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Con l’avvento alla Casa Bianca del presidente Trump il “nuovo ordine globale”, delineato all’inizio degli anni Novanta e trasformatosi ben presto in “disordine globale”, è messo nuovamente a dura prova.
Nel corso degli ultimi decenni le tensioni geopolitiche, l’ascesa di nuove potenze, le crisi economiche, le guerre ibride, la pandemia, i conflitti, solo per citare alcuni fattori, hanno avuto un effetto distorsivo sul sistema internazionale, determinando caos e instabilità.
La guerra in Ucraina, causata dall’invasione del Paese da parte della Federazione Russa nel 2022, costituisce l’ennesimo punto di rottura geopolitico, con un impatto significativo non solo sulla sovranità territoriale ucraina e sul suo popolo, ma anche sulla garanzia, oggi illusoria, di sicurezza europea garantita dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e sulla reale efficacia della diplomazia, sostituita dai rapporti di forza e dalla corsa al riarmo.
Un punto di rottura che, sotto la presidenza Trump, è divenuto particolarmente rilevante a causa del nuovo corso della politica estera statunitense che sta modificando gli equilibri in essere, esacerbando le tensioni con l’Unione europea e mettendo in atto un preoccupante riavvicinamento alla Federazione Russa, come dimostrano i processi negoziali in corso volti a porre fine alla guerra e ad assicurare, nel contempo, diversi vantaggi agli Stati Uniti e alla Russia stessa.
Oltre al conflitto ucraino, le politiche isolazionistiche e protezionistiche adottate dalla nuova amministrazione americana hanno causato rivelanti fluttuazioni nei mercati finanziari e determinato un impatto negativo sui settori industriali interessati, a seguito dell’avvio della guerra dei dazi che potrebbe innescare una recessione su scala globale.
Alla luce del contesto internazionale, ispirato al multilateralismo, le minacce alla stabilità non coinvolgono solo il Nord Globale, seppur diviso, ma anche gli altri Stati, incluso il Sud Globale e realtà quali i BRICS. Al fine di comprendere meglio le dinamiche messe in atto da questi soggetti per far fronte alle nuove sfide abbiamo parlato con il Professor Marco Ricceri, segretario generale dell’Istituto di studi e ricerche Eurispes e coordinatore del Laboratorio sui BRICS dell’Istituto.
Nel corso di questi decenni il divario tra il Nord Globale e il Sud Globale si è ridotto, grazie alla crescita economica sostenuta di Paesi come la Cina, l’India, il Brasile e altri stati del Sud-Est asiatico. Molti sistemi economici dell’Africa subsahariana e dell’America Latina non hanno, invece, raggiunto il medesimo livello di sviluppo, acuendo il gap preesistente. Dal 2009, anno della prima riunione formale dei BRIC (divenuti poi BRICS, a seguito dell’adesione del Sudafrica nel 2010) ad oggi, quali sono stati, a suo avviso, i principali risultati raggiunti da questa realtà in termini di rafforzamento dell’asse di cooperazione Sud-Sud e di potenziamento delle partnership strategiche in ambito economico-finanziario?
La principale ragion d’essere del coordinamento BRICS, inizialmente, è stata quella di trovare una qualche forma di tutela dagli effetti negativi dirompenti della crisi finanziaria globale esplosa nel periodo 2007-2009, prima negli USA, poi diffusa in tutto il sistema occidentale e nel resto del mondo. Una crisi, va aggiunto, le cui cause non hanno trovato ancora una soluzione adeguata. I BRICS sono, dunque, l’espressione di un’esigenza di difesa, non di offesa. E questa esigenza, ossia quella di poter contare su un valido ed efficace sistema di tutela dalle possibili crisi finanziarie globali, è tuttora ben presente nelle iniziative del coordinamento. Possiamo aggiungere che è anche una delle ragioni principali che hanno determinato il suo progressivo rafforzamento nel tempo, contrariamente a tutte le previsioni di esperti e opinionisti che prefiguravano una realtà BRICS effimera e destinata a dissolversi in pochi anni. Questo orientamento iniziale di salvaguardia da possibili nuove crisi finanziarie mondiali si è poi evoluto in un progressivo rafforzamento sia della cooperazione interna tra gli Stati membri sia nella cooperazione esterna con l’allargamento a nuovi Stati membri e Stati collegati in forma di partenariato: è la recente formula dei BRICS Plus che ha attratto numerosi Stati in particolare del cosiddetto Sud globale. In questo processo evolutivo anche l’esigenza iniziale della tutela si è evoluta in un orientamento più attivo che sollecita la riforma dei principali organismi internazionali responsabili delle politiche di indirizzo e delle condizioni di gestione dei processi dello sviluppo economico globale. E questa esigenza urgente, da anni sul tavolo della comunità internazionale, è in attesa di una risposta adeguata.
Da sempre si sottolinea l’eterogeneità politica, ideologica e socioculturale dei Paesi che appartengono al blocco dei BRICS, che rappresenta circa il 42 per cento della popolazione globale e circa il 37 per cento del PIL a livello mondiale. Nel 2024 questa realtà ha visto un nuovo allargamento che ha coinvolto, in qualità di Paesi partner, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita (con quest’ultima sono ancora in corso le trattative per definire le modalità di adesione), mentre dal 1° gennaio 2025 la lista dei Paesi si è ulteriormente ampliata con Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakhstan, Malesia, Thailandia, Uganda, Uzbekistan e Indonesia, Paese di cui parleremo in seguito.
In questi anni il Laboratorio BRICS dell’Istituto Eurispes ha avuto la possibilità di collaborare con le diverse istituzioni dei Paesi coinvolti, analizzando le nuove dinamiche in atto. A suo avviso, il Brasile, che quest’anno ha assunto la presidenza di turno, saprà calibrare, di concerto con i membri attuali, le sinergie con i nuovi partner? Sono stati già individuati i primi output progettuali in linea con il focus scelto per il 2025 “Rafforzare la cooperazione nel Sud Globale per una governance più inclusiva e sostenibile”?
Il Brasile ha assunto la presidenza del coordinamento BRICS quest’anno, dopo aver esercitato l’anno scorso, nel 2024, la presidenza del coordinamento G20. Degno di nota – ai fini dell’emergere di possibili sinergie tra gli orientamenti dei due coordinamenti internazionali informali – è il fatto che quest’anno la presidenza del G20 sia affidata a un altro Stato membro del coordinamento BRICS, il Sudafrica. L’esigenza principale manifestata e confermata dagli esponenti BRICS sia nelle Dichiarazioni Finali dei loro vertici (ad esempio, la Dichiarazione del Vertice di Kazan 2024) sia nelle principali sedi internazionali (come l’Assemblea Generale dell’Onu del mese di settembre del 2024) è quella di rafforzare il multilateralismo e le relative pratiche di cooperazione per costruire un sistema globale più inclusivo ed equilibrato. Solo in questo modo sarà possibile riformare le principali istituzioni internazionali per farne degli organismi più efficienti e all’altezza delle sfide di questa fase storica e, nel contempo, definire una nuova architettura economica, finanziaria e commerciale. Molto chiaro, a questo proposito, è stato l’intervento del presidente brasiliano Lula da Silva alla sopracitata assemblea dell’Onu: “Non siamo stati capaci di rispondere alle crisi globali perché abbiamo scambiato il multilateralismo con le azioni unilaterali e con accordi di esclusione”. E ancora: “la prima area di attenzione è eliminare il carattere fortemente regressivo dell’architettura finanziaria internazionale.” Ad esempio: i tassi d’interesse imposti ai Paesi del Sud del mondo sono molto più alti di quelli applicati alle nazioni sviluppate. I Paesi africani prendono in prestito a tassi fino a otto volte superiori a quelli della Germania e quattro volte superiori a quelli degli Stati Uniti, ha rilevato Lula per poi aggiungere: “È un piano Marshall al contrario, in cui i più poveri finanziano i più ricchi”, creando una situazione in cui il livello di debito, che colpisce gravemente alcuni Paesi emergenti, strangola qualsiasi investimento in infrastrutture, benessere e sostenibilità. La costruzione di un sistema multilaterale adeguato alla correzione di questa situazione è, dunque, il punto fondamentale della presidenza brasiliana BRICS 2025. Con l’inizio dell’anno sono state annunciate altre cinque priorità: facilitare il commercio e gli investimenti tra gli Stati BRICS; promuovere una governance responsabile dell’intelligenza artificiale; perfezionare i metodi di finanza climatica; aumentare la cooperazione Sud-Sud con un focus sulla salute pubblica; avviare un adeguato assetto istituzionale del coordinamento.
Vorrei soffermarmi sul ruolo dell’Indonesia che, all’inizio di quest’anno, è entrata a far parte dei BRICS come membro a pieno titolo. La richiesta di adesione era stata presentata, in realtà, già nel 2023 durante il summit di Johannesburg, ma, secondo quanto riportato dall’Istituto Analisi Relazioni Internazionali (IARI), l’allora presidente Joko Widodo decise di chiedere una proroga per consultarsi con le controparti dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). Dopo le elezioni presidenziali di febbraio del 2024 vinte da Prabowo Subianto, la richiesta di adesione è stata ufficializzata. Ricordiamo che l’Indonesia è la quarta nazione, a maggioranza musulmana, più popolosa al mondo e ha più volte espresso il desiderio di unirsi al gruppo BRICS per cogliere nuove opportunità di cooperazione al fine di raggiungere una crescita del PIL dell’otto per cento. Cosa potrà determinare, in termini politici e progettuali, l’ingresso dell’Indonesia con questa tipologia di status, anche alla luce del nuovo contesto geopolitico?
Con l’Indonesia siamo di fronte a un attore geopolitico e geoeconomico primario nel sistema delle relazioni internazionali e nelle dinamiche di sviluppo economico sia globale sia regionale, con riferimento al Sud-Est asiatico, un’area strategica di massimo interesse e attenzione. Il suo ingresso in qualità di membro “a pieno titolo” nel coordinamento BRICS e, in particolare, l’iter procedurale che ha seguito nel concretizzare questa decisione – illustrato nel suo quesito – deve far riflettere molto sulla portata di questa iniziativa nel breve e medio termine. A mio avviso, considerando anche gli orientamenti analoghi che stanno maturando in altri Stati dell’area come la Thailandia e il Vietnam, la vera riflessione da fare riguarda gli effetti che questo tipo di partecipazione ai BRICS potrà avere sugli orientamenti della principale istituzione di coordinamento regionale dell’area, appunto sull’ASEAN – Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico – la cui fondazione risale al 1967, ma che ha compiuto un grande passo in avanti negli ultimi decenni con il processo di globalizzazione, dimostrando una grande capacità di favorire il sorprendente sviluppo dell’intera regione. È opportuno considerare che l’ASEAN ha ottimi rapporti, ad esempio, con l’Unione europea, segnati da periodici incontri e tavoli di lavoro comuni, ma presenta un modello di funzionamento e di raggiungimento degli obiettivi che molti commentatori considerano di maggior successo e alternativo a quello della UE in quanto fondato su un modo di operare molto pragmatico, meno complesso, formale e burocratico rispetto a quello europeo, anche se fa riferimento a istituzioni simili come, ad esempio, incontri periodici dei Capi di Stato e di governo, coordinamento delle iniziative ministeriali e parlamentari, segretariato generale (simile alla Commissione UE).
Nel corso del vertice di Kazan, svoltosi a ottobre del 2024, è stato confermato l’obiettivo della “de-dollarizzazione”, un tema che è ormai da anni al centro del dibattito. Un progressivo abbandono del dollaro sta già avvenendo a favore dell’uso delle monete nazionali utilizzate nelle transazioni tra Paesi BRICS e con i propri partner commerciali. Tuttavia, il processo non dovrebbe più comportare la creazione di una nuova moneta, come confermato anche dal portavoce del presidente Putin Dmitri Peskov. Peraltro, il presidente Trump ha dichiarato che imporrà tariffe del 100% ai BRICS in caso di creazione di una valuta ad hoc. Sarà prevista, invece, l’introduzione di un sistema monetario basato su tecnologie digitali e blockchain. Come si declinerà concretamente tale sistema e, a suo avviso, si tratta di un’alternativa in contrasto con le istituzioni finanziarie occidentali?
Alcuni giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca il neoeletto presidente americano ha richiamato l’iniziativa BRICS sulla de-dollarizzazione e ha affermato: “Chiediamo a questi Paesi l’impegno di non creare una nuova valuta BRICS, né di sostenere qualsiasi altra valuta per sostituire il potente dollaro americano, altrimenti dovranno affrontare dazi al cento per cento e aspettarsi di dire addio alle vendite nella splendida economia statunitense.” Per comprendere la portata di questo passaggio bisogna considerare che, allo stato attuale, il dollaro rappresenta quasi il sessanta per cento delle riserve monetarie mondiali. Il 48 per cento dei pagamenti internazionali avviene attraverso lo SWIFT, la piattaforma dominante per i pagamenti internazionali, che è in dollari, così come il novanta per cento di tutte le operazioni di cambio. Di fronte a questa situazione i BRICS e i Paesi emergenti stanno operando con la logica di autotutela dall’impatto sia di nuove, possibili crisi finanziarie globali sia dai processi di esclusione dai commerci internazionali causati dal sistema delle sanzioni. Questa duplice esigenza ha indotto gli Stati BRICS a promuovere l’utilizzo delle monete nazionali nella gestione dei propri commerci internazionali e a creare piattaforme indipendenti condivise e anche decentralizzate per le transazioni finanziarie. Non sono contro lo SWIFT, ma sono delle alternative, qualora rimanessero esclusi dal sistema dominante. Si tratta di un inevitabile atto di difesa, non di attacco. Due esempi significativi vengono da India e Cina. L’India ha organizzato la sua piattaforma per i pagamenti, la Unified Payment Initiative (Upi), che è già stata adottata da diverse nazioni in tutto il mondo come Francia, Emirati Arabi Uniti, Malesia, Singapore, Bhutan e Sri Lanka. Anche la Cina ha creato qualche anno fa il Cross-Border Interbank System (CIPS), il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero che offre ai suoi partecipanti servizi di compensazione e di regolamento in yuan per i pagamenti e gli scambi commerciali e finanziari. Quanto alla nuova moneta individuata come alternativa al dollaro, nei dibattiti dei vari organismi competenti del coordinamento, in effetti, si è discusso molto di questo progetto, arrivando perfino a proporre il nome di questa nuova moneta: RILIND (con le sigle iniziali delle monete degli Stati membri), oppure 5R. Ma, in realtà, la proposta che si sta maggiormente affermando è quella relativa a una moneta di conto per agevolare le transazioni commerciali e finanziarie interne al gruppo. Non a una valuta alternativa. Si tratta di una soluzione simile a quella che l’Europa aveva fatto con l’ECU, prima della realizzazione dell’euro.
Tra gli obiettivi dei BRICS+ rientra anche la creazione di un ordine mondiale equo. A suo avviso, è possibile conciliare l’ideale di equità con la tipologia di sistemi politici – autoritari e totalitari – che caratterizzano alcuni Paesi appartenenti a questa realtà?
Il confronto tra sistemi diversi, liberaldemocratici, da un lato, e autoritari e totalitari, dall’altro, è un problema di fondo, aperto, che riguarda innanzitutto le principali istituzioni internazionali formali, in primis l’Onu, e informali, come il G20, dove questi sistemi diversi sono rappresentati, convivono, si confrontano normalmente. Quindi, è legato alle scelte di ciascuno Stato membro e all’impostazione che intende dare al suo sistema di relazioni internazionali. È essenziale che questo confronto continuo prenda la via del dialogo, non dello scontro e dei conflitti. Il punto chiave, ribadito in tutti i documenti ufficiali del coordinamento BRICS, come le Dichiarazioni ufficiali dei vertici annuali, esprime una chiara volontà di muoversi lungo la via del dialogo per la riforma dell’attuale ordine mondiale, la sua governance, le sue politiche. Rispondere positivamente a questa richiesta, aprire e costruire un vero confronto è la soluzione per ridurre e, se possibile, cancellare ogni possibilità di scontro e di conflitto. Prendiamo, ad esempio, l’ultima Dichiarazione Finale del 16^ Vertice BRICS Kazan 2024, nella quale si esprime con chiarezza l’impegno a creare un ordine multipolare mondiale più giusto, equilibrato e democratico e, di conseguenza, a rafforzare la governance globale per costruire un sistema più agile, efficace, responsabile e rappresentativo, in particolare, anche delle realtà emergenti (punti 6 e 7). A tal fine, i Capi di stato BRICS si sono impegnati per la riforma delle Nazioni Unite al fine di farne un’istituzione più democratica, rappresentativa ed efficiente, dato il ruolo centrale che essa svolge nel sistema multilaterale internazionale (punto 8). Inoltre, i BRICS hanno riconosciuto il ruolo chiave del G20 “come primo forum globale per la cooperazione economica e finanziaria multilaterale” (punto 14) e hanno assunto l’impegno a operare secondo il documento promosso dal Brasile durante la presidenza G20 del 2024: “Appello all’azione per la riforma della governance globale” (G20 Call to Action on Global Governance Reform). I BRICS si impegnano, quindi, per la riforma dei principali organismi economici, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale (IMF), l’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO) al fine di farne delle strutture più forti, rappresentative, efficaci. Un altro impegno assunto dai BRICS riguarda l’attuazione dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, i cui obiettivi devono essere perseguiti con spirito e pratiche collaborative da tutta la comunità internazionale (punto 13). A queste posizioni per un’auspicata riforma della governance globale seguono poi gli impegni relativi ai numerosi piani e alle iniziative che riguardano la collaborazione e l’integrazione della specifica realtà BRICS (la cooperazione interna) in diversi ambiti di intervento, tra cui economia, finanza, istruzione, tecnologia, società, cultura etc., per molti dei quali, va aggiunto, è attivata la piena collaborazione con le istituzioni e le agenzie internazionali, ad esempio l’Unesco per la cultura e l’ILO per le politiche sul lavoro. Come reagire di fronte a un orientamento simile, costruttivo e non distruttivo, assunto e ribadito più volte dai Capi di stato e di governo dei BRICS? La via di un dialogo aperto e approfondito è l’unica percorribile.
Quale sarà il ruolo dell’Unione europea in questa fase? Sarà in grado di potenziare le sinergie con i BRICS, in considerazione dell’approccio adottato dal presidente Trump in ambito economico e geopolitico?
L`Unione europea dovrebbe, innanzitutto, correggere e superare l’atteggiamento contraddittorio che ha assunto finora e farsi promotrice di una vera apertura al dialogo. Riguardo ai BRICS, infatti, come si legge testualmente, ad esempio, nelle risoluzioni e nelle relazioni approvate dal Parlamento europeo, da un lato, si riconosce esplicitamente l’importanza crescente di questo coordinamento in sé nei rapporti con le realtà emergenti nel mondo, ma, dall’altro, si privilegia, nel contempo, la linea dei rapporti tra la UE e i singoli Stati BRICS, non con il coordinamento nel suo insieme, come ad esempio, invece, ha fatto l’Unione Africana. È una linea seguita dalla UE fin dall’avvio dell’esperienza BRICS. Cito un esempio: nella Relazione approvata sul tema dal Parlamento europeo nel 2012, dopo una lunga “considerazione” di premessa sull’importanza e sulle potenzialità del nuovo coordinamento si approva una linea di politica europea secondo cui il Parlamento “ritiene che le relazioni con i paesi BRICS si debbano fondare su dialoghi bilaterali” (PE – Relazione sulla politica estera dell’UE nei confronti dei paesi BRICS e di altre potenze emergenti: obiettivi e strategie; Atto A7-0010/2012; 2011/2111(INI), punto 1, pag. 9). Ultimamente il Parlamento europeo ha pubblicato delle Note di studio in cui si esaminano in modo approfondito i termini che segnano la rilevanza dei BRICS sulla scena internazionale. Penso, ad esempio, al Briefing di novembre 2024: EPRS | European Parliamentary Research Service (autore: Marc Jütten, Members’ Research Service, PE 766.243). Nella UE siamo, insomma, ancora ben lontani dalla consapevolezza dell’opportunità, se non necessità, di promuovere quantomeno un dialogo strutturato con la realtà BRICS. È opportuno aggiungere che con il termine “necessità” si fa riferimento, soprattutto, a quanto è accaduto con il recente allargamento BRICS che ha registrato l’ingresso come membro a pieno titolo dell’Egitto e la domanda di adesione della Turchia. Anche altri Paesi mediterranei si stanno orientando in questo modo. La UE, in sintesi, sta perdendo la sponda Sud ed Est del Mediterraneo. Questo è il punto su cui occorrerebbe promuovere in ambito europeo quantomeno una riflessione approfondita. E questa è un’iniziativa che potrebbe essere promossa in particolare dall’Italia sia a tutela dei suoi interessi nazionali nell’area del Mediterraneo sia a rafforzamento del suo ruolo politico nell’ambito dell’Unione europea.
Riferimenti
Marco Ricceri
Coordinatore, EURISPES Laboratorio sui BRICS
Roma
E-mail: eurispes.intl-dept@libero.it
E-mail: riccerimarco@hotmail.com
Web: www.eurispes.eu
Ultimo aggiornamento al 7 marzo 2025
BRICS e ordine mondiale. Parla Marco Ricceri was last modified: Marzo 8th, 2025 by
BRICS e ordine mondiale. Parla Marco Ricceri
ultima modifica: 2025-03-08T20:59:34+01:00
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