FORZA ITALIA * ECONOMIA INTERNAZIONALE: «UN PIANO INDUSTRIALE PER L’ITALIA E PER L’EUROPA» (REPORT INTEGRALE)

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20.21 – venerdì 7 marzo 2025

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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IL CONTESTO
Il contesto economico europeo è oggi particolarmente complesso. La maggiore economia UE, quella tedesca, è in recessione da due anni, con incidenze negative su tutti i territori che sono parte delle stesse catene del valore, a cominciare dal Nord-Italia. Il contesto geopolitico difficile, tra guerra in Ucraina e Medio Oriente, il ripensare la difesa europea (proprio in questi giorni la Commissione ha presentato il suo Piano ReArm Europe), i dazi Usa, la crisi dell’auto (con la Commissione che finalmente ha iniziato a rivedere quelle norme ideologiche che stanno rischiando di far sparire il settore la Continente) e l’aumento dei costi energetici stanno mettendo a dura prova l’industria
· europea.

In questo quadro, la produzione industriale italiana è in calo da 25 mesi consecutivi. L’epicentro della crisi è nel settore automobilistico: da febbraio a dicembre 2024, la produzione di vetture è stata pari a 295mila unità, in calo del 42% rispetto al periodo precedente. Per trovare numeri inferiori si deve tornare al 1956, quando si produssero 280mila unità. Ma la crisi dell’industria non si ferma al settore automobilistico. Male anche altri settori, come i macchinari, che registrano un calo del 30% sul 2023. Il calo complessivo nel 2024, è stato del 3,5%. Nonostante il Pil italiano abbia recuperato il livello pre-Covid già nel 2023, il valore aggiunto industriale rimane ancora sotto del 2,9% rispetto al 2019.

Questa crisi rischia di non essere congiunturale, ma di configurarsi come un declino strutturale dell’industria in Italia e in Europa, con il suo epicentro nell’industria tedesca. La figura sotto riportata (Banca Mondiale) fotografa il calo della quota manifatturiera (costruzioni escluse) sul Pil UE. Siamo passati dal 20% di Pil del 1991 al 14,6% del 2023.
· Per l’Italia, da poco più del 20% al 15%, mentre la Germania da oltre il 25% al 18,6%.

 

La Cina è stabilmente sopra il 25% e gli USA, che hanno vissuto un analogo calo, stanno invertendo la rotta, re-importando parte della produzione esternalizzata in altri Paesi. Sono i nostri principali competitori strategici e stanno investendo in modo massiccio in innovazione, ricerca e sostegno alle imprese anche con un uso massiccio di aiuti di Stato. Il divario tra gli Stati Uniti e l’UE in termini di Pil è passato dal 17% nel 2002 al 30% nel 2023. La causa principale di questa situazione è la minore produttività nell’UE, che porta a una crescita più lenta dei redditi e a una domanda interna più debole.

L’Europa sconta ritardi importanti in termini di produttività, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, riflettendo, da un lato, una minore diffusione di tecnologie ICT tra le aziende e, dall’altro, una minore intensità di investimenti in RfiS da parte delle imprese (1,5% del Pil· per le imprese europee versus 2,8% del Pil per le imprese statunitensi, media 2021-2022,
fonte Eurostat).

L’aumento dei prezzi dell’energia sta indebolendo il nostro tessuto produttivo, soprattutto nei settori energivori, come acciaio, cemento, ceramica, carta, chimica (di base e verde) e farmaceutico, penalizzando le PMI che rappresentano una componente importante del nostro tessuto produttivo. A gennaio 2025, l’energia elettrica in Italia costa 139 euro mwh in media, da 88 a febbraio 2024, con un rincaro del 57,9% in circa un anno. In Germania, 108 euro a dicembre, Francia 98, Spagna 111, Usa 61 euro mwh.

L’economia italiana, negli ultimi anni, ha mostrato un’evoluzione migliore rispetto alla crescita media dell’area euro, di Francia e Germania. Una spinta importante è venuta dai buoni risultati ottenuti sui mercati internazionali: l’Italia ha realizzato il record di export a 626 miliardi di euro, diventando la quarta economia esportatrice al mondo, con
· particolare distinzione delle PMI italiane che ne hanno realizzato più della metà. Tutto
ciò conferma che l’Italia è un attore industriale capace di produrre ed esportare quasi di tutto. Il Made in Italy è un enorme patrimonio industriale da tutelare e su cui continuare ad investire.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Il tessuto industriale italiano ha saputo far leva sulla presenza di filiere ramificate a livello locale e su una diversificazione produttiva elevata e crescente. La nostra industria, pur soffrendo, ha resistito, con un valore aggiunto per occupato più alto che in Germania, Francia e Spagna, sia nelle piccole imprese che nelle medie e grandi imprese. I ritorni degli investimenti in sostenibilità e in tecnologia sono rilevanti. Le imprese manifatturiere con impianti in fonti di energia rinnovabile nel quadriennio 2019-2022 sono riuscite a superare meglio di altre la crisi energetica, mostrando una maggiore tenuta della propria redditività su livelli elevati. Nello stesso periodo, le imprese con investimenti
4.0 hanno registrato una crescita del fatturato doppia rispetto alle altre (+32,5% vs
+16,6%) e, al contempo, un balzo della produttività, con il valore aggiunto per addetto salito di +13.000 euro (vs +5.000 per le altre).

Nonostante questi progressi, ci sono ampi i margini di miglioramento per il nostro tessuto economico.

La stagnazione tedesca, i conflitti e le tensioni geopolitiche, i possibili dazi USA, minacciano di trascinare l’intero continente in recessione. Il ritmo del progresso scientifico e tecnologico impone una visione strategica per lo sviluppo economico, per riforme semplificatorie, che rendano l’UE più efficiente, veloce e competitiva una rinnovata attenzione alla crescita e all’economia reale. Per recuperare il terreno perduto con Stati Uniti e Cina serve una rinnovata attenzione alla crescita e all’economia reale e il rilancio di produttività e innovazione. Diventa vitale invertire il trend negativo, perché l’industria è il motore che genera innovazione, produttività, occupazione con miglioramento dei salari. La competitività dell’Europa si basa fortemente sulla sua
· industria, che genera 32 milioni di lavoratori diretti e rappresenta il 65% delle attività di ricerca e innovazione. In pratica, tutti i fattori che decidono lo sviluppo e la crescita
passano dal motore industriale.

E non vi è dubbio che il rilancio della nostra economia passa attraverso il rafforzamento del Mercato Unico Europeo: dobbiamo ridurre le frammentazioni ancora esistenti ed eliminare gli ostacoli, specie nei servizi, garantendo condizioni di parità tra Paesi membri.

 

IL NOSTRO GROWTH DEAL: UN PIANO INDUSTRIALE PER L’ITALIA E L’EUROPA

Per rispondere alla sfida della reindustrializzazione, Forza Italia presenta un Piano Industriale per l’Italia e per l’Europa per la Crescita e l’Innovazione, un “Growth Deal” e propone azioni immediate per rafforzare la competitività e la produttività del nostro sistema produttivo, stimolando gli investimenti in RfiS, e quindi la capacità di fare innovazione, attraverso le seguenti priorità:
·
Rafforzare e difendere i pilastri italiani del manufatturiero e del Made in Italy
(automotive, food, fashion, furniture, design e tecnologia). Ad esempio, il 70% dei prodotti di alta moda venduti dai brand francesi è prodotto da mani esperte in Italia. Questi sono piccoli artigiani che vanno protetti, poiché custodiscono sapienza antica e pregiata.

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Finanziamenti e contributi

 

Valorizzare i settori industriali strategici per la sicurezza, salute e lo sviluppo sociale del Paese (come ad esempio il farmaceutico, la difesa, l’aerospazio e l’IT), caratterizzati da un trend di maggiore crescita del:
valore aggiunto al sistema Paese;
indice di competitività e capacità di sviluppare RfiS (nuovi brevetti); crescita dell’occupazione qualificata;
surplus commerciale;
·
Attrarre investimenti industriali e produttivi con centri decisionali in Italia e sostenuti
da attività̀ significative di RfiS, con particolare attenzione alle aree del Mezzogiorno.

Sviluppare nuove politiche per:
ridurre il costo dell’energia e della dipendenza energetica dai paesi esteri;
ridurre la dipendenza strategica nell’approvvigionamento delle materie prime da Cina ed India;
potenziare l’attrazione dei capitali finanziari;
garantire lo sviluppo, formazione e retention delle nuove competenze (STEM in particolare);
ridurre significativamente la burocrazia per le imprese;
garantire una PA e una giustizia efficiente, un fisco collaborante e non oppressivo;
accelerare la capacità di attrazione degli investimenti in RfiS, la capacità di sviluppare innovazione di prodotto (nuovi brevetti), scalando l’intelligenza artificiale e i dati digitali;
sviluppare nuove opere e infrastrutture, potenziando la logistica; sviluppare nuovi mercati di sbocco.

La manifattura ha bisogno di politiche pubbliche nitide e stabili che ne sostengano i piani di investimento e i percorsi di sviluppo.

Ha bisogno di credito a tassi ragionevoli, di una tassazione che premi gli investimenti materiali e intangibili, di costi energetici compatibili con i concorrenti, di infrastrutture, logistica, competenze, e di una burocrazia non oppressiva. Serve una politica che aiuti le imprese a produrre a prezzi concorrenziali. Il mondo intero ci chiede il Made in Italy: dobbiamo essere capaci di produrne a sufficienza e a costi competitivi evitando che il falso Italian Sounding occupi spazi sempre più crescenti, soprattutto nei settori dell’agroindustria e della moda.
·
Forza Italia, da sempre, promuove politiche per garantire maggiore libertà economica,
poiché la libertà e la democrazia sono essenziali per una società equa e inclusiva. Facciamo nostro l’adagio di Carlo Cipolla, secondo cui “gli italiani sono abituati fin dal Medioevo a fare, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.

Il nostro obiettivo immediato è arrestare il declino industriale. In cinque anni sono state perse 59mila aziende manifatturiere. Dal 2008 abbiamo perso 547 mila occupati nell’industria. Perdendo posti di lavoro perdiamo anche quell’inestimabile tesoro di conoscenze e saper fare che questi lavoratori qualificati danno al nostro Paese.

Nel medio termine, far crescere la quota di Pil generata dal settore manifatturiero almeno fino al 20%, livello che riteniamo idoneo a garantire una solida e diffusa base industriale in Italia (e in Europa). Per recuperare questo livello è necessario rendere più
· conveniente produrre in Italia riducendo i costi di produzione su tutto il territorio nazionale, dando una mano al Nord, al Centro e al Sud, regione quest’ultima che ha
ancora enormi spazi di crescita. Per mettere in equilibrio finanziario il Paese e rendere sostenibile il rapporto tra debito pubblico e Pil, abbiamo bisogno di aumentare quest’ultimo (ossia il denominatore) in maniera significativa. Questo può essere realizzato solo raggiungendo un tasso di occupazione della popolazione attiva almeno del 70%, e per far ciò occorre che il Mezzogiorno raggiunga almeno il 60% di occupati nei prossimi 5-7 anni: è per questo che dobbiamo concentrare l’attrazione degli investimenti produttivi anche nel Mezzogiorno, opportunità di crescita e di riequilibrio del Paese.

Microcredito

per le aziende

 

Forza Italia intende, dunque, definire e presentare proposte legislative condivise con la maggioranza del Governo italiano, negli ambiti di seguito indicati, per dare rapida e concreta attuazione al Piano Industriale per l’Italia e l’Europa con una visione strategica, pluriennale e di sistema.

Di seguito tratteremo delle strategie industriali di carattere orizzontale, ossia basate sugli input di produzione, e poi presenteremo quelle verticali, ossia per settore produttivo.

 

 

ENERGIA, SOSTENIBILITÀ ED ECONOMIA CIRCOLARE

L’Unione Europea conta solo per il 7-8% delle emissioni fossili del pianeta. Sosteniamo la lotta al cambiamento climatico, ma per avere successo economico ed ecologico, dobbiamo offrire soluzioni intelligenti, non ideologiche. La nuova politica industriale europea deve garantire la competitività di tutti i settori; serve un approccio
· tecnologicamente aperto e neutro, per garantire che le politiche ambientali non
conducano a un processo di deindustrializzazione.

Se la politica climatica diventa un ostacolo alla competitività e alla crescita e genera
«strappi» al tessuto sociale dovuta ad una iniqua redistribuzione della ricchezza prodotta, non solo rischia di perdere il sostegno dei cittadini europei, per via dei costi della transizione energetica per le abitazioni e per le auto, ma anche di aumentare le emissioni globali, poiché i prodotti verrebbero realizzati in altre regioni del mondo con emissioni più elevate.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

L’Italia si conferma leader europeo nel riciclo e nell’economia circolare, dimostrando che la sostenibilità può essere motore di sviluppo e innovazione. Il know how che le imprese italiane hanno acquisito, in anni di investimenti in soluzioni tecnologiche, rappresenta una importante opportunità da esportare nei Paesi del Mediterraneo, facendo delle
· nostre industrie attori protagonisti dello sviluppo della regione anche nell’ambito delle azioni del Piano Mattei.

La transizione rappresenta una trasformazione epocale dell’economia che richiede massicci investimenti, incluso un massiccio intervento finanziario europeo, nonchè un deciso ricorso alla finanza privata.

Le imprese europee scontano in media costi del gas e dell’energia elettrica più alti dei nostri concorrenti globali. Molte imprese italiane sostengono costi energetici più elevati rispetto alle concorrenti europee.

La disponibilità di energia ad un livello di prezzi competitivo è una precondizione cruciale per la crescita e l’occupazione. È fondamentale sfruttare tutte le soluzioni energetiche disponibili con un approccio tecnologicamente neutro che includa le energie rinnovabili, il nucleare, l’idrogeno, le bionergie e le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio.

Per troppo tempo l’Europa ha usufruito di gas a buon mercato importato attraverso gasdotto dalla Russia (45% del gas totale in UE) salvo poi comprendere, a partire dall’avvio della crisi Russia Ucraina, che una parte significativa del sistema manifatturiero è entrato in forte affanno competitivo a causa della lievitazione dei prezzi del gas soprattutto nel caso delle tecnologie di processo che utilizzano energia termica derivante dal gas naturale.

Il mercato del gas naturale europeo ha dovuto dare priorità agli obiettivi di sicurezza rispetto al sistema dei prezzi di mercato. A partire dal 2023 e nel 2024 con gli importanti investimenti degli Stati Membri in sistemi di rigassificazione, il rischio sicurezza si è progressivamente ridotto. Tuttavia, il mercato italiano del gas naturale continua a
· registrare nel 2024 un differenziale rispetto al prezzo dei mercati europei di oltre 2 C/MWh (recentemente anche 3-4 euro/MWh) che determinano sulla bolletta degli italiani un ingiustificato aggravio di costi di oltre 1,3 miliardi di euro. Per questo riteniamo che sia necessario intervenire – possibilmente con meccanismi di mercato – per evitare che flussi di gas da nord per quantitativi marginali determinino una rendita inframarginale per tutti i volumi importati da sud e mediante rigassificatori con un rialzo ingiustificato dei prezzi a scapito di tutti i consumi dei cittadini e imprese italiani.

Riteniamo inoltre che l’Italia debba riconsiderare gli accordi bilaterali con gli Stati Uniti siglati a partire dal marzo 2022. Nell’ultimo anno il sostegno americano per quasi 50 Mld/Smc di gas naturale destinato all’Europa è stato uno strumento utile di aiuto che purtroppo si è trasformato in un ingiustificato strumento speculativo nelle mani di pochi operatori. Gas naturale acquistato negli Stati Uniti per valori, nel 2024, mediamente al di sotto dei 9 C/MWh, con un costo di logistica verso i porti europei nell’intorno dei 10
· C/MWh, veniva venduto a prezzi TTF che nel 2024 si è attestato mediamente a poco oltre 34 C/MWh, generando un margine medio di oltre l’80%. In questa fase geopolitica non possiamo accettare questo per i cittadini e le imprese italiane ed europee per questo riteniamo che sia necessario intervenire e chiedere di valutare delle misure coordinate a livello europeo per la sicurezza di forniture stabili ed al minimo costo.

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Finanziamenti e contributi

 

Un’azione specifica di intervento si rende necessaria per i settori gasivori che nel nostro Paese non possono nel breve termine sostituire il gas con il vettore elettrico o con l’idrogeno ancora poco disponibile e poco conveniente. E’ necessario intervenire con misure tempestive di riduzione dei costi per questi settori industriali. Sono possibili diverse misure. A noi italiani non difetta la creatività nel concepirle, nel rispetto dei trattati e della normativa europea. Tra queste, ad esempio, una misura potrebbe essere finanziata in analogia a come avviene con misure per il settore elettrico (cfr energy release) da apposite componenti parafiscali finanziate dalla riduzione del differenziale del prezzo italiano rispetto al TTF, compatibilmente con la normativa europea sugli Aiuti di Stato. Attualmente con una riduzione prudenziale dello spread di 2 C/MWh sarebbe possibile prevedere un abbattimento di costo di circa 20 C/MWh per questi settori a fronte di impegni «incrementali» di investimento nello sviluppo di biometano ed idrogeno.

Un ulteriore tema rilevante raccomandato dal Consiglio Europeo del maggio 2022 riguarda gli impegni degli stati membri ad ottimizzare l’utilizzo delle riserve continentali di gas naturale. Secondo i dati del Governo (UNMIG) le riserve certe di gas nazionale certe ammontano a circa 37 Mld di metri cubi: una riserva importante che viene sprecata a scapito delle importazioni. Su questo fronte riteniamo necessario un’azione per superare le criticità amministrative e pervenire rapidamente ad un nuovo PiTeSAI che consenta di valorizzare le riserve nazionali sia per gli obiettivi di sicurezza che per gli obiettivi di riduzione dei costi di approvvigionamento.

Il rilancio della produzione nazionale di gas complementa l’azione del Governo che ha adottato un importante programma di potenziamento delle infrastrutture (2
· rigassificatori e il potenziamento di TAP), che unitamente all’elevato grado di diversificazione delle fonti, consentirà all’Italia, grazie alle caratteristiche del suo mercato e alla sua posizione geografica centrale nel Mediterraneo, di divenire un hub europeo energetico, con evidenti vantaggi per i consumatori finali e per la competitività del nostro sistema industriale. Tutto ciò trova conferma anche nel progetto SouthH2Corridor, con il quale l’Italia si è recentemente impegnata con Algeria, Tunisia, Austria e Germania, per realizzare una infrastruttura in grado di portare l’idrogeno prodotto nei paesi del Nord Africa, alle industrie e famiglie italiane, austriache e tedesche.

Il prezzo del gas naturale determina in modo significativo il prezzo dell’energia elettrica, vettore energetico centrale per il processo di decarbonizzazione del sistema economico. Il nostro Paese sconta un differenziale di prezzo all’ingrosso elettrico rispetto alla media degli altri Paesi UE di oltre il 40%. Per colmare questo GAP è necessario accelerare sullo
· sviluppo di un mercato in grado di trasferire al consumatore finale e al sistema delle imprese i minori costi della produzione rinnovabile adottando misure concrete per evitare che il prezzo elettrico sia prevalentemente determinato dagli impianti a gas. Bisogna effettuare rapidamente un allentamento del legame tra il prezzo elettrico da rinnovabili e quello da gas attraverso l’accelerazione della riforma del mercato elettrico come richiesto dal nuovo regolamento europeo Electricity Market Design. Su questo fronte devono essere accelerate le misure per sviluppare il mercato dei Power Purchase Agreement (PPA) privato-privato assistito eventualmente da un sistema di garanzie statali e stabilizzate le misure che consentono allo Stato di alimentare una adeguata liquidità del nuovo mercato.

Riteniamo che sia prioritario, per garantire efficienza e competitività nel mercato elettrico l’attività di permitting degli impianti di produzione rinnovabile rafforzando l’accelerazione impressa dal Governo, che ha ad oggi autorizzato impianti di accumulo elettrochimico per circa 3900 MW di potenza ed ha in corso oltre 330 procedimenti, per una potenza complessiva di oltre 37 GW. Lo sviluppo della generazione rinnovabile non deve essere visto solo come un impegno del Governo Nazionale rispetto all’Europa ma deve essere un impegno condiviso di tutte le amministrazioni in Italia.

La vischiosità dei processi autorizzativi, nonostante i recenti progressi, ha determinato delle profonde inefficienze sul costo dello sviluppo delle rinnovabili sia in termini di costi finanziari sia in termini di “rendite improduttive” dettate dalla scarsità delle aree. Non vanno poi trascurati i problemi autorizzativi che riguardano le infrastrutture abilitanti. Sul fronte delle autorizzazioni vogliamo promuovere rapidamente un confronto che deve portare ad un quadro di impegno condiviso tra Governo, Regioni ed Enti locali in relazione agli impegni sottoscritti a Bruxelles. Non è più accettabile l’incoerenza tra la decarbonizzazione da tutti proclamata ed i veti che impediscono l’uso delle arre disponibili causando per famiglie e imprese gravi inefficienza. Nel settore energetico servono produzioni di scala rilevanti per essere competitivi ovvero disponibilità di aree
· idonee allo sviluppo di grandi impianti.

La nuova struttura di generazione del mercato elettrico richiederà alti costi infrastrutturali che interesseranno l’attività di trasmissione e distribuzione elettrica al fine di garantire la sicurezza e la gestione efficiente dei flussi di energia green tra i siti produttivi ed i centri di consumo ma anche la semplice raccolta di energia rinnovabile diffusa sul territorio attraverso le reti di distribuzione. Tra le infrastrutture pubbliche, concessioni di rilevanza regionale, troviamo anche la produzione idroelettrica che vale il 30% della produzione nazionale di energia rinnovabile. Il sistema infrastrutturale – considerando anche le prospettive di elettrificazione del settore dei trasporti – deve essere ricondotto ad un quadro di regolamentazione economica in grado di promuovere un quadro certo di remunerazione sugli investimenti a fronte di obiettivi precisi di efficienza e qualità del servizio in relazione ai fabbisogni di utilizzo settoriale. I criteri di allocazione dei costi delle attività regolamentate devono essere riconsiderati anche
· come strumento per promuovere il comportamento degli utenti in relazione allo sviluppo delle tecnologie (rinnovabili, servizi ancillari per la sicurezza, etc) e dei comportamenti di consumo (ad esempio investimenti incrementali hard to abate) funzionali agli obiettivi di decarbonizzazione del sistema. Con riferimento al settore idroelettrico la regolamentazione regionale dei rinnovi delle concessioni se, da una parte, deve correttamente considerare una rimodulazione della durata della concessione funzionale al rilancio degli investimenti dall’altro dovrebbe garantire una parte di energia per attrarre nuovi investimenti sul territorio per la decarbonizzazione o il reimpiego dei canoni di concessione per promuovere la competitività industriale dei territori.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Riteniamo che ai fini degli obiettivi di decarbonizzazione del settore elettrico l’opzione nucleare vada perseguita con un programma strutturale per la produzione elettronucleare di nuova generazione assieme alla produzione di calore per i distretti industriali. Le competenze della filiera nucleare italiana sono notevoli ed il nostro Paese deve riprendere il percorso di sviluppo all’interno di una cooperazione comunitaria per lo sviluppo degli Small Modular Reactor (SMR), gli Advanced Modular Reactor (AMR) e i reattori nucleari di quarta generazione con particolare attenzione ai Lead-cooled Fast Reactor (LFR).

Il Sistema Europeo di Scambio di Emissioni (Emission Trading System o ETS) è un sistema di mercato per incentivare maggiore efficienza e ridurre le emissioni di carbonio ma occorre fare una riflessione sulla reciprocità con i paesi extra-europei.

In passato, il meccanismo Emission Trading System ha contemplato la possibilità di rilasciare quote gratuite di CO2 a determinati settori. Più recentemente per sei settori questo meccanismo è stato affiancato dal CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) ovvero un meccanismo che introduce una “tassa” (ancorata ai prezzi europei della CO2) sul contenuto di carbonio dei beni importati. A fronte di questa ulteriore protezione viene ridotto il rilascio delle quote gratuite. Riteniamo che questo meccanismo e più in generale l’ETS, per il loro impatto sui settori di base del sistema
· economico, richiedano un adeguato approfondimento per garantire un approccio calibrato. A tal fine, merita osservare che: (i) per i settori sottoposti al meccanismo ETS (power, industry), di fatto, gli obiettivi di neutralità climatica al 2050 sono anticipati al
2040, ma questo introduce una contraddizione per i settori hard to abate che dovrebbero invece disporre di un abbattimento delle emissioni a zero entro il 2050; (ii) l’Italia è un Paese con un importante bilancia commerciale positiva di prodotti di trasformazione manifatturiera. In assenza di reciprocità in termini di misure economiche sulle emissioni, l’introduzione del CBAM (in sostituzione delle quote gratuite) potrebbe minare la competitività del nostro export. Va quindi valutato attentamente il mantenimento delle quote gratuite per un periodo più ampio quale misura di dumping ambientale; (iii) l’eventuale sostituzione delle quote gratuite con meccanismi di tipo CBAM richiede un’estensione più ampia del meccanismo ai prodotti downstream o ai prodotti compositi (ad esempio che usano acciaio). Questo, tuttavia, deve essere valutato considerando il costo di implementazione della misura per le difficoltà di misurare il contenuto emissivo dei beni (c.d. prodotti “lunghi” in termini di costruzione, assemblaggio, spedizione). Inoltre,
· è necessario introdurre un meccanismo di export rebate per le esportazioni italiane in
paesi Extra UE che non adottano adeguati meccanismi economici di contenimento delle emissioni.

Inoltre, l’imposizione di un costo aggiuntivo all’importazione di prodotti a maggiore contenuto di CO2 su alcune materie prime, come ad esempio acciaio e alluminio, porterà queste materie prime ad essere più costose.

Se non si interviene, quindi, verranno rese meno competitive le industrie manifatturiere di trasformazione rispetto alle concorrenti extra europee che non hanno un costo della CO2 nelle loro materie prime pari a quelle europee; i prodotti finiti del Made in Italy rischiano di perdere competitività e le nostre industrie di trasformazione saranno incentivate a delocalizzare i loro prodotti nei paesi che non colpiscono le materie prime con meccanismi tipo CBAM.

Per evitare ciò, proponiamo di rivedere l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2026 (per le importazioni già dall’ultimo trimestre 2025) del CBAM e dall’altro prevedere l’estensione della tassa ai prodotti finiti extraeuropei fatti con le materie prime ad alto impatto di CO2. In ogni caso va sostenuto il gap di competitività degli esportatori con un preciso piano di incentivi.

LAVORO E FORMAZIONE
Per mantenere margini di profitto in un mercato sempre più concorrenziale, è fondamentale ridurre i costi di produzione. Quelli che incidono di più sulla capacità competitiva delle imprese italiane, sono il costo del personale, che rappresenta circa il 32% dei costi totali, influenzato significativamente dagli oneri sociali, e i costi dell’energia. Abbiamo ridotto il cuneo fiscale. Dobbiamo continuare su questa strada, bilancio pubblico permettendo, visto che resta ancora alto: con 45,1 punti percentuali è dietro a Germania (47,9%) e Francia (46,8%), ma davanti alla Spagna (40,02%), con una media OCSE del 34,8%. Di 45,1 punti, 24 sono i contributi a carico del datore di lavoro e 4,3 quelli a carico del lavoratore, mentre 16,8 sono le imposte sul reddito. Ci sono, dunque, spazi di
· azione.

Senza impatti sul gettito dello Stato, senza mettere a repentaglio le prestazioni pensionistiche dei lavoratori, rivedendo le contribuzioni INAIL e quelle per la cassa integrazione e abolendo la CUAF, si genererebbe una riduzione del carico impositivo per le imprese di circa 6 miliardi l’anno (pari a quasi 3 punti percentuali di IRES).

Con riguardo ai lavoratori, investire sulle competenze è fondamentale in un contesto in cui le imprese non riescono a reperire personale specializzato e qualificato. Circa il 70% delle imprese italiane oggi dichiara di riscontrare difficoltà di reperimento. Proponiamo la creazione di Poli Universitari tecnologici attraverso 1 miliardo extra per 3 anni per sostegni pubblici a Università e Politecnici per ricerca applicata in fisica, chimica, biotecnologia, farmaceutica, ingegneria meccanica, navale, aeronautica e spaziale, robotica. Gli atenei dovranno collaborare con imprese italiane aventi produzione e mano d’opera almeno al 80% in Italia. Puntiamo sulla contaminazione tra scuole, imprese e
· lavoro rafforzando le scuole professionali e gli ITS. Le Università devono collegarsi in
modo strutturale al mondo del lavoro. Vogliamo favorire il sistema duale, l’apprendistato, il trasferimento tecnologico e la realizzazione di prototipi e brevetti.

Negli ultimi vent’anni abbiamo perso 2 milioni di occupati under 35, finora compensati dall’aumento degli over 50. Anche per questo abbiamo bisogno di un vero e proprio piano di attrazione di investimenti produttivi qualificati, “fabbriche intelligenti”, ove si concentrino funzioni manageriali e attività di RfiS: centri di attrazione di lavoro ad alto valore aggiunto come spesso è quello giovanile altamente formato. Tutto ciò deve riguardare l’intero territorio nazionale ma ancor di più le aree del Mezzogiorno che pur avendo disponibilità di manodopera registrano un vero e proprio esodo giovanile: con un piano di investimenti qualificati e interventi di riforma per la riqualificazione del territorio aumenterebbero i casi di imprese meridionali di eccellenza a vocazione internazionale.

Se non aumenta l’occupazione giovanile e femminile, convergendo nei prossimi dieci anni ai livelli medi europei, perderemo qualsiasi prospettiva di sviluppo e sostenibilità sociale, avviandoci su un percorso di declino e squilibri crescenti nel medio-lungo periodo. Questo è una situazione analoga ad altri Paesi europei, e non solo, ma accentuata nel nostro. Una politica migratoria mirata sarebbe funzionale a questo serio problema. Abbiamo bisogno di un rinnovato sguardo alla responsabilità e la formazione resta elemento chiave di responsabilità intergenerazionale.

RICERCA E INNOVAZIONE

L’innovazione è uno dei temi prioritari identificati dal Competitiveness Compass che ha delineato l’agenda della Commissione per il rafforzamento della competitività in un’ottica di technology foresight. L’Unione europea deve aumentare il proprio tasso di innovazione per mantenere la propria autonomia strategica competitiva, in uno scenario internazionale sempre più complesso, dove la sovranità tecnologica statunitense è minacciata in molti settori strategici dal know-how cinese.
·
Nella media del biennio 2021-22 (ultimi dati disponibili per la comparazione), le spese in RfiS sono state pari al 3,5% del Pil negli USA (di cui il 2,8% effettuate dal settore privato) e del 2,5% in Cina (1,9% le imprese), dati superiori alla media UE27, ferma al 2,3% del Pil, di cui solo l’1,5% è effettuato dalle imprese.

Le imprese europee non solo investono meno in RfiS, ma sono concentrate su settori a media tecnologia (come ad esempio automotive, meccanica ed elettrotecnica), che garantiscono ritorni di crescita più contenuti rispetto ai settori ad alta tecnologia (es. aerospazio, farmaceutica, elettronica, software, biomedicale), dove la ricerca di frontiera permette di ottenere maggiori vantaggi competitivi. Nel 2022, le 3 principali imprese statunitensi, in termini di investimenti in RfiS, erano attive nel software (Alphabet, Meta, Microsoft), mentre nel 2003 gli attori principali erano specializzati nel settore dell’automotive e della farmaceutica. In Europa, invece, si osserva una maggiore
· stabilità, con una prevalenza di imprese più attive sul fronte dell’innovazione nel settore dell’automotive sia nel 2003 che nel 2022.

Dobbiamo stimolare la ricerca scientifica e diventare leader nell’innovazione tecnologica, nell’E-Health e nelle biotecnologie. In tale prospettiva, di assoluto rilievo è il lavoro del Tavolo per l’Internazionalizzazione delle Industrie nel Settore delle Biotecnologie, costituito dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, d’intesa con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e con il coinvolgimento del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Il settore delle biotecnologie è alla base dello sviluppo di molti prodotti, materiali e tecnologie con applicazioni in vari settori, dalla medicina all’agricoltura, dall’industria all’ambiente anche attraverso la creazione di un ecosistema di dati efficiente.

L’Italia ha l’opportunità di giocare un ruolo nella competizione globale tra i Paesi leader in campo biotecnologico, al fine di poter crescere nei settori determinanti per il futuro sviluppo socioeconomico sostenibile e per la sicurezza nazionale. Sostenere le biotecnologie industriali strategiche significa mantenere in Italia gli asset strategici. Per questo è rilevante il reshoring al fine di garantire le catene di approvvigionamento.

Anche nel campo delle tecnologie quantistiche l’Italia può ambire a divenire leader in Europa. Il Paese dispone, infatti, di una forte competenza accademica e industriale, con istituti di ricerca e aziende attive in tutti gli ambiti: calcolo, simulazione, comunicazione, metrologia e sensoristica. Le aziende italiane sono avanti nella comunicazione e nella sensoristica, mentre il settore del calcolo e simulazione necessita di maggiori investimenti.

I finanziamenti pubblici nelle TQ, pari a 227,4 milioni di euro (2021-2024), hanno rappresentato un primo passo importante per lo sviluppo dell’ecosistema italiano, ma
· risultano ancora inferiori rispetto a quelli stanziati dai principali Stati membri Ue e da concorrenti internazionali. Per tale ragione, al pari di altri Paesi tecnologicamente avanzati, l’Italia si sta dotando di una strategia nazionale sulle tecnologie quantistiche che potrà guidarne lo sviluppo lungo degli assi di ricerca e innovazione prioritari.

La strategia nazionale metterà a sistema le risorse esistenti e disponibili, per valorizzare i risultati emersi e continuare a investire sui punti di forza identificati, così da capitalizzare le opportunità e rafforzare il ruolo dell’Italia nel contesto Europeo ed internazionale. La strategia è stata redatta da un Gruppo di Lavoro composto da esperti della comunità scientifica e da rappresentanti del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Dipartimento per la Transizione Digitale, dell’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza, del Ministero per le Imprese e il Made in Italy, e del Ministero della Difesa affinché gli interessi dei diversi stakeholder pubblici e privati fossero debitamente rappresentati.

· La regolamentazione deve incentivare i nostri settori industriali verso l’innovazione con strumenti agili ed adeguati. Inoltre, per favorire lo sviluppo di nuovi settori è importante sostenere le start-up innovative. Sul punto merita ricordare che secondo i dati dell’apposito Registro presso le Camere di Commercio, a fine 2024 sono oltre 12.000 le start-up innovative, con una crescita sostenuta in particolare negli ultimi anni che hanno visto la creazione di circa 2.000 nuove imprese all’anno. Spicca il contributo delle start- up innovative nel settore dei servizi ICT, che da sole rappresentano più del 50% del totale, focalizzate su un ampio spettro di tecnologie avanzate, dalle soluzioni digitali, all’Internet of Things, passando per l’Intelligenza Artificiale.

Da sottolineare, inoltre, come nel tempo sia aumentata la quota di start-up innovative gestite prevalentemente da under 35, passata dall’8,3% del periodo 2025-2019 al 19,2% del quadriennio 2020-24: è un dato importante che segnala come il supporto alla nascita e allo sviluppo di nuove imprese innovative possa costituire una grande opportunità anche per trattenere i giovani laureati. Tra il 2013 ed il 2022 il saldo migratorio con l’estero per i laureati italiani con meno di 40 anni è stato pari a -120mila soggetti, provenienti in particolare dalle regioni del Mezzogiorno.

Dato questo stato dell’arte, per rafforzare il posizionamento dell’Italia è necessario individuare azioni mirate a potenziare la ricerca e l’innovazione, migliorare l’accesso alle infrastrutture e stimolare investimenti privati. Oltre al finanziamento della ricerca di base, la creazione di reti di collaborazione tra pubblico e privato è ritenuta cruciale per promuovere la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico, mentre il consolidamento di laboratori nazionali in cui aziende e istituzioni di ricerca possano lavorare congiuntamente permetterà di sviluppare nuove soluzioni industriali. Inoltre, la creazione di programmi di formazione avanzati e di dottorati industriali contribuirà alla crescita della forza lavoro specializzata, un aspetto essenziale per l’espansione del settore delle
· tecnologie critiche.

Sul fronte delle applicazioni industriali, l’Italia deve favorire lo sviluppo di start-up e incentivare investimenti nelle tecnologie critiche attraverso strumenti finanziari specifici, come fondi di venture capital dedicati. Inoltre, l’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che investono nel settore potrebbe stimolare ulteriormente la crescita. La standardizzazione e la certificazione delle tecnologie critiche rappresenta un altro elemento chiave, poiché garantisce la sicurezza e l’interoperabilità delle soluzioni sviluppate, rafforzando la competitività delle imprese italiane a livello globale.

 

FISCO
Nella costruzione della casa comune europea, Forza Italia si adopererà per la realizzazione di una compiuta fiscalità comune europea: obiettivo necessario e sempre più urgente non solo per la creazione di un debito comune capace di finanziare i beni pubblici europei, ma anche e soprattutto per rinsaldare l’unità europea. A livello nazionale, le azioni da avviare in campo fiscale devono muoversi in più direzioni: ridurre strutturalmente i costi di produzione, semplificare la burocrazia e favorire la patrimonializzazione delle imprese anche incentivando le aggregazioni delle piccole e
· medie imprese.

In Italia il carico impositivo complessivo (imposte ed oneri sociali) delle imprese è del 59,1%, contro una media UE del 40%. Di questo, la tassazione effettiva è del 21,2% (vicina alla media degli altri grandi Paesi Ue). Il resto sono oneri sociali che pesano molto di più che nel resto dell’UE. Pertanto, la riduzione del carico impositivo deve iniziare dalla riduzione dei costi di approvvigionamento e da una drastica riduzione degli oneri amministrativi e di compliance.

Il nostro sistema tributario è ormai ingolfato da misure, anche di natura agevolativa, dall’orizzonte temporale breve, a volte non coordinate e ripetitive, con meccanismi applicativi complicati che talvolta rischiano di disorientare e allontanare gli operatori, anziché sostenerli. Concentrare le misure agevolative su pochi obiettivi e con strumenti efficaci, di facile fruizione, unitamente a piano nazionale di semplificazione,
· consentirebbe di liberare il potenziale delle imprese, permettendo un uso più efficiente
delle risorse verso le produzioni più redditizie, favorendo l’aggregazione di PMI per crescere e competere.
Per avere una concorrenza sana e poter abbassare le tasse serve anche recuperare l’evasione e ridurre gli sprechi con un fisco giusto, equo, efficiente e funzionale. Dobbiamo intervenire sulla differenza tra evasione accertata e quella recuperata che è del 20%.

La politica fiscale deve far sì che l’Italia torni ad essere protagonista di una nuova stagione di attrazione di investimenti, dobbiamo garantire certezza agli investitori, creare condizioni di contesto adeguate, eliminare i differenziali nei costi di produzione rispetto ai nostri competitor, favorire la creazione di aziende di maggiori dimensioni. Questo perché la stabilità e la competitività del nostro tessuto economico passano anche dal rafforzamento patrimoniale delle imprese, specie le PMI, che rappresentano il cuore dell’economia italiana. Analoghe riflessioni valgono per le strutture professionali. In questo quadro, dobbiamo incentivare le aggregazioni delle PMI (ad esempio con fatturato non superiore a 20 milioni di euro) poiché garantiscono benefici in termini di economie di scala, maggiore competitività, accesso a nuovi mercati, oltre che a una maggiore e più solida patrimonializzazione.

Non è possibile avere oltre cento tributi, a fronte di un gettito fiscale che proviene per il 97% solo da 16 tasse. Un’impresa impiega fino a 312 ore all’anno per documenti amministrativi e pratiche fiscali. Oggi servono oltre 1.000 giorni per tutti i gradi di giudizio dei contenziosi, dove la media UE è di 302 giorni. La giustizia lenta ci costa fino al 2% di Pil. Oggi la certezza del diritto e i tempi decisionali in una competizione internazionale diventano fattori determinanti.

Vogliamo avviare un confronto con le associazioni di categoria e gli ordini professionali per individuare proposte che, a costo zero, possano ridurre la questa “pressione fiscale occulta” che attanaglia le imprese. La semplificazione deve riguardare non solo gli
· adempimenti ma anche la struttura del prelievo, con il duplice obiettivo di (i) concentrare
le risorse sugli interventi più efficaci, ai fini della crescita e della competitività dell’industria italiana e del sistema Paese nel suo complesso (ii) rendere più fruibile il sistema delle agevolazioni fiscali esistenti, oggi troppo parcellizzate, poco intellegibili, e spesso soffocate da meccanismi applicativi complessi.

Occorre implementare sistemi valutazione delle politiche pubbliche con analisi costi/benefici che consentano l’efficiente allocazione di risorse tendenzialmente scarse a sostegno degli investimenti in ricerca e innovazione, sanità, giovani, previdenza, patrimonializzazione.

 

FINANZA E MERCATO DEI CAPITALI
Serve completare il Mercato Unico dei Capitali e l’Unione bancaria. Solo in questo modo avremo la possibilità di finanziare le imprese a costi competitivi, sia nelle fasi di start-up che in quelle di sviluppo e maturazione.

Il prossimo piano d’azione per l’Unione del risparmio e degli investimenti della Commissione europea deve creare le condizioni affinché il risparmio europeo, che è abbondante, non vada a finanziare altre economie (300 miliardi all’anno di risparmio UE
· vanno negli USA), ma restino in Europa e finanzino le nostre imprese. Per questo servono
venture capital, fondi di investimento in equity, mercato assicurativo e fondi pensione. Inoltre, proponiamo di alzare il fattore di sostegno alle PMI. La normativa UE prudenziale delle banche (CRR) prevede una correzione dei requisiti di capitale per le banche che erogano credito a PMI. Tale correzione, nota come SMEs supporting factor, fu introdotta nel 2014 per crediti bancari fino a 1,5 milioni e successivamente ampliata fino a 2,5 milioni. In questa fase economica, in cui sono necessari maggiori investimenti, Forza Italia propone di rivedere la norma europea CRR per incrementare ulteriormente il fattore di sostegno alle PMI portandolo da 2,5 a 5,0 milioni di fido per singola PMI.

Questo per sostenere il credito alle PMI, e senza costi per la spesa pubblica tanto europea quanto nazionale. Il risparmio paziente e che produce utilità sociale deve avere una tassazione minore. Riteniamo utile una tassazione ridotta al 12,50% per plusvalenze su titoli azionari e obbligazionari emessi da emittenti italiani quotati e detenuti
· ininterrottamente da persone fisiche per almeno 5 anni (capitale paziente), per importi
investiti fino a 250.000 euro pro capite. Favorire l’investimento di Fondi Pensione e Casse di Previdenza nel sistema produttivo domestico e in particolare delle PMI, introducendo l’obbligo per tali soggetti di investire almeno il 5-10% in asset alternativi (es: fondi di Private equity, private debt, venture capital). Al contempo, occorre promuovere un processo di consolidamento del sistema dei fondi pensione.

Dobbiamo semplificare l’accesso e la permanenza sul mercato dei capitali italiani. Rendere permanenti gli incentivi fiscali per le piccole imprese che si quotano e fiscalità di vantaggio per le imprese che si quotano o emettono strumenti di debito quotati come premio alla trasparenza e relativi oneri sostenuti. E continuare a rafforzare il patrimonio delle imprese.

 

PIANO DI DEREGOLAMENTAZIONE

Insieme al Partito Popolare Europeo, riteniamo che il 2025 debba essere l’anno delle decisioni coraggiose per un’Europa competitiva e sicura. L’UE è una potenza globale e deve usare il suo peso per garantire che i produttori e i consumatori, gli imprenditori, gli agricoltori e i lavoratori europei siano protetti dalla concorrenza internazionale sleale.

Riteniamo pericolosa l’iper-regolamentazione UE. Ancor più se accoppiata al
· revanscismo anti-industriale. Vogliamo ridurre l’eccessiva burocrazia UE chiedendo l’applicazione del principio “una regola dentro – due fuori” e realizzare uno sportello unico per le imprese per ridurre i costi di rendicontazione. Piccole misure non aiuteranno le nostre imprese a sopravvivere alla concorrenza. Servono misure forti e immediatamente attuabili per ridurre la burocrazia in tutti i settori e per tutte le imprese. Chiediamo di rafforzare la piattaforma REFIT, i reality checks per testare i regolamenti esistenti e futuri con le imprese con un test di competitività, il coordinamento digitale del processo legislativo, le riforme del Semestre europeo e l’impegno, per ogni Commissario, a ridurre del 25% gli obblighi di rendicontazione e del 35% per le PMI.

La Commissione Europea, con il Regolamento Omnibus recentemente approvato, ha avviato la cosiddetta “rivoluzione della semplificazione” con l’obiettivo di snellire il crescente numero di obblighi di rendicontazione a cui le imprese devono far fronte, in particolare per la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la Corporate
· Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D) e la classificazione della sostenibilità di prodotti e servizi (Regolamento sulla Tassonomia UE). Alzare le soglie di applicazione alle imprese sopra i 1.000 dipendenti va nella direzione da noi auspicata. Ma bisogna fare di più.

Per questo, chiediamo alla Commissione di perseguire una semplificazione massima, anziché minima. Le imprese non sono attualmente in grado di attuare queste normative e serve una tempistica più realistica. Tali normative, infatti, si stanno dimostrando eccessive e gravose, con significativi effetti negativi a cascata per le PMI europee. L’attuale situazione economica non consente l’immediata implementazione di queste direttive. È necessaria una revisione completa, che richiederà tempo. Fino a quando non sarà definito un quadro normativo chiaro e aggiornato alle reali esigenze delle imprese, l’entrata in vigore del regolamento dovrebbe essere posticipata, idealmente fino al 2028. L’economia è in contrazione, rendendo ancora più difficile per le imprese sostenere nuovi oneri normativi. Rinviare l’attuazione sarebbe un segnale forte e positivo per gli imprenditori, dando loro fiducia e la flessibilità necessaria.

 

Pur sostenendo pienamente l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, dove tutte le imprese dovranno raggiungere la neutralità attraverso una combinazione dell’80% di energie rinnovabili e del 20% di meccanismi di compensazione delle emissioni, riteniamo che il processo di transizione non debba essere suddiviso in rigidi passaggi normativi che limitano la libertà economica. Le imprese devono avere la flessibilità di determinare il proprio percorso per raggiungere l’obiettivo del 2050. Il principio chiave dovrebbe essere: se un’azienda non è climaticamente neutra entro il 2051, non dovrebbe essere autorizzata a operare sul mercato.
· Anche a livello nazionale il quadro non è confortante, poiché avviare un’impresa in Italia non è semplice e le restrizioni burocratiche sono il principale elemento che “ingolfa” le scelte imprenditoriali, in tutti i campi. Le riforme che stiamo portando avanti su PA, fisco e giustizia hanno lo scopo di favorire un ambiente imprenditoriale più dinamico e competitivo, permettendo alle aziende di adattarsi rapidamente alle sfide del mercato.
Occorre far di tutto per affrancarsi dall’incertezza regolamentare che scoraggia l’iniziativa economica. Un esempio concreto riguarda la complessità del credito di imposta Transizione 5.0. La revisione apportata con la Legge di Bilancio 2025 introduce rilevanti semplificazioni procedurali, potenzia l’intensità dell’agevolazione e rende cumulabili i crediti di imposta 5.0 con altri incentivi previsti nell’ambito dei programmi e degli strumenti dell’Unione europea. Tuttavia, l’impatto ha grandi spazi di intervento economico da utilizzare considerando che le domande presentate dalle imprese sono ancora pari ad appena 300 milioni su 6,3 miliardi di risorse disponibili. Occorre allungare
· la scadenza o consentire l’accesso al credito di imposta anche agli investimenti non completati entro quella data.

Un altro esempio, nel campo della logistica, riguarda l’attivazione dello Sportello Unico Doganale e dei Controlli (SUDOCO) necessario per sdoganare in via digitale la merce, con controlli delle varie Amministrazioni concentrati in un’unica sede. Sempre in tale ambito, si deve puntare al full digital e alla dematerializzazione dei documenti, come l’attuazione dell’e-CMR e della piattaforma e-FTI, con incentivi a investimenti digitali di imprese e pubbliche amministrazioni, per ottimizzare e rendere più efficiente la filiera logistica, garantendo interoperabilità e compliance tra sistemi.

 

LOGISTICA, TRASPORTI E INFRASTRUTTURE

Il sistema di mobilità delle merci è fondamentale per la nostra competitività industriale, per la produzione, lo scambio e il consumo di beni e servizi, dal livello globale a quello locale.

La logistica sta vivendo alcuni cambiamenti che ne stanno modificando l’assetto e il funzionamento, come le catene di approvvigionamento, la rilocalizzazione della
· produzione, le dipendenze strategiche, la ricerca di nuovi e più sicuri partenariati economici, a fronte di maggiori restrizioni commerciali, che possono degenerare verso una vera e propria guerra dei dazi.

Il nostro sistema dei trasporti e della logistica si è finora dimostrato nel suo complesso abbastanza resiliente nel mantenere la continuità degli scambi; meno riguardo a costi, qualità e affidabilità del servizio. Sussiste inoltre un tema di “fragilità logistica” europea e nazionale, che richiede importanti programmi di manutenzione straordinaria e di rinnovo delle infrastrutture.

Inoltre, come accennato nella sezione dedicata al settore auto, non sono stati adeguatamente valutati (a livello europeo e nazionale) i costi di investimento e di regolazione dei processi di decarbonizzazione del trasporto, che presentano rischi elevati di trasferimento verso modalità più inquinanti o verso sistemi logistici extra-UE
· con standard ambientali più bassi, penalizzando un percorso di decarbonizzazione che necessita di gradualità e prudenza.

La rete stradale e autostradale italiana è vetusta e richiede rilevanti piani pluriennali di manutenzione straordinaria. Per quanto centrale sia l’intermodalità per le politiche di decarbonizzazione, il trasporto delle merci non può prescindere dall’autotrasporto e la sua decarbonizzazione va profondamente ripensata, per evitare costi sociali insostenibili. La decarbonizzazione, impostata sul principio della “neutralità tecnologica”, deve prevedere l’impiego non solo dell’elettrificazione, ma anche del bio-fuel, e tempi e target attuativi tarati su obiettivi realistici, con sostegni alle imprese per il rinnovo dei mezzi e l’approvvigionamento di nuove fonti energetiche a più basso o nullo impatto ambientale. I valichi stradali alpini stanno subendo una seria criticità, manutentiva e regolatoria, soprattutto sul Brennero e sul Traforo del Monte Bianco.

Ma è tutto l’Arco alpino ad avere bisogno anche di una diversa regolamentazione a livello europeo, basata sulla governance condivisa dei principali corridoi europei di trasporto stradale, in attesa che vengano realizzate le alternative ferroviarie previste sulle TEN-T, come la Torino-Lione e il Brennero, e progettate opere di potenziamento, come il raddoppio del Traforo stradale del Monte Bianco.

Il cargo ferroviario è in forte difficoltà, a causa delle interruzioni per cantieri (nuove opere e manutenzioni), di calamità naturali e incidenti, del calo dell’export UE, della bassa domanda interna e dello sviluppo dell’e-commerce. Tutti questi aspetti stanno bloccando lo sviluppo dei traffici su rotaie. Il vero nodo è l’attuale dotazione infrastrutturale ferroviaria, che va adeguata agli standard europei (lunghezza, pesi, sagome) e completata nell’integrazione modale con reti stradali, porti, aeroporti, interporti e aree urbane e metropolitane, come pure l’integrazione ai corridoi TEN-T e la digitalizzazione di reti e operatori. Importanti sono anche le misure come il ferro-bonus, per il trasferimento modale strada-ferro, ma vanno integrate con misure di riduzione dei canoni e delle tariffe di accesso alla rete.
·
Il trasporto ferroviario delle merci per l’industria italiana, tipicamente trasformatrice, è di vitale importanza, poiché se le vie del mare vengono utilizzate per i trasporti di lunga distanza, la “via del ferro” è fondamentale per l’importazione delle materie prime e per l’esportazione dei prodotti finiti, trasformati. Non si tratta solo di un tema di competitività e di riduzione dei costi, ma l’utilizzo della rete ferroviaria per il trasporto delle merci è un tema anche e soprattutto di sicurezza e di autonomia nazionale.

I primati che abbiamo raggiunto con l’alta velocità – in termini di capacità e gestione – devono essere raggiunti, con altrettanto impegno, anche nella realizzazione di infrastrutture adeguate ed efficienti di collegamento su ferro con l’Europa continentale.
Forte attenzione va data alla riforma degli interporti, che deve rappresentare un’occasione di modernizzazione del concetto di trasporto intermodale allargato, pubblico e privato, funzionale allo sviluppo della logistica ferroviaria.
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Il settore marittimo-portuale sta vivendo una fase di trasformazione, in particolare nel Mediterraneo. La resilienza dei nostri porti sta mantenendo una apprezzabile crescita dei traffici, rispetto ai cambiamenti tra rotte e destinazioni dovuti soprattutto alla Crisi del Mar Rosso, che sta cambiando gli attuali equilibri portuali mediterranei, con incrementi sensibili della movimentazione transoceanica nel sistema portuale occidentale (Spagna e Nord Africa) e decrementi in quello centrale (in particolare l’Italia) e orientale, in parte compensato da un aumento dei traffici intra-mediterranei (RO-RO e feeder) nel Mediterraneo Orientale, nell’ambito dei quali, va ricordato, l’Italia primeggia.

Vanno però neutralizzate misure come l’ETS, che penalizzano gli scambi intra- mediterranei tra UE ed extra-UE, mentre nel traffico interno di cabotaggio l’impatto del mare-bonus, pur rifinanziato, va stabilizzato e rafforzato per un più deciso trasferimento modale strada-nave.

Nei confronti di questi potenziali riassetti, il rilancio della competitività della portualità nazionale dovrebbe trovare rispondenza nella sua riforma delle Autorità di Sistema Portuale, con una rafforzata competenza centrale pubblica e la digitalizzazione dell’intera catena logistica.

Il cargo aereo sta crescendo, ma vi sono ancora ampi margini di sviluppo, specie a favore dell’export, grazie alla sua efficienza, velocità, affidabilità/sicurezza e puntualità. L’Italia può recuperare un 30% in più di traffico merci aereo oggi gestita da altri aeroporti europei, innanzitutto aumentando la capacità sui voli punto a punto dagli aeroporti italiani, digitalizzando i sistemi logistici aeroportuali e semplificando le procedure di sdoganamento. Sono temi su cui il Piano Nazionale Aeroporti (PNA) dovrebbe assolutamente puntare, insieme all’introduzione e alla diffusione della Carta dei Servizi Merci, strumento strategico per misurare e aumentare l’efficienza dei sistemi aeroportuali italiani, e ad una efficace regia nazionale, che affronti i nodi urbanistici, come quello di Malpensa, e migliori l’accessibilità e l’intermodalità ferroviaria.
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Un’altra opera che fungerà da volano per lo sviluppo del nostro Paese è il Ponte sullo Stretto di Messina, il quale rappresenterà un’infrastruttura strategica per il collegamento tra la Sicilia e il continente europeo. Si stima che possa ridurre i tempi di attraversamento da circa 1 ora (traghetto) a poco più di 5 minuti in auto o treno. Inoltre, potrebbe favorire un incremento del traffico annuo fino a 6 milioni di veicoli e 10 milioni di passeggeri. Da considerare come le opere annesse previste nel progetto definitivo comprendano il potenziamento di oltre 40 km di raccordi viari e ferroviari, essenziali per garantire un’efficace integrazione nei trasporti nazionali.

Infine, da alcuni anni, l’e-commerce sta modificando sensibilmente le catene logistiche, con un forte impatto sulla funzionalità delle città. Per l’Italia va impostata una progettazione razionale ed efficiente del tema, per risolvere il problema delle emissioni e dell’occupazione di suolo e, conseguentemente, della congestione perché, data la
· rapidità dell’evoluzione del fenomeno, il rischio è il caos.

Sono, quindi, necessarie linee guida nazionali da attuare nelle diverse città in modo omogeneo e coinvolgendo le rappresentanze di categoria, su temi quali: la distribuzione intermedia con mezzi di trasporto a basse o zero emissioni e quella finale al cliente con veicoli elettrici e cargo-bike; la pianificazione di una rete di stalli monitorati e controllati e di parcel lockers o punti di ritiro comuni per la consegna dell’ultimo metro al destinatario; aree di smistamento dotate di ricarica dei mezzi elettrici e un pacchetto di incentivi, non necessariamente economici, come l’accesso alle ZTL o l’uso delle preferenziali.

Altro profilo rilevante per l’efficienza degli scambi commerciali è quello doganale, la cui recente riforma presenta una serie di criticità per gli operatori, anche del trasporto e della logistica nazionale, con conseguenze sulla movimentazione delle merci e il rischio che molti traffici in import ed export possano essere dirottati verso altri Paesi con meno oneri amministrativi. Va quindi rivista la soglia economica per segnalare all’autorità giudiziaria il reato di contrabbando. Occorre poi eliminare l’IVA dai diritti di confine e introdurre il ravvedimento operoso, per consentire la rettifica degli errori formali compiuti in buona fede.

 

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIGITALE

L’intelligenza artificiale rappresenta una delle tecnologie più promettenti per il futuro delle imprese, in grado di migliorare l’efficienza operativa, ottimizzare i processi e innovare i modelli di business. Forza Italia ritiene che vada superata la dicotomia negativa del rapporto tra rischi e opportunità con una visione realmente liberale che preveda uno sviluppo tecnologico a vantaggio dei cittadini, della loro libertà e del loro potere economico con un sistema di regole certe e orientate ad una innovazione
· responsabile e sicura, mantenendo un approccio antropocentrico.

Grazie al contributo di Forza Italia, il Governo italiano ha messo in campo importanti investimenti nel settore con il supporto di Cdp Venture Capital per le start up che operano nel mondo informatico e che sviluppano progetti di intelligenza artificiale.

La via italiana all’intelligenza artificiale si coniuga con la strategia europea che ha varato l’AI Act e della Commissione Europea che con Ursula von der Leyen, ha lanciato InvestAI, un’iniziativa volta a mobilitare 200 miliardi di euro di investimenti nell’AI, che comprende un nuovo fondo europeo di 20 miliardi di euro per le gigafactory dell’AI. Questa grande infrastruttura sarà necessaria per consentire lo sviluppo aperto e collaborativo dei modelli di AI più complessi e per rendere l’Europa un continente dell’intelligenza artificiale evitando che questa innovazione tecnologica venga dominata dalle società americane e asiatiche.
·
Per favorire uno sviluppo italiano ed europeo serve mettere in campo una strategia di investimenti mirati per i centri di ricerca e le imprese italiane che studiano gli sviluppi dell’intelligenza artificiale.

La nuova frontiera dell’innovazione va coniugata con un rafforzamento della strategia nazionale di cybersicurezza, fondamentale tutela a difesa della sicurezza del nostro sistema istituzionale, economico e industriale. Poiché il tessuto industriale italiano è formato principalmente da Piccole-Medie-Imprese, l’aumento del loro livello di cybersicurezza è necessario al fine di proteggerle maggiormente da cybercriminali e rendere più resilienti le catene di fornitura. La regolamentazione, come l’AI Act, deve essere esaminata per individuare sovrapposizioni e conflitti con altre normative orizzontali dell’UE, come il Digital Single Act, il Data Act, il GDPR, nonché con i regolamenti settoriali.

Attualmente, molte piattaforme cloud utilizzate dalle aziende italiane e dalla Pubblica Amministrazione sono di proprietà di multinazionali straniere. Sviluppare un’infrastruttura sicura per i dati nazionali, possibilmente in collaborazione con partner italiani o europei, può migliorare la sicurezza e la sovranità digitale.

Inoltre, tassare di più i giganti del web che oggi sfuggono quasi completamente ad una equa e corretta imposizione, con una forte azione innanzitutto europea. Siamo pertanto favorevoli:

alla creazione di un Fondo nazionale pubblico-privato per l’AI volto a finanziare imprese italiane che sviluppano soluzioni AI sicure;

all’istituzione di un credito d’imposta e incentivi fiscali per le imprese AI. Detrazioni fiscali per chi investe in AI, con bonus extra per progetti legati alla sicurezza;
·
alla creazione di un Fondo per la transizione digitale delle PMI volto a sostenere, con
finanziamenti agevolati e/o strumenti fiscali, PMI che adottano soluzioni AI;

all’istituzione di premi per aziende che sviluppano AI interpretabili e trasparenti, introducendo standard di sicurezza e qualità certificati per le imprese AI;

all’attrazione di capitali privati e venture capital. Creazione di un ecosistema favorevole per fondi di investimento in AI;

alla creazione di corsi universitari, dottorati AI, master dedicati all’AI, centri di eccellenza, al fine di creare sinergie tra mondo accademico e imprenditoriale su progetti AI applicati;

· all’incremento degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) con focus su AI per applicazioni industriali per la formazione di nuovi talenti e per upskilling e reskilling dei lavoratori italiani;

ad un quadro normativo chiaro e alla digitalizzazione dei servizi pubblici con AI per efficienza e riduzione della burocrazia;

all’incremento della protezione dei dati per l’AI. Strumenti e regolamenti per garantire che le aziende AI rispettino GDPR, introducendo standard di sicurezza e qualità certificati per le aziende AI.

INVESTIMENTI

La nuova politica industriale richiede ingenti investimenti. Servono più risorse europee, inclusi gli eurobonds, e occorre indirizzare le risorse nazionali a sostegno della competitività delle imprese. L’Ires premiale e i crediti d’imposta di Transizione 5.0 vanno in questa direzione.

Le prime stime sull’impatto dell’Ires premiale, ovviamente da validare nel tempo,
· indicano un potenziale di nuovi investimenti nel prossimo biennio per una decina di miliardi.

Serve continuare con gli incentivi agli investimenti in macchinari e tecnologie, alla ricerca ed innovazione, per garantire un approccio basato sulla neutralità tecnologica. È utile ricordare che in Italia le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano il 52% del Pil e contribuiscono al 28% dell’occupazione registrando performance superiori alla media UE.

Dobbiamo puntare su investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, logistiche ed energetiche per rafforzare il sistema economico e ridurre i costi. Il trasporto marittimo soffre di una modalità di gestione del sistema portuale troppo frammentata e burocratizzata. Liberalizzazioni e privatizzazioni possono rilanciare il comparto.
Come descritto nella sezione logistica e trasporti, dobbiamo investire in interporti
· logistici, strade, porti e ferrovie, espandere la copertura della banda larga ultraveloce e delle reti 5G, e l’accesso equo in tutto il Paese, incluse le aree rurali. Inoltre, rilanciare Project financing e la collaborazione pubblico-privato in settori chiave come logistica, infrastrutture e sanità anche attraverso l’utilizzo delle risorse fiscali previste nei piani economici finanziari nei contratti con canoni di disponibilità.

Investire per favorire l’internazionalizzazione delle nostre imprese attraverso la promozione dei prodotti italiani nei mercati esteri, supporto alle imprese che operano in nuovi mercati e favorire accordi commerciali che valorizzino il Made in Italy.

RILANCIO DEL MEZZOGIORNO

Mai come in questo momento ci sono le condizioni per un rilancio del Mezzogiorno. Da un lato, i fondi del PNRR a cui si aggiungeranno le risorse del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali e del Fondo di sviluppo e coesione e dall’altro lato la revisione delle catene globali del valore possono rappresentare due straordinarie opportunità per l’economia del Mezzogiorno.

Il governatore della Banca d’Italia, in occasione del 30° Congresso Assiom Forex ha
· parlato di “un’occasione rara per il Mezzogiorno” visto che “a fronte della perdita di
convenienza di regioni remote, in passato destinatarie di cospicui investimenti provenienti dalle economie avanzate, potrebbe rafforzarsi l’attrattività di territori che possono far leva su energie rinnovabili a basso costo e prossimità ai mercati europei. In un quadro di relazioni internazionali più difficili, l’appartenenza all’Unione europea e a un’area valutaria stabile come l’eurozona, nonché l’adesione al blocco “atlantico”, diventano vantaggi competitivi”.

Tuttavia “tradurre le opportunità in concrete occasioni di crescita richiede politiche attive di attrazione dei capitali e il rafforzamento di fattori di contesto quali la dotazione di infrastrutture, investimenti in capitale umano e sociale, l’efficienza delle Amministrazioni pubbliche”.

Peraltro, è utile osservare che anche nel Mezzogiorno, laddove si è riusciti a creare nel territorio un ambiente favorevole allo sviluppo, si sono ottenuti risultati economici di
· eccellenza, riuscendo anche ad affrontare e resistere a condizioni di estrema difficoltà come quelle che hanno caratterizzato il 2020. È questo il caso dei distretti industriali e dei poli tecnologici attivi in questo territorio. Tra il 2008 e il 2023 l’export dei distretti industriali del Mezzogiorno è cresciuto del 63,5%, registrando una performance migliore a quella dei distretti localizzati nel Centro-Nord (+51,8%). Gran parte di questo differenziale è spiegato dai risultati ottenuti negli ultimi anni: tra il 2019 e il 2023, infatti, le esportazioni delle aree distrettuali del Mezzogiorno sono cresciute del 27,2%, oltre otto punti percentuali in più rispetto al resto d’Italia (+18,9%). Anche nel 2024 i distretti del Mezzogiorno hanno mostrato una dinamica migliore dei valori esportati (+1,7% la variazione tendenziale nei primi nove mesi vs +0,5%).

I punti di forza dei distretti del Mezzogiorno riflettono la loro specializzazione produttiva, più orientata verso i distretti agro-alimentari. Nel Mezzogiorno, infatti, la quota di imprese distrettuali con certificati ambientali è pari al 16,2%, più del doppio di quanto si osserva nel resto d’Italia (7,4%). Sempre il Mezzogiorno fa da traino alla crescita delle superfici coltivate con metodo biologico, con il 64% dei terreni italiani e il 66% delle aziende nazionali convertite al biologico.

Progressi sono emersi anche nei settori ad alta tecnologia. Si sono infatti consolidati poli specializzati nella produzione di semiconduttori e microsistemi e nei settori aerospaziale e farmaceutico.

Il Mezzogiorno presenta, poi, un alto potenziale ancora inespresso nel turismo (nonostante gli ottimi risultati degli ultimi anni): pur avendo un patrimonio naturale, storico e culturale unico al mondo, attrae meno turisti stranieri del resto del Paese.
Portualità, logistica ed energia sono gli altri pilastri su cui si gioca il ruolo economico futuro del Mezzogiorno. Il posizionamento geografico al centro del Mediterraneo può essere un elemento determinante per stimolare lo sviluppo economico. L’80% del commercio mondiale viaggia via nave. Nel Mediterraneo (che rappresenta solo l’1% dei mari) transita il 20% del traffico marittimo mondiale, il 27% della movimentazione dei servizi di linea containers e il 30% dell’energia mondiale.

La guerra russo-ucraina ha spostato il baricentro energetico dall’Est Europa (Russia) al
· Nord Africa (Algeria) rendendo il Mediterraneo più centrale sia per le dinamiche delle energie fossili (soprattutto gas) sia per le rinnovabili. La transizione energetica imporrà all’Europa di importare energie rinnovabili. Nel Nord Africa solare ed eolico hanno rese altissime. Molti di questi paesi hanno poi la loro roadmap per l’idrogeno e diventeranno centrali nella produzione per l’Europa. L’alta irradiazione solare e le ottime condizioni eoliche nel Nord Africa favoriscono, infatti, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, necessaria ad alimentare il processo di elettrolisi da cui si ottiene l’idrogeno.
I porti del Mezzogiorno coprono circa la metà della movimentazione totale di merci nei porti italiani e rappresentano un asset logistico per tutta l’economia nazionale; un ruolo destinato a crescere. I porti del Sud Italia hanno poi una funzione strategica come hub energetici. Inoltre, le Zone Economiche Speciali vicine ai porti possono diventare aree di attrazione di investimenti proprio per il rilievo crescente dei porti come hub logistici ed energetici.

Come accennato, è fondamentale promuovere politiche di investimento mirate che favoriscano l’insediamento e il potenziamento di attività economiche soprattutto ad alto
· valore, creando opportunità occupazionali di qualità per i giovani e valorizzando la loro
formazione. Tali politiche vanno coordinate con un serio piano di investimenti infrastrutturali, potenziando non solo le vie marittime ma anche le reti ferroviarie; così facendo, il Mezzogiorno potrà esprimere al meglio il suo potenziale industriale oltre che le importanti vocazioni turistiche.

D’altra parte, l’uso delle risorse dei fondi strutturali e del PNRR potrebbe andare in questa direzione, ma sarebbe utile introdurre per ogni intervento un vincolo obbligatorio di impatto socio-economico preventivo, onde evitare interventi agevolati indiscriminati. Per raggiungere tali obiettivi risulta indispensabile un forte coordinamento a livello centrale – sia nella fase di genesi che di controllo – delle politiche di attrazione degli investimenti e di governo del territorio.

Ci sono dunque motivi per pensare a un Mezzogiorno più centrale, dinamico e inclusivo. Da decenni il Pil pro capite nelle regioni meridionali è poco più della metà di quello del Centro-Nord. L’esistenza di un’area così estesa e popolata che presenta un ampio e duraturo divario fra risorse disponibili e risultati conseguiti rappresenta un vincolo alla crescita dell’economia italiana. Solo il superamento del sottoutilizzo delle risorse del Sud può contribuire in modo determinante a innalzare il potenziale di crescita dell’intera economia italiana.

 

DIFESA

L’attuale scenario geopolitico è caratterizzato da conflitti ibridi, spesso condotti tramite attori proxy, le cui conseguenze si estendono ben oltre le aree direttamente coinvolte, influenzando la stabilità economica globale. In questo scenario, il recente annuncio della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, relativamente al piano “Rearm Europe” presentato in questi giorni, disegna un quadro di 800 miliardi di spesa aggiuntiva con risorse europee (a prestito, per 150 miliardi) e un nuovo spazio fiscale per gli Stati membri per 800 miliardi, e integra anche l’esclusione delle spese per la difesa
· dal Patto di Stabilità e Crescita. E’ un passo concreto, auspicato da tempo, e un
messaggio forte “sia per rispondere all’urgenza di agire a breve termine e per sostenere l’Ucraina, sia per affrontare l’esigenza a lungo termine di assumerci maggiori responsabilità per la nostra sicurezza europea” come la stessa Presidente ha dichiarato. Si va nella giusta direzione, ma bisogna insistere di più per una maggiore collaborazione europea, una vera Difesa UE, complementare e non alternativa alla NATO e che superi le sovrapposizioni ancora esistenti tra gli Stati membri e sono necessari strumenti finanziari adeguati per rendere questa misura efficace e sostenibile nel tempo.

La ripartizione del bilancio ordinario della Difesa, nel 2024, è stato pari a C29.184,2 milioni (1,37% del Pil nominale), ripartito per 61,5% per il personale, il 9,7% l’esercizio, il 26,8% l’investimento, l’1,4% le pensioni provvisorie e l’0.6% funzioni esterne. Il previsionale del 2025 prevede un incremento di circa C2 miliardi, in modo da raggiungere l’1,38% del Pil nominale, ancora molto lontani dal 2% richiesto ambito NATO, ma con la forte volontà e determinazione di raggiungere il 2,4% del Pil in tempi ragionevoli.
·
La dottrina attuale identifica cinque domini operativi principali: terrestre, marittimo (compreso l’underwater), aereo, spazio e cyber. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica e l’espansione della dimensione digitale richiedono un ampliamento di questa visione per includere la dimensione informativa e cognitiva. I conflitti moderni non si sviluppano più all’interno di un solo dominio, ma sono sempre più caratterizzati da un approccio multidominio, che richiede alle Forze Armate di operare con una logica focalizzata sugli effetti esprimibili e generabili nei vari ambiti. In particolare, la dimensione cognitiva sta assumendo un ruolo strategico crescente, con l’intelligenza artificiale utilizzata per influenzare opinioni, percezioni e processi decisionali.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo nel comparto, oltre a sostenere l’operatività e l’efficienza delle Forze Armate, hanno effetti di grande stimolo dell’economia: favoriscono la creazione di centri di ricerca e sviluppo di tecnologie innovative (trasferibili anche a settori non militari, complementarità e dualità delle Forze Armate), incrementando l’occupazione qualificata, le economie di scala e la competitività tecnologica.

In questo contesto i fondi e le iniziative, in ambito europeo e della NATO, che supportano gli investimenti nazionali rivestono un’importanza fondamentale.

Il programma UE European defence industry reinforcement through common Procurement Act (EDIRPA) mira a rafforzare l’industria della difesa attraverso appalti comuni agli Stati membri e a colmare le lacune più urgenti e critiche nella capacità di difesa comunitaria. Un tale progetto incentiva la cooperazione tra i membri e le loro rispettive forze armate anche attraverso agevolazioni finanziarie, come il cofinanziamento sino al 20% del valore dei contratti comuni specie se coinvolgono PMI accreditate.

Il Nato Innovation Fund (NIF), è un fondo di venture capital multi-sovrano in ambito NATO, partecipato da 24 paesi della NATO, dedicato agli investimenti in tecnologia avanzate per aumentare la resilienza della difesa e della sicurezza degli Alleati. L’Italia ha stanziato una spesa pari a 7,72 MC per ciascuno degli anni dal 2025 al 2027.
· Il potenziamento della capacità di difesa aerea nazionale prevede l’acquisizione di nuovi sistemi SAMP/T, fondamentali per contrastare minacce missilistiche e aeree in un contesto operativo sempre più complesso.

Il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, iniziativa di assoluta avanguardia a livello internazionale, dimostra la chiara visione strategica del Paese in questo particolare settore. Questo centro di eccellenza funge da catalizzatore per l’innovazione tecnologica, promuovendo una stretta collaborazione tra università, centri di ricerca, PMI e grandi aziende, il tutto sotto la guida della Difesa e nel particolare della Marina Militare. Lo sviluppo di sistemi unmanned rappresenta una componente sempre più cruciale sia in ottica surveillance che di difesa, questo anche a tutela delle infrastrutture strategiche subacquee.

A Fronte della crescente minaccia rappresentata dai droni a pilotaggio remoto, è necessario implementare sistemi di difesa efficaci contro questa tipologia di minaccia
· asimmetrica.

L’acquisizione di ulteriori 25 F-35, porterà la flotta totale a 115 velivoli, rafforzando le capacità operative dell’Aeronautica e della Marina Militare. L’Italia, insieme al Regno Unito e al Giappone, partecipa a un’iniziativa multinazionale, il Global Combat Air Programme (GCAP), volta a sviluppare un sistema di combattimento aereo di sesta generazione.

Rinnovamento linea “Fregate” prosegue: l’Italia ha avviato la costruzione di due nuove unità FREMM di ultima generazione (“EVO”).

Con la crescente digitalizzazione del campo di battaglia, il dominio cibernetico è elemento cruciale di competizione. La cyber security è essenziale per proteggere le infrastrutture critiche (basate su infrastruttura digitale) e mantenere la superiorità tecnologica.

La Difesa italiana sta potenziando le proprie capacità di difesa cyber attraverso l’adozione di sistemi avanzati per il monitoraggio continuo e la risposta tempestiva alle minacce informatiche, garantendo la resilienza delle infrastrutture vitali.
La creazione di un’arma cyber (come nel modello tedesco, inglese e americano) composta da personale militare e civile non è più un’opzione procrastinabile affinché possa essere assicurata una postura proattiva nella difesa cibernetica a tutela dei confini nazionali anche digitali a tutela della sovranità nazionale.

 

SPACE ECONOMY

Supportiamo una strategia dell’industria spaziale dell’UE atta a sviluppare una politica industriale spaziale europea a lungo termine che rafforzi la sostenibilità e fornisca una visione chiara per il futuro del settore, al fine di proporre obiettivi ambiziosi agli investitori e sviluppare una forte identità europea nel settore.

L’Italia è da sempre protagonista nella Space Economy e si posiziona tra i principali attori sia nel commercio mondiale, sia tra i paesi brevettatori, confermando un’elevata
· competitività anche grazie alla presenza di una filiera diversificata.

Lo Spazio è un ecosistema articolato e complesso, dove sta crescendo il ruolo del settore privato. Dal 2019 sino al 2023 sono stati lanciati più satelliti che in tutti gli anni precedenti messi assieme ed è pacifico che questa tendenza continui nel prossimo futuro. Nei primi anni della corsa allo spazio la maggior parte dei satelliti era militare.
Oggi, nella c.d. terza era spaziale, la maggior parte dei satelliti in orbita è di tipo commerciale. Oltre alle agenzie spaziali e centri di ricerca e università è presente un tessuto produttivo, con grandi imprese e tante start-up attive su tutte le fasi della catena del valore, attuando politiche industriali innovative, inclusi approvvigionamenti incrementali per la riduzione del rischio, al fine di supportare le PMI e le start-up, promuovendo l’innovazione e creando opportunità eque in tutto il settore. La filiera è diversificata anche in termini settoriali: dai grandi produttori di veicoli e attrezzature spaziali, ai produttori di lanciatori e satelliti, dai fornitori di componentistica e materiali avanzati ai player attivi nel mondo dei servizi IT di elaborazione dati (anche di
· Osservazione della Terra) e telecomunicazioni.

Le competenze e il know-how del sistema italiano dello spazio sono riconosciute a livello internazionale e le opportunità di sviluppo per questa filiera non mancano: dal trasporto spaziale ai servizi in orbita, dalla Earth Observation alla Lunar economy.
Nonostante le competenze e tradizioni spaziali sviluppate nel corso di decenni, l’industria spaziale europea ha mostrato segni di debolezza, soprattutto in termini di accesso autonomo allo spazio e competitività tecnologica. Il recente successo di Vega-C compensa solo in parte le difficoltà del lanciatore Ariane 6, evidenziando la necessità di una strategia innovativa. L’Italia, con la sua variegata e qualificata industria, è in una posizione relativamente migliore ma deve comunque adattarsi al nuovo ecosistema della “New Space Economy”.

È necessario investire in tecnologie di lancio innovative, come razzi riutilizzabili e mini- lanciatori, e sviluppare maggiormente collaborazioni strategiche con attori internazionali. E concentrare gli investimenti in aree strategiche, promuovere il partenariato pubblico privato (PPP, Public-Private Partnerships) e specializzarsi in nicchie tecnologiche dove l’Europa può eccellere, aumentare l’export spaziale e sviluppare servizi ad alto valore aggiunto.

Oggi sviluppare la capacità dell’Europa di dotarsi di un proprio lanciatore è più che mai fondamentale, affinché l’accesso allo spazio possa essere efficace e sostenibile. Inoltre, programmi come IRIS2 (“IRIS Square”) devono essere sviluppati affinché l’Europa si possa dotare di una propria infrastruttura di telecomunicazione sicura e resiliente.

Tutto ciò richiede personale con competenze adeguate alle nuove esigenze del mercato e a tal fine occorre investire nella formazione di tecnici e ricercatori, creare cluster tecnologici e potenziare la cooperazione tra università, industria e agenzie spaziali per la formazione di nuovi talenti.

· Occorre passare da un modello basato su grandi programmi governativi a uno più commerciale, flessibile e orientato alla competizione, aprendo nuovi mercati, in
particolare nei Paesi emergenti che necessitano di servizi satellitari, puntando sulla diplomazia spaziale e su più strette collaborazioni internazionali, sempre basate su qualità ed eccellenza dei prodotti e servizi offerti.

 

INDUSTRIA AUTOMOTIVE

La Commissione europea, anche a seguito delle nostre incessanti sollecitazioni, ha avviato un Piano di revisione della normativa sull’auto, da noi considerata troppo ideologica/ambientalista. Positive le dichiarazioni del 3 marzo della Presidente Von der Leyen riguardo un imminente intervento sulle multe e l’apertura ad un’accelerazione dei lavori per la revisione del regolamento CO2 per le auto e furgoni, sottolineando l’importanza di una “piena neutralità tecnologica”. Il Piano contiene diversi elementi condivisibili, primo tra tutti il riferimento alla presentazione da parte della Commissione
· dell’emendamento mirato sulle multe per concedere alle case automobilistiche di adeguarsi al target calcolando la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027). La proposta è attesa entro la fine di questo mese. Da sottolineare anche l’attenzione dedicata all’innovazione e digitalizzazione, con particolare riferimento allo sviluppo di un quadro regolatorio per i veicoli a guida autonoma a livello UE. Tuttavia, ribadiamo la necessità di intervenire sul regolamento con una revisione immediata che rispetti rigorosamente il principio di neutralità tecnologica. Ci rammarichiamo inoltre che non ci sia nessun riferimento al regolamento sulle emissioni dei veicoli pesanti, che prevede target estremamente ambiziosi per i produttori.

Inoltre, va considerato che la Cina sviluppa un nuovo modello di auto in 18-24 mesi (si tratta di un record assoluto), e fa da sola circa il 60% delle vendite mondiali di auto elettriche. Si stima che nel 2040 metà delle auto vendute sarà ancora a motore termico. Per questo chiediamo di rivedere la messa al bando dei motori a combustione a partire dal 2035.
·
È estremamente importante che la Commissione anticipi la revisione prevista per il
regolamento sulle emissioni di CO2 di autovetture e furgoni, al fine di fornire al settore certezza giuridica per salvaguardare la competitività dell’industria automobilistica europea. L’industria non può permettersi di aspettare la revisione nel 2026, come previsto dal regolamento. Si raccomanda inoltre di mantenere lo stesso approccio per accelerare la revisione degli standard sulle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, attualmente prevista per il 2027, per garantire che l’intero settore automobilistico possa beneficiare di un ambiente normativo più aperto e flessibile.

È auspicabile che nella revisione di tali regolamenti si riconosca il ruolo dei carburanti alternativi nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, rivedendo così la messa al bando al motore endotermico a partire dal 2035. Per questo motivo, nell’ambito di questa revisione, chiediamo che la Commissione proponga una definizione di carburanti neutri dal punto di vista del carbonio, che comprenda i biocarburanti oltre che gli e-fuels.

L’industria automobilistica è un settore cruciale per l’economia europea e italiana. A livello europeo il settore automotive incide per circa il 7% sulla forza lavoro e per l’8% sul prodotto interno lordo. Analogamente le stime italiane vedono il settore impiegare circa 1,3 milioni di persone.

L’impatto del settore automobilistico sul Pil italiano è molto significativo. Questo valore evidenzia l’importanza della produzione automobilistica come motore dell’export e della economia, non solo per la quantità di beni prodotti, ma anche per l’indotto nelle forniture e nei servizi correlati.

La Cina sta reinventando le regole del gioco in questo settore, introducendo importanti cambi di paradigma. A titolo esemplificativo, le società cinesi per sviluppare nuovi prodotti in 24 mesi, con un 25% di vantaggio sui costi medi, hanno attuato una integrazione verticale fortissima ed operato una espansione massima di prodotti connessi al veicolo che, di fatto, evolve da semplice autovettura ad ecosistema human-
· car-home.
Sul versante produttivo, registriamo costi europei maggiori di circa il 30% rispetto alla Cina, costi energia triplicati e investimenti di circa 200 miliardi per la Cina e di circa 400 miliardi per USA (piano IRA).

La tecnologia elettrica è indubbiamente un ottimo salto tecnologico che in prospettiva porterà a sviluppare al meglio componenti, software e servizi connessi. Tuttavia, come accennato, le auto termiche non scompariranno e nel 2040 si stima che almeno il 40- 50% delle auto vendute nel mondo saranno termiche o quanto meno ibride. Il ritmo della transizione deve, dunque, essere attentamente calibrato, con strategie di investimento multifase chiamate a valorizzare contemporaneamente varie tecnologie. I veicoli a combustione interna possono e devono ancora offrire contributi significativi di innovazione e stimolare anche altri settori come, ad esempio, quello agricolo e chimico per lo studio di carburanti alternativi.
· Sul versante della domanda, l’Europa sta ancora combattendo con la perdita di circa 15 milioni di veicoli e l’età media degli acquirenti europei è di 56 anni (era di 47 anni nel 2005), contro i 35 anni dell’acquirente cinese. Inoltre, i prezzi delle auto elettriche europee sono, in media, più elevati del 30-50% dei prezzi delle auto termiche e le infrastrutture di ricarica soddisfano solo il 20% del target. La competitività dell’industria auto europea è messa a serio rischio anche dal costo della elettricità e, più in generale, dai costi di produzione che, in media, sono maggiori rispetto a quelli cinesi del 30-40%. A ciò si aggiungano gli ingenti sussidi statali (si stimano 230 miliardi di dollari per la Cina su tutta la catena del valore dei veicoli elettrici) negli ultimi 10 anni.

Serve una politica europea generale di sostegno al settore automobilistico continentale.

 

SIDERURGIA

L’agenda dell’Unione europea prevede per i prossimi decenni il raggiungimento di una serie di obiettivi inerenti l’economia circolare, la decarbonizzazione e l’autonomia strategica.

L’acciaio, elemento fondamentale per diverse filiere produttive, rappresenta un settore strategico chiave per l’industria europea e necessita di una serie di interventi alla luce delle sfide future che il settore si troverà ad affrontare. Tutte le leve di decarbonizzazione
· (non solo le energie rinnovabili) devono essere considerate e utilizzate senza pregiudizi ideologici, valutando quelle più efficienti ed efficaci secondo parametri tecnico/economici per i settori energivori hard to abate. Pieno sostegno alla tecnologia CCUS (cattura e stoccaggio del carbonio), energia nucleare, biomassa, biocombustibili, ecc.

Accesso a condizioni competitive all’energia rinnovabile o decarbonizzata, compresa quella di origine nucleare, temi peraltro comuni a tutto il settore manifatturiero. Devono essere supportate la ricerca e l’innovazione, per sviluppare e testare su larga scala le soluzioni di decarbonizzazione applicabili ai processi siderurgici, nonché alla formazione di nuove competenze. Occorre l’ideazione di strumenti di incentivo alla domanda di acciaio a basse emissioni o carbon neutral (criteri ambientali minimi dei prodotti e Green Procurement, etichettatura verde, ecc.), partendo da una definizione di Green Steel armonizzata a livello internazionale e fondata su basi scientifiche solide e condivise.

· Il rottame ferroso è la materia prima essenziale per la produzione di acciaio a forno elettrico, tecnologia a basse emissioni di CO2 che sfrutta le proprietà di completa
riciclabilità dell’acciaio e che vede l’Italia al primo posto in UE, con oltre l’85% di produzione realizzata attraverso questo ciclo. La crescente attenzione verso produzioni siderurgiche a basse emissioni di CO2, in UE e nel mondo, porterà a una rapida crescita della domanda di rottame. A livello globale, la percentuale di produzione da forno elettrico, pari attualmente al 29% della produzione totale, potrebbe superare il 41% entro il 2030.

La domanda globale di rottame crescerà ad un ritmo superiore alla disponibilità con il rischio di uno shortage critico che andrebbe soprattutto a penalizzare il nostro Paese. Il rottame ferroso deve essere considerato una materia prima critica e strategica in UE e come tale va protetto, in coerenza con l’agenda dell’UE.

Il rottame è già considerato materia prima strategica da molti Paesi extra-UE, basti considerare che l’OCSE ha conteggiato 76 diverse restrizioni all’export di rottame presenti a livello globale in oltre 60 Paesi, quali, ad esempio, il divieto assoluto all’export, il sistema di licenze, l’imposizione di dazi ad valorem o fissi, quote all’export e sistemi misti.

È pertanto urgente l’approvazione di misure concrete ed efficaci in grado di aumentare la disponibilità e la qualità del rottame ferroso in UE, soprattutto limitando l’esportazione, che oggi ha già un trend in forte crescita verso Paesi extra-UE, che non garantiscono gli stessi standard ambientali e sociali dell’UE e non hanno vincoli comparabili in termini di riduzione delle emissioni di CO2.

Alcuni degli ambiti su cui è necessario intervenire a livello UE sono: (i) la normativa sulle materie prime critiche; (ii) le misure commerciali (limitazioni alle esportazioni); (iii) l’attuazione del nuovo Regolamento sulle spedizioni transfrontaliere di rifiuti; (iv) la revisione del Regolamento sui veicoli a fine vita. Lo stanziamento di adeguate risorse e
· fondi riservati alla decarbonizzazione dei settori hard to abate. È fondamentale creare le condizioni per alleviare non solo gli elevati costi di capitale (capex), ma anche quelli operativi (opex) nella fase di transizione.

È urgente un fondo comune UE per la decarbonizzazione dell’industria, per evitare distorsioni di mercato intra europeo. Come certificato dall’Associazione dei produttori mondiali di acciaio, il mercato siderurgico dell’UE è il primo mercato mondiale per importazioni. Il 30% delle importazioni dell’Unione dai Paesi terzi è destinato al mercato italiano. La forte attrattività del mercato europeo lo espone maggiormente a pratiche sleali da parte dei concorrenti internazionali.

Come indicato dalla Commissione europea, il settore siderurgico è il primo settore manifatturiero per numero di misure di difesa commerciale: il 35% degli strumenti attivi nell’Unione interessa produzioni siderurgiche. Nel corso degli ultimi anni la Commissione ha accertato il proliferare di pratiche elusive rispetto alle misure anti-dumping e anti- sussidio, strumenti che per finalità sono volti a ristabilire il level playing field.
· Paesi come Cina e India, con un forte eccesso di capacità produttiva, per eludere le misure di difesa commerciale attive sulle proprie esportazioni nel mercato comunitario, esportano le loro produzioni in altri Paesi extra-UE, con l’obiettivo di reindirizzare tali flussi sul mercato UE, neutralizzando così l’effetto degli strumenti di difesa commerciale. Diventa necessario riuscire ad intercettare le elusioni in corso per ristabilire un confronto concorrenziale equo tra produttori europei ed internazionali.

Questo quadro, inserito dalla recente espansione dei dazi posti a difesa del settore negli Stati Uniti che porterà ad una ulteriore distorsione dei flussi commerciali internazionali, dirigendoli verso l’Unione europea, si andrà ulteriormente ad inasprire dopo il 30 giugno 2026, quando è prevista la scadenza delle misure di salvaguardia, in vigore dal 2019. Si rende pertanto estremamente necessaria la definizione di uno strumento che sia in grado di contenere il massiccio aumento delle importazioni, che invaderà il mercato siderurgico dell’UE all’indomani della scadenza della salvaguardia.

 

MECCANICA
La meccanica italiana è uno dei pilastri dell’industria nazionale, con un’incidenza superiore al 10% sul fatturato manifatturiero italiano e un’elevata densità di Made in Italy. In un contesto globale sempre più complesso e competitivo, la meccanica ha bisogno di una politica industriale ambiziosa e lungimirante. Il nuovo Competitiveness Compass e il successivo Clean industrial Deal rappresentano iniziative strategiche destinate a rafforzare la sovranità industriale europea, garantendo un quadro normativo e finanziario adeguato a sostenere le imprese nei processi di trasformazione.
·
Per evitare il rischio di perdere competitività di questo settore industriale in un contesto globale sempre più sfidante occorre sostenere la crescita e la competitività delle imprese meccaniche, promuovendo uno sviluppo tecnologico che valorizzi tutte le soluzioni disponibili e le imprese capaci di trasformare l’innovazione in valore concreto. E accelerare la modernizzazione del sistema produttivo attraverso la digitalizzazione e l’efficientamento delle produzioni e creando un contesto che renda più semplice l’attività di impresa. Lo sviluppo dell’industria meccanica italiana, passa attraverso alcuni fattori che possono aumentarne la competitività e la crescita.

1. Digitalizzazione, chiave di volta per la competitività, che richiede di:

sostenere lo sviluppo e l’adozione di tecnologie abilitanti quali Intelligenza Artificiale, Cloud e automazione avanzata. Nell’ambito del Transizione 5.0 occorre favorire gli investimenti in macchinari intelligenti, in intelligenza artificiale applicata ai processi; in IoT (Internet of Things), in robotica avanzata a supporto di processi e
· controlli;

coinvolgere le PMI nelle innovazioni digitali, mediante adozione di specifici strumenti;

sostenere la ricerca e sviluppo (RGS) con risorse certe e strumenti semplici ed efficaci, orientando a finalità produttive la ricerca finanziata con fonti nazionali ed europee, assicurando la protezione brevettuale e il trasferimento tecnologico tra il mondo della ricerca e il sistema imprenditoriale;

creare le competenze digitali attraverso la formazione e l’attrattività per i giovani, con percorsi formativi ITS Academy e lauree STEM per colmare il mismatch di competenze, evitando che la carenza ostacoli la crescita. E coinvolgere sia i lavoratori diretti che gli indiretti, con percorsi educativi e percorsi finalizzati nelle scuole superiori e nell’università;

realizzare centri di ricerca universitari di ricerca e dipartimenti di meccanica e meccatronica; Coinvolgere gli imprenditori nei consigli di amministrazione delle università e dei dipartimenti; promuove bandi che permettano a Università ed imprese ad avere una correlazione diretta nello sviluppo di nuovi prodotti
/processi.

2. Materiali innovativi, norme tecniche e nuovi mercati.

L’industria meccanica è industria di trasformazione di materiali, che sono alla base della competitività delle aziende, Oggi le misure protezionistiche ed ambientali stanno rendendo meno competitivi i materiali tradizionali, ma favoriscono sviluppo della ricerca e il mercato di materiali innovativi, nonché il recupero di tutti i materiali di scarto. L’Europa e i particolar modo l’Italia sono all’ avanguardia sia nella circolarità siderurgica (acciai da forno elettrico) che nei materiali alto resistenziali ad alte prestazioni innovativi.

A tal fine è necessario:
·
• promuovere l’economia circolare, incrementando il riciclo delle materie prime, comprese quelle critiche, per ridurre l’indipendenza dalle importazioni e ampliando il novero e gli utilizzi delle materie seconde;

• favorire l’utilizzo di materiali innovativi, favorendo la realizzazione di infrastrutture realizzati con metodologie che permettano una maggiore durata delle infrastrutture ed un minore costo di manutenzione;

• innovare la normazione tecnica, nella direzione delle best pratiche offerte delle nostre industrie in modo da favorire la produzione interna e assicurare la crescita sostenibile.

3. Transizione verde, per la quale è necessario:

gestire il processo di decarbonizzazione tramite l’efficientamento energetico dei
· Processi industriali, potenziando lo strumento dei Certificati Bianchi, prevedendo la revisione del Piano Transizione 5.0 e del Fondo per il sostegno alla transizione
industriale e accelerando l’avvio del Conto termico 2.0, quale strumento cruciale per l’efficientamento energetico nel territorio nazionale;

integrare il mix energetico, rafforzando gli strumenti dell’Energy release e del Gas release, sviluppando il nucleare di nuova generazione e la Strategia nazionale per l’Idrogeno, da coordinare con lo sviluppo delle rinnovabili tramite lo strumento dei PPA, per abbattere i costi dell’energia;

4. Reti di impresa Filiera Integrata Distretti per l’internazionalizzazione A livello nazionale occorre:
valorizzare il Made in Italy, punto di forza della nostra economia, promuovendo la vocazione manifatturiera dell’Italia con politiche di supporto alla produzione del settore meccanico e alla valorizzazione dei prodotti realizzati in Italia;

vigilare sul mercato interno ed europeo, per valutare gli impatti delle normative per evitare che essi impattino sul posizionamento della nostra manifattura a livello globale.

supportare l’internazionalizzazione dell’industria manifatturiera con politiche mirate, in grado di garantire capacità di adattamento in tempi strettissimi e rafforzare la penetrazione nei mercati;

detassare i costi di sviluppo di progetti di alleanza tra imprese per la presentazione di nuovi prodotti e mercati esteri;

potenziare con specifici incentivi la digitalizzazione delle forniture: i) le piattaforme digitali B2B per la ricerca di nuovi fornitori con per ridurre i rischi di interruzioni forniture; ii) i sistemi automatizzati di formulazione di offerte commerciali; iii) i market
· place industriali: portali che connettono fornitori e acquirenti: iv) le piattaforme di approvvigionamento automatizzate per le supply chain (gestione scorte, riordino materiali, confronto prezzi, disponibilità);

assicurare il coordinamento a livello europeo quale elemento chiave per contrastare le crescenti limitazione alle importazioni, l’antidumping e i dazi posti in essere dai Paesi extra UE.

INDUSTRIA FARMACEUTICA
L’industria farmaceutica è riconosciuta come strategica in tutto il mondo per il suo valore di salute, innovazione, crescita economica e sicurezza, investimenti in RfiS (2.000 miliardi di dollari dal 2025 al 2030).

L’Italia dispone di un comparto farmaceutico champion a livello europeo e mondiale, che ha toccato nel 2024 i 53 miliardi di euro di export, con la più alta crescita (9,5%). Nonostante la posizione di primato italiano nella creazione di valore aggiunto e rispetto
· all’indice di competitività, è necessario introdurre misure urgenti per ridurre gli oneri a carico delle imprese, aumentando l’attrattività per gli investimenti, la capacità di sviluppare ricerca, la produzione industriale e l’export in un contesto in grande trasformazione competitiva, misurando quindi l’impatto in termini di valore economico ed occupazionale positivo generato per la nazione.

A fronte di sfide sistemiche è fondamentale un approccio olistico alle politiche industriali, con il coordinamento di tutte le Istituzioni. L’industria farmaceutica chiede che il Governo Italiano tuteli l’industria farmaceutica come asset strategico e investimento per la crescita per conseguire un futuro di salute e sviluppo economico per la nazione, e dunque definisca una Strategia sulle Scienze per la Vita, così come sviluppato da altri paesi e richiesto oggi dall’UE con il Competititveness Compass. Oggi, l’impegno richiesto al Governo Italiano in Europa, riguarda ancora la difesa della proprietà intellettuale (brevetto) sui farmaci, attraverso la revisione e un reindirizzamento opposto della proposta di legislazione farmaceutica approntata dall’UE con l’obiettivo di rendere la Regulatory Data Protection e la Market Exclusivity competitive con USA e Cina, allungandone quindi i termini. Tale azione è fondamentale per difendere, attrarre ed incrementare gli investimenti in RfiS da parte delle aziende farmaceutiche in Europa.

Guardando al mercato farmaceutico e della salute italiano, per attuare una nuova governance della spesa, al fine di adeguare il finanziamento alla domanda di salute reale dei cittadini e riformare profondamente le regole, occorre:

aumentare le risorse a disposizione della spesa farmaceutica almeno dello 0,7% del fabbisogno sanitario nazionale – FSN (equivalente a circa 1 miliardo di C) e destinare l’incremento al tetto di acquisti diretti (da 8,5% a 9,2% del FSN) per bloccare la crescita dei payback, a livelli ormai insostenibili (superiore al 18,5% del fatturato per la aziende assogettate al suo pagamento), oltre ad introdurre nuovi meccanismi di riconoscimento del prezzo di rimborso dei farmaci attraverso la misurazione del valore generato (outcome clinico, economico e previdenziale), con eliminazione dei payback entro 3 anni;

abolire il payback 1,83% gravante sui farmaci dispensati nel canale
«convenzionata»;

dare accesso rapido alle terapie in tutte le Regioni (early access subito dopo approvazione EMA per farmaci più innovativi e generalizzato per tutti entro 6 mesi);

difendere il valore dei farmaci, valorizzando la spesa farmaceutica convenzionata e trasferendo categorie da acquisti diretti a convenzionata su base di appropriatezza;

potenziare il finanziamento della prevenzione/immunizzazione al 7% del FSN; incentivare investimenti con migliori condizioni negoziali con AIFA nella determinazione del valore di prezzo e rimborso dei farmaci.

Per la migliorare la competitività, l’attrattività e le competenze, occorre:

· rafforzare incentivi rapidi ed efficaci in tutto il territorio per aumentare la capacita di ricerca e di impianto di nuova capacità produttiva industriale;

intensificare il network di ricerca e produzione con l’Ecosistema della Salute;

potenziare i corsi universitari nelle lauree STEM e riconoscere sgravi fiscali sul costo del lavoro per neoassunti con lauree STEM;

promuovere un framework di incentivi UE, dedicati allo sviluppo della ricerca farmaceutica, della farmacologica e di tecnologia industriale, rispettosi della neutralità̀ tecnologica;

Infine, per costruire un ecosistema dei dati efficiente, occorre consentire l’uso secondario dei dati sanitari, per aumentare gli investimenti in RfiS e migliorare le cure. Una Strategia sulle Scienze della Vita consentirebbe di aumentare gli investimenti compensando le risorse necessarie per attivarla, in una logica di “circolarità” che valorizza l’importanza
· della sostenibilità della presenza industriale.

 

FILIERA DELLA CHIMICA
L’Industria chimica é una vera e propria infrastruttura tecnologica in quanto i prodotti chimici sono componenti essenziali del 95% di tutti i manufatti. Per ogni 100 euro generati dalla chimica in Italia si generano ulteriori 232 euro nella filiera allargata. Pur presentando un’elevata intensità emissiva, tale industria ha già superato l’obiettivo UE di riduzione delle emissioni al 2030 (-55% rispetto al 1990) ed è il settore che ha la quota più elevata tra i settori industriali che investono in nuove tecnologie e prodotti più eco- sostenibili.
· L’industria chimica è probabilmente il settore più coinvolto dalla massa di nuove iniziative legislative, direttive e regolamenti connessi al Green Deal. È fondamentale che il quadro normativo sia definito con obiettivi ambiziosi ma realistici, rispettando il principio di neutralità tecnologica.
A livello italiano, occorre evitare restrizioni aggiuntive rispetto alla normativa UE, definire testi unici e diffondere linee guida sull’interpretazione e l’applicazione, oltre a prevedere un’adeguata dotazione di personale tecnico specializzato presso le autorità competenti. L’Italia vanta un posizionamento particolarmente promettente nella chimica circolare e da biomasse. Occorre creare un vero Mercato Unico europeo per la circolarità, superando applicazioni e interpretazioni della legislazione sui rifiuti disomogenee tra Stati membri.

La transizione ecologica dell’industria chimica italiana richiederà quasi 20 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi entro il 2050, 30 miliardi di euro se si considerano anche i costi operativi. È evidente che tali costi non potranno gravare esclusivamente sulle
· imprese del settore. Una politica industriale a favore del settore chimico apporterebbe 22 miliardi di euro di valore aggiunto incrementale e un beneficio economico per tutto il sistema manifatturiero che, secondo le stime, varrebbe 33 miliardi di euro, oltre che decine di migliaia di nuovi posti di lavoro.

La competitività dell’industria chimica è fortemente penalizzata da un costo del gas che rimane tra il triplo e il quintuplo di quello statunitense e da ampi differenziali nel prezzo dell’elettricità anche nei confronti degli altri principali produttori europei.
Per favorire lo sviluppo della chimica italiana è necessario:
rivedere i regimi di sostegno agli impianti di cogenerazione, anche per consentire di utilizzare i green gas;
sviluppare le tecnologie per la cattura e stoccaggio della CO2, dove l’Italia ha grandi potenzialità;
valorizzare il ruolo dell’Italia come hub energetico per l’area Sud dell’Europa;
prevedere che la compensazione dei costi indiretti della CO2 raggiunga anche in Italia il limite massimo del 75%, come avviene negli altri Paesi europei;
favorire gli investimenti in nuove tecnologie quali riciclo chimico, biotecnologie e prodotti da fonti bio e rinnovabili, idrogeno ed elettrochimica, recupero e riutilizzo della CO2;
prevedere controlli efficaci su sostanze e prodotti importati dall’extra-UE;
stimolare la domanda pubblica e privata di prodotti innovativi eco-sostenibili, favorendo il riconoscimento di un “green premium” a fronte di costi più elevati.

 

AGROINDUSTRIA
L’industria alimentare è l’unico grande settore industriale italiano che ha chiuso con un segno “più” il bilancio di produzione 2024: nel confronto col 2023 ha registrato infatti un
+1,8% (rispetto al calo marcato de -3,5% con cui ha chiuso in parallelo il totale industria). Il settore, che acquista e trasforma oltre il 72% della produzione agricola nazionale, conta più di 7000 imprese con più di 9 addetti, diffuse su tutto il territorio nazionale e quasi 400.000 addetti complessivi.
· Anche sul fronte dell’export il settore ha registrato risultati premianti: i dati dei primi dieci mesi dell’anno mostrano infatti un +9,0% in valore (a fronte del -0,4% del totale industria). La quota esportata a fine anno dal settore dovrebbe sfiorare così il livello record di 57 miliardi di euro. Va sottolineato che la spinta espansiva 2024 dell’export dell’industria alimentare si è legata in buona parte alla performance del mercato USA, che ha segnato infatti sui dieci mesi (gen-ott 2024) una crescita del +18,4%.

La filiera agroalimentare, nella sua composizione dei settori primario (agro-zootecnico), della trasformazione alimentare e dei consumi “fuori casa”, ha raggiunto nel 2024 la quota di 281,2 miliardi di euro di fatturato, frutto della sommatoria del fatturato agricolo (74,6 miliardi), del fatturato dell’industria alimentare (197 miliardi) e del fatturato del “fuori casa”, stimato a quota 96 miliardi. L’asset della filiera alimentare ha raggiunto così il 13% del Pil nazionale, sottolineando una volta di più, in un anno non facile, il suo ruolo baricentrico di stabilizzazione e di traino del sistema-Italia.
·
Date queste premesse, è necessario che il Governo dia la massima priorità al negoziato per il Vertice ONU sulle Malattie Non Trasmissibili, previsto a New York il 24 settembre 2025. Le principali preoccupazioni riguardano il rischio che alcuni attori, tra cui l’OMS, influenzino gli Stati membri affinché la dichiarazione finale equipari il settore alimentare all’industria del tabacco, nell’obiettivo di imporre a livello globale misure drastiche sui cosiddetti “cibi non sani”, come etichette di allarme sanitario, tassazione specifica su determinati prodotti, limitazioni alla pubblicità e al marketing.

Ciò è il risultato di politiche commerciali che, sotto la veste di iniziative nutrizionali, puntano a imporre una Dieta Universale e un modello alimentare uniforme, a vantaggio di alcuni soggetti e centrali produttive e a discapito delle diete tradizionali e di intere filiere.

Tale approccio penalizzerebbe gravemente l’Italia, disconoscendo il valore della dieta mediterranea, nonché l’importanza di un approccio multifattoriale basato sull’educazione alimentare e sulla promozione di stili di vita sani e, non da ultimo, il peso economico e sociale delle filiere agroalimentari nazionali, che sarebbero danneggiate a partire dai prodotti d’eccellenza del Made in Italy.

È necessario opporsi con fermezza a queste misure, trovando le giuste alleanze internazionali, per difendere i modelli alimentari tradizionali, come quello italiano. In questo ambito si colloca la battaglia contro le etichettature semaforiche – a cominciare dal Nutriscore ma senza trascurare gli altri schemi emergenti in alcuni paesi del mondo – che, senza basi scientifiche, forniscono informazioni discriminatorie e potenzialmente fuorvianti ai consumatori in quanto non basate sul contributo dell’alimento nella dieta complessiva, indirizzandone le scelte di consumo in modo improprio e rappresentando per i nostri prodotti più importanti un ostacolo di fatto nell’accesso ai mercati.

La Sugar Tax, prevista in Italia dal 1° luglio 2025, è una misura ideologica e inefficace per la salute pubblica, potenzialmente inflattiva e pericolosa come precedente, soprattutto
· in vista del vertice delle Nazioni Unite sulle malattie non trasmissibili. L’introduzione di questa imposta è in contrasto con la posizione condivisa dal Governo, che si oppone a tasse su singoli alimenti o ingredienti.

Inoltre, qualora non venisse definitivamente abrogata, danneggerebbe la competitività delle imprese italiane, penalizzando il settore alimentare, creerebbe un precedente per altre tasse su nutrienti diversi, come il sale, mettendo a rischio prodotti tipici italiani come salumi e formaggi, e complicherebbe la posizione italiana a livello internazionale, rendendo più difficile opporsi a politiche simili in altri Paesi. È fondamentale lavorare attivamente per eliminare la Sugar Tax o quanto meno in prima istanza rinviarla ulteriormente per arrivare a una sua definitiva cancellazione.

Anche la Plastic tax rappresenta una misura da abolire. L’imposta sulla plastica, senza produrre apprezzabili benefici sul piano ambientale, colpirebbe più o meno tutta l’industria alimentare (e non solo) e la filiera del packaging, potendo arrivare a incidere sui prezzi al consumo mediamente del 10% con punte fino al 60% su prodotti con basso valore aggiunto, con un forte impatto inflattivo e di depressione dei consumi, con ripercussioni in termini di riduzione del gettito fiscale, con rischi di delocalizzazione di alcune produzioni e inevitabili effetti sull’occupazione.

Il Made in Italy alimentare è apprezzato in tutto il mondo per la sua qualità e autenticità. L’export alimentare non solo contribuisce significativamente al Pil italiano, ma rappresenta anche il veicolo fondamentale per la promozione della nostra cultura, nonché una leva per i flussi turistici. Il maggiore ostacolo all’export rimangono le barriere non tariffarie erette con finalità protezionistiche da molti Paesi.

È pertanto necessario continuare a garantire e rafforzare l’impegno per superare tali barriere, sia attraverso nuovi Accordi di Libero Scambio tra l’UE e i Paesi terzi equilibrati e attenti ai settori di volta in volta più sensibili, che intensificando le negoziazioni bilaterali del nostro Governo per scardinare gli ostacoli all’ingresso nei mercati più promettenti e garantire alle imprese europee e nazionali condizioni preferenziali ed eque. Anche le gravi incertezze e le crisi geopolitiche internazionali, unitamente alla recrudescenza di deprecabili politiche daziarie da scongiurare in ogni modo, rendono sempre più evidente l’esigenza di investire risorse ed energie per perseguire con rinnovato slancio l’avvio e la conclusione di nuovi Free Trade Agreements, nell’ottica di una progressiva strategia di apertura e diversificazione dell’export, unico vero volano di crescita della filiera agroalimentare.

 

FILIERA DELLA MODA

Il settore della moda in Italia è sinonimo di tradizione, eccellenza, design e creatività. L’Italia è il primo produttore mondiale di alta moda, con il 29% dei fornitori dei gruppi europei e due terzi dei player del lusso che scelgono il nostro Paese per la produzione.
Con un valore aggiunto di quasi 75 miliardi di euro e 1,2 milioni di addetti (5,8% del totale), il settore della moda italiana è una componente importante dell’economia nazionale, contribuendo al 5,1% del Pil. Il sistema comprende oltre 53 mila imprese (pari al 13% del
· manifatturiero italiano), di cui il 79% PMI.
La moda italiana, secondo gli ultimi dati disponibili, ha registrato un calo dei ricavi di circa il 5%, pur registrando un incremento dell’export in particolare verso paesi extra-UE, evidenziando la capacità dei prodotti Made in Italy di affermarsi in mercati internazionali dove il potere d’acquisto dei consumatori è in crescita come Medio Oriente e Asia orientale. Dietro il lusso e la bellezza, l’industria deve fare i conti con importanti fenomeni trasformativi legati a: i) l’adattamento degli attuali modelli di business alle sempre più pressanti tematiche ESG; ii) la crescente polarizzazione della domanda verso prodotti di lusso o del fast fashion; iii) la riluttanza nel passaggio generazionale; iv) il recente riposizionamento dei principali produttori di abbigliamento all’interno delle catene globali del valore.

La gestione dei rifiuti tessili e la promozione di un’industria tessile circolare costituiscono
· oggi una priorità europea e internazionale. La circolarità nel settore tessile e della moda è stata, infatti, uno dei pilastri delle attività svolte durante la presidenza italiana del G7
.
In particolare, nel corso dell’assise su Clima, Energia e Ambiente, i Ministri del G7 hanno incaricato l’Alleanza per l’Efficienza delle Risorse di elaborare un’Agenda volontaria comune per promuovere la circolarità nel settore tessile e della moda. Questo impegno si è concretizzato con l’approvazione, lo scorso dicembre a Roma, dell’Agenda G7 ACT (Agenda on Circular Textiles and Fashion), che definisce un quadro condiviso di azioni politiche, iniziative industriali e forme di cooperazione tra governi, imprese e stakeholder.

Il settore può trarre notevoli benefici dall’implementazione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Questo tipo di strumento, infatti, offre opportunità concrete per rafforzare la competitività del comparto, stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro e sensibilizzare i consumatori sui temi della sostenibilità. In Italia esistono già alcune eccellenze che meritano di essere incentivate e rafforzate. Tale principio promuove, infatti, un approccio condiviso tra produttori, consumatori e autorità regolatorie, finalizzato a garantire uno sviluppo sostenibile attraverso una gestione responsabile delle risorse.

Allo stesso tempo, incentiva il passaggio da un modello lineare, basato sulla produzione e sullo smaltimento, a un modello circolare e sostenibile che considera le implicazioni ambientali e sociali lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti. Il principio EPR, infatti, assegna una responsabilità diretta ai cosiddetti “produttori,” intesi non solo come fabbricanti, ma anche come soggetti che per primi introducono un prodotto nel mercato di un Paese europeo. Essi sono responsabili dei propri prodotti anche oltre il loro fine vita. Risulta quindi essenziale per il successo del regime EPR, che il modello di governance sia strutturato in modo da favorire la cooperazione tra produttori, operatori economici, enti pubblici e soggetti del terzo settore, con l’obiettivo di incentivare il riciclaggio e il
· recupero dei materiali, garantendone al contempo una completa tracciabilità.

Collegato al tema centrale della governance è poi la determinazione del contributo ambientale, che auspichiamo avvenga mediante l’introduzione di criteri di eco- modulazione condivisi, che tengano in debita considerazione anche la normativa UE in primis quella in tema di ecodesign. Per garantire l’efficacia delle misure in materia di contribuzione, sarà fondamentale, inoltre, realizzare rilevazioni periodiche dei costi standard connessi alla gestione dei rifiuti tessili e definire chiaramente i meccanismi di flusso finanziario tra i diversi attori, al fine di garantire la neutralità economica del contributo ambientale lungo tutta la filiera. In questo senso, la previsione di un contributo ambientale visibile (visible-fee), da definire attraverso gli atti delegati relativi al passaporto digitale dei prodotti tessili, ben potrà rappresentare uno strumento
· efficace per migliorare trasparenza e consapevolezza.

Un ulteriore elemento chiave riguarda la possibilità di promuovere e garantire l’attuazione di accordi di programma tra i sistemi dei produttori e i vari soggetti coinvolti (ANCI, distribuzione ecc.), in conformità con i principi delineati dalla normativa europea. Tali accordi dovranno consentire una gestione integrata dei rifiuti tessili, favorendo l’adozione di soluzioni innovative per il recupero delle risorse e per il monitoraggio dei flussi.

Per quanto riguarda gli accordi tra gli enti locali e i sistemi dei produttori, volti a regolamentare aspetti quali i punti di raccolta, le modalità di gestione dei rifiuti (incluse le raccolte selettive) e i criteri qualitativi e quantitativi delle frazioni di rifiuti ammissibili al contributo, risulta importante che questi possano assicurare la copertura dei costi secondo principi di efficacia, efficienza ed economicità, integrando oneri e responsabilità dei produttori, oltre a prevedere misure di comunicazione e l’infrastrutturazione del sistema.

Con riguardo alla gestione del mercato delle materie prime seconde, occorre prestare particolare attenzione alle esigenze di approvvigionamento delle micro, piccole e medie imprese, assicurando un equilibrio tra sostenibilità ambientale e competitività economica, indispensabile per la messa a punto di un sistema efficiente, trasparente e non discriminatorio.

Al fine di sostenere adeguatamente l’intero settore, siamo favorevoli:

a rafforzare il rapporto e la collaborazione tra le istituzioni pubbliche e private che si
· occupano della formazione di base per il settore; e alla condivisione di programmi di formazione continua per tutti i lavoratori del settore, con individuazione delle varie forme di docenza e con l’indicazione di adeguate linee di finanziamento (soprattutto per le PMI);

a progetti di formazione di lavoratori all’estero, con l’individuazione di percorsi sicuri di ingresso in Italia, di prima sistemazione abitativa e di integrazione sociale;

alla collaborazione tra le istituzioni e le imprese per assicurare la trasparenza, la legalità e la concorrenza leale lungo tutte le filiere produttive della moda;

alla collaborazione tra imprese, sindacati e istituzioni pubbliche, al fine di definire le
· condizioni reali di costo, ambientali e infrastrutturali necessarie per rendere ancora più competitive (soprattutto nel Mezzogiorno) alcune lavorazioni storiche ad alto contenuto di lavoro da tempo delocalizzate all’estero;

a garantire l’estensione dei prestiti in essere alle PMI che si trovano in situazioni di temporanea difficoltà finanziaria, tramite sia l’estensione di garanzie concesse precedentemente da SACE, SIMEST e Fondo di garanzia per le PMI, sia procedure assistite di rinegoziazione dei prestiti in essere con il sistema bancario, che ne evitino le ordinarie controindicazioni conseguenti (applicazione dell’attributo forborne).

 

FILIERA DEL LEGNO-ARREDO

La macro-filiera del Legno-Arredo comprende le industrie del legno, del sughero, del mobile, dell’illuminazione e dell’arredamento. Con 299.079 addetti occupati e circa
66.500 aziende, rappresenta oggi il 4,2% del fatturato manifatturiero nazionale, il 14,8% delle imprese e l’8% degli addetti. È una filiera ricca in termini di articolazioni e di “anime” che si sviluppano a partire dall’estrazione boschiva e le prime lavorazioni del legno, alla produzione di semilavorati, fino all’arredo e al design. Per questo crediamo sia
· importante sviluppare una strategia che valorizzi l’intera filiera, tenendo conto delle molteplici istanze che, per natura stessa del settore, possono spaziare su temi ampi e
diversi.

Il 2024 della filiera legno-arredo si chiude con un fatturato alla produzione pari a 51,6 miliardi di euro, in flessione del 3,1% (53,2 miliardi nel 2023) in continuità con la normalizzazione avviatasi nel 2023, dopo due anni di grande crescita per il settore. L’export, che rappresenta il 38% del fatturato totale della filiera, chiude a -2,3% con un valore pari a 19,4 miliardi di euro. Il saldo commerciale della filiera sfiora gli 8 miliardi di euro (era di 8,4 miliardi nel 2023). Il settore legno-arredo, nonostante le flessioni, conferma il suo ruolo d’eccellenza del Made in Italy in tutto il mondo, con un know-how e una attenzione al “ben fatto” che continuano ad attrarre l’interesse da parte dei mercati esteri.

· L’export del settore arredo Made In Italy è inferiore alle reali possibilità del sistema produttivo Italiano e le motivazioni sono diverse. Su queste, il governo dovrebbe intervenire con eventuali iniziative, in particolare a supporto delle PMI per incrementare anche la domanda sul mercato interno. In Italia, il 95% della produzione del settore arredo, compresa la nautica, viene realizzata dalle PMI e solo circa il 10% di queste esportano all’interno della UE. Il mercato estero del settore arredo è cambiato. In passato, l’estero acquistava il prodotto finito che gli veniva proposto dal produttore italiano.

Oggi le aziende del Contract, commercianti importatori e studi di architettura stranieri chiedono prodotti conformi alle esigenze dei loro clienti, in questo mercato solo le nostre PMI sono in grado di soddisfare la domanda ma non riescono. Molte sono le sfide che attendono le imprese nell’affrontare le transizioni in atto, alcune delle quali derivano da impegni presi a livello europeo e internazionale.

Alcuni provvedimenti europei, seppur implichino uno sforzo di aggiornamento e sviluppo da parte delle imprese, rappresentano effettivi driver di sviluppo. Sussistono, tuttavia, norme che comportano esclusivamente oneri burocratici e appesantiscono l’operato delle imprese coinvolte. L’Italia ha un patrimonio forestale tra i più ricchi e vari d’Europa, con una percentuale del 35% del territorio coperto da foreste.

La gestione virtuosa delle foreste è strategica sia a livello economico che socio- ambientale. È necessario promuovere la Gestione Forestale Sostenibile, la pianificazione e la certificazione forestale, nonché l’utilizzo a cascata del legno, consentirebbe di rafforzare il legame tra il mondo forestale e di prima e seconda lavorazione del legno.
La filiera sarebbe più competitiva perché in grado di valorizzare il prodotto legnoso italiano secondo principi di sostenibilità e tracciabilità. Una volta reso maggiormente efficiente il meccanismo virtuoso di filiera bosco-legno, si potrebbe, infine, implementare un meccanismo di certificazione che valorizzi tale circuito.

Il mismatch tra domanda e offerta è da imputarsi sia alla vera e propria carenza di
· personale tecnico, con adeguata formazione. È necessario un piano di riqualificazione delle politiche attive del lavoro per incrementare la partecipazione attiva con formazione continua specifica, micro-interventi formativi mirati e remunerati, attività di upskilling e reskilling. Infine, si potrebbero favorire scambi internazionali degli studenti organizzando periodi presso le strutture formative in Italia e presso le imprese.

Coinvolgere e formare personale nei territori in cui si stanno sviluppando nuove possibilità di mercato permetterebbe, da un lato, di avere manodopera qualificata nei nostri siti produttivi e, dall’altro, di poter investire all’estero in nuove strutture per le fasi finali di produzione, sfruttando la competenza degli operatori locali adeguatamente formati.

Indirizzare la propria attività anche sui mercati esteri richiede tempi e costi elevati, senza garanzie di successo. La linea di finanziamenti promossa da SIMEST SpA per le fiere è
· un ottimo strumento da implementare al meglio con particolare attenzione alla
partecipazione alle fiere internazionali più onerose, sostenendo la domanda di “allestimento”.

La filiera del legno-arredo guarda al commercio estero con successo e contribuisce sempre più a elevare l’eccellenza del Made in Italy nel mondo.

Le incertezze a livello geopolitico hanno evidenziato le difficoltà relative alla classificazione doganale dei prodotti che spesso hanno ostacolato le normali pratiche commerciali. A tal proposito si potrebbe ipotizzare un percorso di revisione, in concerto con le istituzioni UE, per semplificare la burocrazia e il sistema dei codici doganali, garantendo chiarezza e stabilità anche in tempi di crisi. In un più ampio contesto di valorizzazione, anche internazionale, del marchio Made in Italy una delle priorità è il supporto alla proprietà industriale delle imprese. I diritti di proprietà industriale, infatti, sono un indispensabile strumento di tutela contro le iniziative illecite ma, soprattutto, di protezione degli strumenti di creazione di valore come la creatività, l’innovazione tecnologica e design di prodotto.

Fondamentale è il tema della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) su cui la Federazione sta svolgendo attività di ricerca relativa ai prodotti di arredo. In vista dei futuri obblighi normativi che stanno delineandosi sia a livello europeo che italiano, si vorrebbe attivare un sistema EPR per l’arredo, che miri non solo alla gestione dei rifiuti ma anche all’attivazione di un sistema di riuso, che prolunghi quanto più possibile lo smaltimento dei prodotti come rifiuti. Tale sistema avrà l’obiettivo di sviluppare una struttura di gestione del processo e di valorizzazione di quantità notevoli di materiale, con l’ambizione di fornire un utile modello per la normazione del processo a livello italiano.

· Negli ultimi anni spesso si è assistito ad un processo di acquisizione di aziende proiettate sul mercato da parte di fondi di investimento esteri. Inoltre, purtroppo in Italia non abbiamo grandi aziende del Contract come hanno francesi e tedeschi con capacità di prendere appalti per arredamenti chiavi in mano di ogni dimensione.

Al fine di mitigare tali processi in atto e favorire, invece, lo sviluppo di aggregazioni tramite la costituzione di “holding di filiera o di distretto” gestite e di proprietà delle aziende stesse partecipanti, si propone l’attivazione di un fondo nazionale dedicato a sostenere queste iniziative nonché ad individuare possibili strumenti di finanza agevolata per accompagnare le imprese in questo processo di rafforzamento dimensionale delle filiere, siano esse verticali che orizzontali. Resta intesa sempre le necessità di salvaguardia dei principi di libero accesso ai mercati, scongiurando il pericolo che tali aggregazioni operino in regimi monopolistici rendendo, di fatto, vani gli obiettivi del Governo.

 

 

SETTORE DEGLI IMBALLAGGI

Il settore degli imballaggi in Italia riveste un ruolo cruciale nell’economia, coinvolgendo una vasta gamma di materiali e industrie. La filiera inizia a monte dai produttori dei materiali (carta, plastica, vetro, acciaio, alluminio, legno, banda stagnata), macchine grafiche, macchine cartotecniche, estrusori, macchine per la trasformazione/lavorazione delle materie prime in prodotti da imballaggio, i produttori degli imballaggi (che rappresentano un’industria al primo posto in Europa), macchine
· per confezionamento e tutte le filiere a valle utilizzatrici (alimentare, farmaceutica, cosmetica, ecc.). Si tratta di un unicum assolutamente integrato in tutte le filiere più
rappresentative del Made in Italy. Complessivamente, circa 800 mila imprese, che impiegano quasi 240 mila addetti e generano un fatturato di circa 72 miliardi di euro.

Nel 2024, il settore delle macchine per imballaggi in plastica conta circa 250 aziende, con un fatturato complessivo di 2,3 miliardi di euro e un totale di 7.500 dipendenti. Parallelamente, i costruttori italiani di macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio comprendono circa 600 aziende, generando un fatturato di 9,8 miliardi di euro, in crescita del 6,1% rispetto al 2023, e impiegando 38.220 addetti. Infine, la filiera cartaria dedicata al packaging si compone di 6.893 aziende, con un fatturato di 11,63 miliardi di euro e un totale di 33.480 addetti.

Il packaging svolge una funzione fondamentale di evitare lo spreco alimentare,
· consentendo la conservazione degli alimenti più a lungo, rendendo possibile un razionamento su misura delle esigenze delle famiglie e rende il cibo fruibile e disponibile anche laddove non si produce. Lo spreco alimentare da solo rappresenta il 10% della produzione di CO2 del Pianeta. Negli ultimi anni numerosi iniziative normative europee sono state poste in essere per proibire o penalizzare imballaggi, in particolari quelli alimentari, a favore di un modello di consumo basato sul riutilizzo di contenitori e la vendita sfusa di alimenti, piuttosto che favorire packaging sostenibili e riciclabili. Questo nonostante l’Europa disponga di un sistema di economia circolare che è il più avanzato del mondo. In particolare, l’Italia ha il primato in Europa.

I soggetti che compongono il settore sono, in primis, i produttori, gli utilizzatori e i gestori di imballaggi. Oltre questi soggetti, c’è anche tutta la filiera, che interessa tutti i settori che dipendono dall’utilizzo degli imballaggi, come logistica, vendita al dettaglio, ristorazione ed e-commerce, oltre che naturalmente, i produttori di alimentari, farmaceutica, cosmetica ed in generale di tutti i prodotti finiti. Non c’è prodotto che possa arrivare al consumatore senza un imballaggio adeguato che lo contenga e lo protegga.

Per quanto riguarda i produttori legati al comparto imballaggi è rilevante, in primo luogo, delineare un quadro dei principali materiali utilizzati e la loro incidenza sul totale. L’imballaggio più prodotto è quello fatto da materiali cellulosici (31,9%), seguito da vetro (25,7%), legno (17,5%), plastica (16,8%) e metalli (acciaio e alluminio, 4,7%; Figura 1).

Per quanto riguarda gli utilizzatori di imballaggi, si tratta di un comparto estremamente vasto, che ricomprende larga parte sia del settore manifatturiero sia di quello del commercio, e molto variegato al suo interno. Non tutti i settori, infatti, sono dipendenti dagli imballaggi nello stesso modo. Ad esempio, i settori food e bevande utilizzano oltre il 75% degli imballaggi totali (Figura 2)

L’Italia mostra performance eccellenti nel riciclo degli imballaggi, con tassi che superano gli obiettivi europei. Nel 2023, l’Italia ha registrato un significativo incremento
· nel riciclo degli imballaggi. Secondo i dati del Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI), sono state riciclate 10,47 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio, pari al 75,3% dell’immesso al consumo. Questo risultato supera gli obiettivi europei fissati per il 2030.

Nel 2022, su 14,5 milioni di tonnellate di imballaggi immessi al consumo, 10,4 milioni sono stati avviati a riciclo, rappresentando il 71,5% del totale. Per il 2024, le previsioni indicano che la percentuale di riciclo degli imballaggi in Italia potrebbe sfiorare il 75%, con oltre 10,3 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio avviati a nuova vita, su un immesso al consumo stimato di circa 13,9 milioni di tonnellate. Questi dati evidenziano un trend positivo nella gestione e nel riciclo degli imballaggi in Italia, con performance che superano gli obiettivi europei e testimoniano l’efficacia delle politiche di sostenibilità adottate finora nel settore. Il Regolamento UE in materia di imballaggi e rifiuti di imballaggio stabilisce obiettivi specifici di riduzione degli imballaggi, prevedendo una riduzione del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040, nonché tassi di riciclo per i diversi materiali.

A partire dal 1° gennaio 2030, inoltre, sarà vietato l’uso di imballaggi monouso per cosmetici, prodotti per l’igiene e articoli da toilette, nonché specifici imballaggi in plastica monouso, inclusi quelli per frutta e verdura fresche non lavorate preconfezionate, monoporzioni alimentari nei settori HORECA e borse ultraleggere. Il Regolamento introduce, inoltre, obiettivi di riutilizzo da raggiungere entro il 2030 per gli imballaggi di bevande alcoliche e analcoliche (con alcune eccezioni), imballaggi multipli e per il trasporto, con la possibilità di deroghe di cinque anni per gli Stati membri. Sono, inoltre, presenti ulteriori misure per il riuso degli imballaggi, specialmente nel settore HORECA per alimenti e bevande entro il 2029, il 90% dei contenitori monouso in plastica e metallo per bevande fino a tre litri dovrà essere raccolto separatamente tramite sistemi di
· deposito cauzionale o soluzioni equivalenti.

Tutti gli imballaggi, salvo alcune eccezioni, dovranno essere progettati per il riciclo dal 2030 successivamente riciclati su scala. Per gli imballaggi in plastica, oltre a quanto già esposto, il Regolamento prevede obiettivi minimi di contenuto di plastica riciclata al 2030 e al 2040 – con alcune esenzioni – nonché la possibilità di introdurre target sul contenuto di plastica derivata da biomassa.

Infine, il regolamento impone l’obbligo di utilizzo di materiali compostabili per specifici imballaggi e la possibilità di introdurre tale obbligo a livello di Stato membro per altri imballi.

A questo proposito, occorrerà presidiare attentamente l’adeguamento degli ordinamenti alla nuova regolamentazione UE, soprattutto con riferimento ai numerosi atti delegati
· previsti – più di dieci – che interesseranno capitoli importanti, quali: specifiche condizioni per gli imballaggi riutilizzabili e i relativi obiettivi di riutilizzo; criteri per la progettazione ecocompatibile degli imballaggi; requisiti minimi per il contenuto di materiale riciclato negli imballaggi; informazioni obbligatorie da fornire sugli imballaggi; specifiche tecniche per il riciclo degli imballaggi; etichettatura ambientale; requisiti EPR, ecc.

Proposte di politica industriale:

Evitare EPR che introducano surrettiziamente delle tasse ambientali che possano indirizzare il mercato verso scelte non neutrali dal punto di vista tecnologico, come ad esempio il riutilizzo, creando al tempo stesso un impatto ambientale negativo come dimostrato dagli studi del JRC europeo e come riconosciuto anche dalla normativa PPWR. Questi EPR penalizzanti finirebbero per aggravare la spinta inflattiva a danno dei consumatori, soprattutto su prodotti già sotto pressione, come la spesa alimentare. Occorre un’azione forte di contenimento verso queste iniziative di EPR e al contrario favore ancora di più le iniziative di raccolta e riciclo.

Essendo il Regolamento direttamente applicabile negli Stati Membri, è essenziale che la sua attuazione avvenga in modo armonizzato e uniforme, evitando l’introduzione di disposizioni nazionali – da parte di tutti gli Stati Membri – più restrittive che potrebbero portare alla creazione di barriere e ostacoli ingiustificati, sia a livello normativo che nel contesto del mercato unico. Un’interpretazione e un’applicazione coerenti della normativa a livello europeo sono fondamentali per prevenire la frammentazione del quadro regolatorio, ridurre oneri amministrativi aggiuntivi e garantire condizioni di concorrenza eque tra gli operatori economici. Occorrerà, pertanto, presidiare attentamente l’adeguamento normativo da parte degli Stati europei, soprattutto con riguardo all’implementazione dei futuri atti
· delegati.

In questo contesto, riveste un ruolo centrale il principio di neutralità tecnologica, che consente di valorizzare le peculiarità e i punti di forza dei diversi sistemi economici nazionali, evitando l’imposizione di soluzioni univoche e lasciando agli operatori la possibilità di sviluppare le tecnologie più efficaci sotto il profilo ambientale ed economicamente sostenibili. Garantire un ampio spettro di soluzioni tecnologiche è essenziale per affrontare le complessità della transizione verde, permettendo al mercato e agli operatori di sviluppare le tecnologie più efficaci e competitive. In tal modo, la neutralità tecnologica non solo incentiva la ricerca e l’innovazione, ma garantisce anche che la transizione sia accessibile e sostenibile per tutti i Paesi e per i diversi contesti produttivi, rispettando le loro diverse esigenze e capacità.

Continuare a promuovere il riciclo e l’Industria circolare. L’Italia è leader a livello
· europeo nell’economia circolare, nella gestione dei rifiuti e, in particolare, nella gestione degli imballaggi, avendo raggiunto con oltre 9 anni di anticipo gli obiettivi di riciclo fissati dall’UE per il 2030. Tali risultati evidenziano il ruolo strategico di tutti i settori e materiali nel sistema dell’economia circolare. È, pertanto, fondamentale proseguire lungo questo percorso con un approccio pragmatico e basato su evidenze scientifiche, evitando visioni ideologiche e garantendo il rispetto del principio di neutralità tecnologica.

Sostenere le attività di ricerca e innovazione, elementi chiave per migliorare le tecnologie di valorizzazione dei rifiuti e dei materiali recuperati. A tal fine, è necessario investire nell’innovazione, promuovendo la realizzazione di nuovi impianti e supportando lo sviluppo di soluzioni avanzate, anche attraverso misure europee di finanziamento e incentivazione.

Favorire la piena armonizzazione e semplificazione della copiosa regolamentazione di matrice europea in materia di economia circolare, coordinando le nuove normative con il quadro esistente, evitando inutili duplicazioni di oneri burocratici ed economici.

Razionalizzare istituti giuridici fondamentali per l’economia circolare, quali, ad esempio, i sottoprodotti e il c.d. end of waste. La carenza di investimenti in infrastrutture di raccolta e smistamento, la frammentazione delle normative end-of- waste tra Stati membri, limitano l’integrazione del mercato per materiali circolari. Pertanto, si ritiene necessaria l’armonizzazione e l’estensione dei criteri di cessazione qualifica rifiuto (end-of-waste) a un numero più ampio di materiali, che costituisce uno strumento utile per aumentare qualità e quantità del riciclo finale. Questo faciliterebbe la circolazione dei materiali riciclati a livello europeo e darebbe maggiore certezza alle imprese, incentivando investimenti in tecnologie di riciclo avanzate e contribuendo così a un’economia circolare più inclusiva ed efficace.
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Sviluppare e coordinare misure e interventi di incentivazione, atti a promuovere lo sviluppo dell’economia circolare e a sostenere il mercato dei prodotti circolari e dei prodotti realizzati a partire da materie prime rinnovabili, anche attraverso gli appalti pubblici verdi e strumenti economici, finanziari e fiscali dedicati. In questo senso, si potrebbe prevedere l’introduzione di un sistema di certificati per valorizzare l’economia circolare e incentivare l’utilizzo di materie prime seconde (MPS), promuovendo al contempo segnali di prezzo che riflettano la loro convenienza rispetto alle materie prime vergini. Per realizzare questo obiettivo, sarebbe utile determinare dei “titoli di efficienza energetica circolare” che, tramite un approccio scientifico solido (come, ad esempio, l’analisi del ciclo di vita – LCA), determini il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di gas serra derivante dall’utilizzo di MPS anziché di materie prime primarie nei processi produttivi.

· Tale meccanismo prevede che il soggetto che immette MPS nel mercato, in relazione al loro effettivo utilizzo, riceva certificati che ne attestino il valore in termini di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) o di quote di emissioni di CO2 evitate. Tali certificati potrebbero essere utilizzati all’interno di meccanismi esistenti, come i titoli di efficienza energetica o i mercati delle quote di emissioni di CO2, sia obbligatori che volontari.

L’adozione di questo sistema potrebbe portare a diversi benefici, tra cui:

un’offerta di MPS più competitiva, con vantaggi per l’intera filiera produttiva;

la creazione di un meccanismo virtuoso che stimoli la domanda di flussi di MPS, favorendo una filiera di raccolta e trattamento più efficiente;

un rafforzamento e un ampliamento del settore industriale del riciclo, nonché delle infrastrutture dedicate all’economia circolare.

Nel caso di packaging alimentare e farmaceutico l’utilizzo di MPS trova un limite nella sicurezza alimentare e sanitaria.

 

 

 



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