto come se fosse la prima volta. Era come un bambino che sa stupirsi e quella contaminazione con la pizzica lo coinvolse in modo profondo. Eseguì “Lu rusciu de lu mare”, un classico della tradizione popolare guardacaso legato al mare. Se ne stava lì ad ascoltare i tamburellisti perché ne amava il ritmo ancestrale».
Dal Salento, da Nardò, arrivava anche il giovane Marco Alemanno: amico, compagno, uomo di fiducia… 
«Lavorava non lontano da casa di Lucio a Bologna e glielo presentai io. Quello con Marco, persona genuina, è stato un forte legame: lui è stato assistente, segretario e molto di più. Ed è anche grazie a lui che Lucio ha conosciuto meglio il Salento con le sue spiagge e la sua arte. Amava l’atmosfera di quest’altra Puglia. E sempre alla sua curiosità torniamo».
Cosa avrebbe pensato della musica di oggi, della trap?
«Diceva che le mutazioni sono necessarie e che, se hanno una motivazione, non bisogna mettere barriere ai cambiamenti. Chissà, forse, con i trapper ci avrebbe anche cantato insieme»
Canzoni come “Futura” o “Washington” profetizzavano un mondo che è già tra noi. L’Intelligenza Artificiale, ad esempio…
«Aveva immaginato un futuro per certi versi folle e fatto di sole macchine. Non possiamo farne a meno, ma Dalla sentiva che senza l’uomo non sarebbero servite a nulla. O le governiamo o rischiamo di farci del male».
Come tra russi e americani citati nella sua canzone: cosa avrebbe detto?
«Dalla non amava parlare del problema, in questo caso dei conflitti.

Semmai indicava soluzioni, parlava e cantava del futuro. Lo ha fatto pure con canzoni semplici come “Anna e Marco”. E anche stavolta ci avrebbe mostrato l’orizzonte».

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