Cara Unione europea, difesa e meno armi non si contraddicono

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Oggi il pacifismo è minacciato e la guerra è una fonte di guadagno e ricchezza. Diventa quindi urgente ricordare che disarmo e difesa della democrazia non sono un ossimoro: un ruolo che dovrebbe avere l’Europa

«I produttori (di armi) in Germania sono diventati ricchi signori, ma a noi la dissenteria brucia le budella». Una delle frasi finali de Niente di nuovo sul fronte occidentale. Le armi hanno accompagnato l’umanità, pilastro degli stati nazionali, la “spada” ancora delinea azione e spazio geo-politico. Se rimaniamo al XX secolo c’è stata un’ascesa delle spese militari, due guerre mondiali e la Guerra fredda con folle avanzata verso l’abisso nucleare. Il rischio Day After e l’insostenibilità finanziaria ridimensionarono gli arsenali.

Come riporta la Fondazione Di Vittorio, le spese militari mondiali si sono contratte nel post Muro di Berlino (da 1.500 miliardi di dollari nel 1988 a 1.100 miliardi nel 1998). A lanciare il processo c’erano Ronald Reagan e Michael Gorbachev, giganti politici e intellettuali, oggi senza epigoni. Dall’illusione del mondo unipolare e pacificato, il peso del conto per le armi è più che raddoppiato, superando 2.400 miliardi di dollari nel 2024, il 2.3 per cento del Pil globale, con il 55 per cento speso dalla Nato e con Cina, Russia e Usa primi paesi.

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Oggi il dibattito è egemonizzato da un assunto: il 3 per cento della ricchezza nazionale va investito in armi, e c’è chi auspica raggiunga il 5 per cento.

Il problema non sono le guerre in corso. Per sostenere la resistenza ucraina e respingere il disegno putiniano era palese che ci volesse una risposta anche di tipo militare, non cedere ai ricatti, non indietreggiare sui principi. È altresì rilevante che l’Unione europea si doti di una difesa ancora prima che di un esercito comune. Dunque, nessun pacifismo acritico, specialmente in questa fase.

Il pacifismo minacciato

Il punto dolente è che è assente ogni voce, intellettuale, poeta, partito che perori con autorevolezza pace e disarmo.

Il movimento per la pace, declinato e alimentato da venature pacifiste, internazionaliste e antimilitariste, laiche e religiose, appare in ombra, incapace di incidere nel dibattito, anche se segnali, timidi e contraddittori, si intravedono nei campus universitari.

Il pericolo guerrafondaio è subdolo, meno identificabile nelle connotazioni politiche e di interessi che in passato, sebbene esistano tante guerre (oltre cinquanta), macro e micro – derubricate a scontri locali. I legami tra i guerrafondai sono con indulgenti operatori di finanza, stati compiacenti, connessi a industrie militari che investono in ricerca e pongono in essere senza scrupoli ricatti e minacce occupazionali anche verso paesi democratici.

I quali producono armi vendute all’interno per la sicurezza nazionale, con proliferazione di pistole in cucina, e all’esterno con l’esportazione di materiale tecnologicamente avanzato. Il nemico è visibile solo nelle fattezze truculente, nei casi palesi di aggressione, nei regimi autoritari e totalitari di satrapi narcisi, mentre rimangono interstizi grigi in cui si annida la speculazione.

La guerra fonte di ricchezza

La guerra è entrata nel paniere della ricchezza pro-capite. Il complesso industriale militare evocato da Dwight Eisenhower viene spesso dimenticato, sottaciuto e nascosto.

Del resto, uno degli strumenti biecamente utilizzati, in alcune occasioni con intenti positivi, è l’esportazione della democrazia, sulle punte delle baionette, della guerra giusta, per “proteggere l’umanità” in un’insolubile dilemma tra “sovranità e diritti umani” (si veda il libro di Luca Scuccimarra edito da il Mulino). La parola pace è stata catturata, svuotata di senso e consenso e diventa cerimonioso ricordare Orwell e la guerra che diventa pace.

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La voce che urla nel deserto per cancellare i conflitti dalla storia, con tono religioso e piglio politico, è del papa, avvantaggiato dal non avere l’ossessione di sondaggi e campagne elettorali.

Il disarmo inizia dalle menti, educando a non a disumanizzare l’altro da sé. Il Pil europeo per l’istruzione è pari al 5 per cento medio, con l’Italia quintultima (4,1 per cento): come direbbe Immanuel Kant per costruire la «pace perpetua» c’è bisogno di raggiungere la «perfetta cultura».

Disarmo e difesa della democrazia 

È possibile coniugare difesa della democrazia senza acritica accettazione della crescita esponenziale delle spese militari, senza scordare il rischio nucleare. Senza che muovere obiezioni all’agenda Nato diventi disfattismo, intesa con il nemico, fiancheggiamento del terrorismo. Il conservatore di destra Mark Rutte, non federalista europeo, dovrebbe ricordare la genesi dell’Europa, concepita contro la guerra, per la pace.

Un ruolo centrale dell’Ue nella Nato, senza cedere alle pressioni Usa. Difesa della democrazia e disarmo, non è un ossimoro. L’Europa deve uscire dall’afonia, considerando il nuovo posizionamento statunitense e l’incertezza Onu. Il disarmo va rimesso al centro del dibattito.

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